L’amore tra donne raccontato nell’agiografia africana della santa etiope Walatta Petros
Articolo di Kittredge Cherry pubblicato sul suo blog Jesus in Love (Stati Uniti) il 4 febbraio 2016, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
Santa Walatta Petros è una monaca etiope del XVII secolo che ha avuto un’intensa amicizia, durata tutta la vita, con un’altra monaca e ha guidato un movimento di successo per cacciare i missionari stranieri (dall’Etiopia).Evidenze controverse di un amore omosessuale nella sua storia sono rivelate dalla sua biografia, recentemente pubblicata per la prima volta in inglese: The Life and Struggles of Our Mother Walatta Petros: A 17th-Century African Biography of an Ethiopian Woman (La vita e le battaglie della nostra madre Walatta Petros: biografia africana del XVII secolo di una donna etiope) di Galawdewos. È tradotta ed edita da Wendy Belcher, professoressa associata di letteratura africana all’università di Princeton, e da Michael Kleiner.
Walatta Petros è stata riconosciuta santa dalla Chiesa ortodossa etiope Tewahedo, che la onora per aver preservato le antiche credenze afrocristiane dai missionari gesuiti del Portogallo. La sua festa cade il 23 novembre.
La sua biografia, scritta dai suoi discepoli appena trent’anni dopo la sua morte, è la più antica biografia della consistenza di un libro di una donna africana. Scritta nel 1672, include i più antichi racconti del desiderio omosessuale femminile nell’Africa subsahariana. Questa parte venne censurata, fino allo scorso anno, quando venne pubblicata la prima traduzione inglese.
Walatta Petros (1592-1642) era una nobildonna che si era sposata giovane. Il suo è un nome composto e significa “figlia di (san) Pietro”, e non può essere abbreviato. Ha dato alla luce tre figli che morirono tutti durante l’infanzia. Allora lasciò il marito, si rasò la testa e divenne monaca. La sua biografia descrive in modo vivido il giorno in cui incontrò Eheta Kristos (1601-1649), un’altra nobildonna che aveva lasciato la vita da sposata per diventare monaca. Il suo nome significa “sorella di Cristo”.
Il momento in cui si incontrarono sembra amore a prima vista: “Non appena la nostra santa madre Walatta Petros e Eheta Kristos si videro da lontano, l’amore si infuse in entrambi i loro cuori, amore l’una per l’altra, ed… erano come le persone che si riconoscono in anticipo perché lo Spirito Santo le ha unite.”
In poco tempo si trasferirono a vivere insieme. Il testo usa un linguaggio che evoca il legame matrimoniale, dicendo che “vivevano insieme con amore reciproco, come l’anima e il corpo. Da quel giorno in poi non furono mai separate, né in tempi di tribolazione e persecuzione, né in quelli di tranquillità, ma solo nella morte”.
L’introduzione di Wendy Belcher sottolinea che sarebbe “anacronistico” identificare Walatta Petros come lesbica, perché “lesbica” è un termine anglo-americano del XX secolo; invece dice nell’introduzione che le due monache erano “coinvolte in un rapporto durato tutta la vita di profonda e romantica amicizia” e nota che erano impegnate nel nubilato e nell’ascetismo.
Infatti il capitolo nuovamente tradotto come Our Mother Sees Nuns Lusting After Each Other (La nostra madre vede alcune suore nella lussuria l’una nei confronti dell’altra) descrive come Walatta Petros obietti a questo comportamento. La stessa santa racconta la storia nel testo: “Era sera ed ero seduta in casa, davanti al cancello, quando vidi alcune giovani suore stringersi l’una contro l’altra ed essere reciprocamente lussuriose, ognuna con una compagna. Perciò il mio cuore prese fuoco e iniziai a discutere con Dio, dicendogli ‘Mi hai messo qui per farmi vedere questo?’”.
La nota a pie’ di pagina spiega che la frase “il mio cuore prese fuoco” potrebbe avere un duplice significato: “In superficie esprime la sua rabbia contro Dio per averle fatto vedere questa scena, ma le parole scelte suggeriscono anche che è arrabbiata perché prova desiderio vedendo la scena”. Alcuni etiopi si oppongono a questa interpretazione e il sito di Wendy Belcher include una pagina dedicata alla “Controversia sulla sessualità nella Gadla Walatta Petros”.
