11 maggio 1990. Il giorno in cui nacque l’omofobia
Articolo di Carlos Osma pubblicato sul blog Homoprotestantes il 17 maggio 2016, liberamente tradotto da Rossella Di Pede
L’11 maggio del 1990, l’Organizzazione Mondiale della Salute, ritirò l’omosessualità dalla sua lista di malattie. Nacque, allora ufficialmente l’omofobia, una malattia che in realtà l’umanità ha patito da mille anni, e si può curare con una buona educazione. Questo, lo sanno molto bene le lobby omofobe, che per questo si oppongono al fatto che la diversità sessuale, venga presa come esempio nei centri educativi, sin dall’asilo. Preferiscono che si parli delle sue conseguenze nefaste negli adolescenti che sono stati educati ad essere chi non sono, cosi loro rimangono progressisti mentre il collettivo LGTBI (Lesbiche, Gay, Trans, Bisex, Intersessuali) continua ad essere visto come un problema di salute pubblica.
In generale, fino all’educazione secondaria, non si tratta il tema dell’omosessualità, la transessualità, la bisessualità o la intersessualità; come se tutto ciò su cui si è lavorato fino ad allora nell’educazione infantile o primaria, non avesse nessuna influenza nel modo in cui un adolescente affronta la sua identità sessuale, il suo orientamento sessuale, o il significato di cosa è una famiglia. Come se fino ad allora avesse provato a convertire bambini e bambine in persone eterosessuali che ripetono, dei ruoli di genere determinati socialmente.
In realtà, è tutta ipocrisia, che risponde alle conseguenze di una educazione tipicamente eterosessuale, che evidentemente genera una violenza, in parte della popolazione, che diventa ancora più insopportabile quando nel nucleo familiare si aggrava la molestia, o quando i compagni e le compagne si sentono legittimati per un discorso “non ufficiale” ad effettuare violenza psicologica e/o fisica sui compagni.
Si può constatare che tutti i programmi educativi, al meno nel nostro paese, che cercano di lavorare sulla diversità familiare e sessuale, o sull’identità sessuale, lo fanno sempre a posteriori, e quando si cerca di richiamare l’attenzione su questa carenza, l’amministrazione non affronta mai il problema.
Non si tratta semplicemente del fatto che, le scuole rispettino il sesto senso dei minori, ma che educhino i bambini e le bambine affinchè capiscano che i genitali, non hanno niente a che fare con il sesso, né con il genere. Non si tratta di spiegare che ci sono persone che hanno una attrazione sessuale per persone del loro stesso sesso, o di entrambi i sessi, ma di non dare per scontata l’eterosessualità degli alunni, e accompagnarli affinché scoprano liberamente e senza condizionamenti eterosessuali, cosa li piace fare, cosa li attrae e cosa no.
Non solo bisogna far vedere che esistono diverse forme di famiglia, ma anche far capire che la qualità familiare risiede nell’amore, non nella maniera in cui questa si configura.
La fobia delle persone LGTBI ha paura della libertà, per questo cerca di condizionare, e sa per certo che la cosa più importante è farlo il prima possibile, quando i bambini non possono difendersi dall’aggressione e dal maltrattamento che ricevono.
Quando si educa per far si che i minori possano, non scegliere (nessuno sceglie la sua identità sessuale o di genere), ma mostrare liberamente chi sono, e apprezzare come sono i suoi compagni; allora si che siamo davanti ad una situazione di uguaglianza e giustizia. Però mentre molti si congratulano per come la nostra società sia progressista e ugualitaria, in realtà si sta costruendone una dove la fobia dell’LGTBI, continua a regnare suprema esercitando violenza, sui più indifesi.
Se dopo dieci anni dall’approvazione del matrimonio ugualitario, ancora non si è modificato nei formulari dei centri educativi, la dicitura “nome del padre e nome della madre”, non è difficile capire cosa accadrà all’interno delle aule.
Ci sono persone che credono che solo con la buona volontà, uno può realizzare il suo lavoro, senza condizionamenti dalla fobia dell’LGTBI, però non è così. E’ importante ascoltare, essere sensibile alle esperienze delle persone LGTBI, però per uscire dall’ignoranza e dall’omofobia nella quale tutti siamo stati educati, manca la formazione.
Ci sono molti professori e professoresse con buona volontà ai quali manca la formazione necessaria per educare nelle diversità e rispettarle. Molte volte i professori e professoresse non “affrontano” il tema LGTBI, a meno che non ci sia un alunno o un’alunna omosessuale o transessuale. Però la diversità dovrebbe essere il punto focale che accompagna tutta l’educazione, poiché sempre ci sono due o tre alunni LGTBI in ogni classe, sebbene non lo esprimano apertamente.
Di fatto, è questa incapacità ad esprimerlo liberamente, ciò che evidenzia che qualcosa si sta facendo male. Ci sono molti pochi professori che hanno ricevuto una educazione idonea per trattare la diversità sessuale e di genere con i propri alunni.
E l’offerta dell’amministrazione educativa per porre rimedio a questo deficit è quasi inesistente, per non dire inesistente del tutto. Solo, per esempio le famiglie LGTBI, le famiglie con figli o figli gay e lesbiche, o quelle che hanno figli o figlie transessuali, quelle che fanno pressione affinché l’educazione riconosca la diversità. Riescono a cambiare piccole cose, però il modello di educazione generale continua a dare priorità all’eterosessualità.
Da quando nacque l’omofobia 26 anni fa, la transfobia si nega ancora a farlo ufficialmente, viviamo in un mondo che continua a additare bambini e bambine che non accettano il genere imposto. E ci possiamo rallegrare, di fatto lo facciamo, per tutte le mete raggiunte che fino a pochi anni fa sembravano irraggiungibili. Però non possiamo dimenticarci che viviamo in un modo dove la fobia dell’LGTBI continua ad avere il controllo su punti strategici, e il più importante senza dubbi, è quello dell’educazione. Qui è dove si cerca di cambiare le persone LGTBI malate o inadatte; qui è dove la società gli fa pagare la loro diversità, mentre fa discorsi di diversità e di libertà politicamente corretti.
Il 57% dei minori LGTBI hanno sofferto un tipo di violenza fisica o psicologica nel proprio centro educativo, e l’80% dei giovani in generale, ammettono di essere stati testimoni di una aggressione fisica o verbale ad un giovane LGTBI. I centri educativi nello stato spagnolo che hanno a che fare con la diversità familiare con programmi come PEER (Programma Educativo Escuelas Rainbow) si possono contare sulle dita di una mano, e sempre per gli sforzi delle famiglie LGTBI e senza l’appoggio deciso delle amministrazioni.
E’ chiaro che l’educazione deve cambiare e che i poteri politici devono assicurare un ambiente non solo libero dalla violenza, ma anche costruttivo e positivo per tutti gli alunni e le alunne indipendentemente dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere o configurazione familiare. La fobia dell’ LGTBI ha ben chiaro in mente che, non vuole lasciare quel posto da dove esercita la sua violenza, ed è qui che, io credo, dobbiamo affluire tutte le nostre energie, coloro che sono per una società migliore.
C’è necessità di prese di posizione chiare, programmi concreti che mettano a contatto, sin dall’educazione infantile, i bambini con la diversità, e la formazione per tutte le persone che sono coinvolte nell’educazione dei nostri figli. La fobia dell’ LGTBI si cura con l’educazione, con una buona equazione per tutti e tutte.
Testo originale: El día en el que nacìo la homofobia