Dove stiamo andando? Le nuove sfide per i movimenti dei cristiani omosessuali
Riflessioni di Carlos Osma tratte da Lupa Protestante (Spagna) del 20 maggio 2009, liberamente tradotte da Eliana
Il movimento, o per meglio dire, i movimenti dei cristiani omosessuali nel nostro paese sono di fronte ad un bivio.
Non bisogna essere molto svegli per rendersi conto che certi sentieri sono già chiusi e altri si sono rivelati inadeguati nell’affrontare le nuove contingenze che vive il movimento lesbico, gay, trans e bisex (LGTB) e che non hanno niente a che vedere con quelle del decennio passato.
Per questo è necessario cercare ed individuare altre strategie che partano dalle nostre stesse necessità, invece di continuare ad arenarsi cercando di trasformare le strutture cristiane eterosessiste e spesso omofobe.
Si è lavorato tanto e si sono fatti progressi. Abbiamo ottenuto visibilità ed abbiamo dato consapevolezza a molti credenti di quanto la discriminazione per l’orientamento sessuale sia lontana dal vangelo.
Ora non siamo più né soli né nascosti e sebbene dobbiamo ancora dar valore a quello che abbiamo conseguito e dobbiamo continuare ad utilizzare parte delle energie nella trasformazione delle nostre comunità, ci sbaglieremmo se pensassimo che la normalizzazione si otterrà in un lasso di tempo breve o medio.
Neanche la Chiesa Evangelica Spagnola, che è la chiesa che si è dimostrata più sensibile rispetto alle nostre rivendicazioni, è pronta per farlo nei prossimi anni. Le istituzioni hanno un loro ritmo che, per quanto lento possa apparire, si deve rispettare.
Però allo stesso modo penso che sia necessario smettere di guardare alle chiese per chiederci verso dove stiamo andando noi ora. Essere capaci di agire come persone adulte, smettendo di cercare l’approvazione ecclesiale.
Fino a che non faremo questo, staremo percorrendo il cammino sbagliato.
Non importa quanto siamo omosessuali, la nostra fede cristiana esige altre cose, più importanti. Non dico che lavorare per una comunità per tutti non lo sia, però ogni volta sono sempre più convinto che la nostra fede ci guida verso una meta diversa in questo momento.
Due settimane fa si è celebrato nella città di Tarragona un incontro di famiglie formate da lesbiche e gay. L’iniziativa è stata un successo, molte famiglie non hanno potuto assistere per mancanza di posti.
Una delle organizzatrici mi raccontava che ormai da un paio di anni il numero delle lesbiche e dei gay con figli si è quadruplicato e che la tendenza continua.
Quando ha appurato che ero cristiano, mi ha guardato con una faccia sorpresa e mi ha detto: “io non porterei mai mia figlia in un posto in cui mi discriminano, non la porterei mai e poi mai in una chiesa”.
Sebbene abbia dovuto darle le spiegazioni di rito, mi sono reso conto che le chiese non potranno mai portare il messaggio di salvezza alle nostre famiglie, la sua ambiguità fa sì che il messaggio di amore incondizionato di Dio si perda per strada. Cosa suggerisce alle associazioni degli omosessuali tutto questo?
Provando a rispondere alle nuove problematiche che vive il collettivo lesbico, gay, trans e bisex (LGTB) del nostro paese, alcuni cristiani hanno recuperato un’idea che solo fino a pochi anni fa era pazzesca: creare una chiesa inclusiva.
L’iniziativa, lontana dalle stravaganze a cui qualcuno ci ha abituato, pare possa essere una realtà prima della fine dell’anno. Allora vedremo come si sono evolute le cose e se il progetto si porta a conclusione.
Se in altri paesi l’esistenza delle comunità ecumeniche inclusive è stata possibile, testeremo se anche in un paese con così poca esperienza in questo campo, la cosa è fattibile. Se anche non fosse così dovremmo sostenere questa iniziativa che, da ambienti a maggioranza cattolica, ambisce a soddisfare le necessità spirituali di tante e tanti omosessuali.
Ad ogni modo penso che le associazioni cristiane di gay e lesbiche siano le più indicate ad occupare quel posto che nessuna chiesa ha ancora osato occupare.
Tutte portano avanti un lavoro instancabile di normalizzazioni dentro e fuori la chiesa, però oggi c’è bisogno di qualcosa in più, la comunità lesbico, gay, trans e bisex (LGTB) ha urgentemente bisogno di un lavoro pastorale e di evangelizzazione.
Perché non osare, per esempio, tenere celebrazioni regolari ogni domenica, o uscire fuori per condividere il messaggio di perdono e riconciliazione con il resto del collettivo omosessuale, sposarsi, battezzare oppure offrire ambienti di normalizzazione alle famiglie di lesbiche e gay in cui poter educare i propri figli nella fede?
In definitiva perché continuare a credere che questo lo possano fare solo le chiese istituzionali, senza azzardarsi ad essere una vera comunità cristiana? Perché rinunciare al ruolo verso cui, credo, le spinge lo Spirito Santo? Tutto questo non cancellerebbe il lavoro che si sta realizzando fino ad ora, aspirerebbe solo a completarlo.
Geremia ha scritto una lettera agli israeliti che erano in esilio in Babilonia e speravano che Dio agisse rapidamente facendoli tornare nel loro paese. In quella lettera diceva che dovevano essere pronti, che la permanenza nel deserto sarebbe stata lunga.
Probabilmente una lettera che ha molto da dire oggi ai cristiani omosessuali di questo paese: “Così dice l’Eterno degli eserciti, il Dio d’Israele, a tutti i deportati che io ho fatto condurre in cattività da Gerusalemme a Babilonia: costruite case e abitatele, piantate giardini e mangiate i loro frutti.
Prendete mogli e generate figli e figlie; prendete mogli per i vostri figli e date le vostre figlie a marito, perché generino figli e figlie e perché là moltiplichiate e non diminuiate.
Cercate il bene della città dove vi ho fatto condurre in cattività e pregate l’Eterno per essa, perché dal suo benessere dipende il vostro benessere.
Così dice, infatti, l’Eterno degli eserciti, il Dio d’Israele: Non vi traggano in inganno i vostri profeti e i vostri indovini che sono in mezzo a voi, e non date retta ai sogni che fate. Poiché vi profetizzano falsamente nel mio nome; io non li ho mandati», dice l’Eterno.” (Geremia 29:4-9)
Testo originale: ¿Hacia dónde vamos?
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