La Chiesa che Walatta Petros ha servito è una delle prime forme di cristianità, la Chiesa ortodossa Tewahedo. È stata fondata ufficialmente nel IV secolo ma si potrebbero rintracciare le sue radici fino all’eunuco etiope battezzato da Filippo nel Nuovo Testamento. Era una delle poche Chiese cristiane pre-coloniali nel mondo.
Durante la vita di Walatta Petros arrivarono missionari gesuiti dal Portogallo e tentarono di convertire gli etiopi al cattolicesimo romano. Gli etiopi trovarono eretiche alcune dottrine cattoliche, come quella del peccato originale; essi invece credevano nella trasformazione degli esseri umani per mezzo della Grazia. Walatta Petros comandò con successo un movimento nonviolento che espulse i gesuiti nel 1632, preservando l’antica forma del cristianesimo etiope.
La sua biografia descrive anche di come fondò sette comunità religiose – la prima in Sudan e le restanti intorno al lago Ṭana, sempre in Etiopia. Il racconto inoltre umanizza la santa con dialoghi molto vividi e dettagli coloriti della vita di tutti i giorni.
I titoli di alcuni capitoli rivelano conflitti simili a quelli che incontrano oggi le donne potenti della Chiesa, come Male Leaders Work Against Our Mother (Gli uomini di potere lavorano contro la nostra madre) e Envious Monks Attack Our Mother’s Authority (Monaci invidiosi attaccano l’autorità della nostra madre). Ci sono anche affascinanti scene della vita spirituale di Walatta Petros. La più drammatica è il suo dibattito con Cristo, quando lui le chiede di occuparsi delle anime che appaiono come colombe e splendenti vasi di cristallo.
Dopo più di due decenni di vita religiosa, Walatta Petros si ammalò e designò la sua compagna di vita Eheta Kristos come suo successore e capo della comunità religiosa. Walatta Petros morì il 24 novembre 1642 dopo una malattia durata tre mesi. Aveva cinquant’anni e ne aveva passati ventisei come monaca.
Belcher sottolinea nella sua introduzione che il loro legame amoroso durò fino alla morte: “Sul suo letto di morte, gli ultimi pensieri e le ultime parole di Walatta Petros furono per la sua amica, avendo paura di come Eheta Kristos avrebbe fatto senza di lei e disse per tre volte, ‘Sarà consolata, non ha altra speranza tranne me!’”. Eheta Kristos guidò la comunità per almeno sette anni, fino alla sua morte il 2 aprile 1649. Non ci sono immagini di Eheta Kristos, ma è senza dubbio una delle persone in lutto nell’immagine dell’intera comunità che compiange la morte di Walatta Petros. La morte non conclude la biografia di Walatta Petros, dal momento che essa serve anche come agiografia. Il libro continua con ventisette miracoli da lei fatti dopo la sua dipartita verso la vita eterna. Essi includono drammatiche guarigioni come anche aiuti molto elementari, come la riparazione di un vaso di birra rotto e il recupero di un libro di poesie rubato.
Belcher, che ha passato molta della sua giovinezza in Etiopia e in Ghana, ha imparato la lingua Gəˁəz per tradurre la biografia conosciuta come Gädlä Wälättä P̣etros. Lei e Klein hanno anche lavorato sulla traduzione con altri esperti, incluso un sacerdote etiope. È una delle poche occidentali ad aver studiato il manoscritto, antico di 340 anni, che sta nel monastero vicino al lago Tana. Belcher ha visitato le monache e i monaci locali mentre cercava copie del manoscritto nei monasteri più remoti dell’Etiopia. Ha parlato in profondità di Walatta Petros e Eheta Kristos nella sua lezione Same-Sex Intimacies in an Early Modern African Text about an Ethiopian Female Saint (Intimità omoerotica in un testo africano dell’inizio dell’era moderna su una santa etiope) che è disponibile su YouTube. Sta per uscire anche un suo articolo sull’argomento Same-Sex Intimacies in the Early African Text Gädlä Wälättä P̣etros (1672) about an Ethiopian Female Saint (Intimità omoerotica nell’antico testo africano Gädlä Wälättä P̣etros (1672) su una santa etiope) in Research in African Literatures, giugno 2016.
Testo originale: Saint Walatta Petros: African nun shared a lifetime bond with a female partner in 17th-century Ethiopia