13 gennaio 1998. Alfredo Ormando, gay e cattolico, si da fuoco in San Pietro
A cura di Piero Montana tratto da gaynews.it
Il 13 gennaio del 1998 Alfredo Ormando, un trentanovenne siciliano, nativo di San Cataldo (Caltanissetta), un omosessuale con aspirazioni, velleità di scrittore si brucia vivo in San Pietro a Roma, cospargendosi di benzina e dandosi fuoco con un accendino.
Soccorso da un poliziotto, che cercherà con la giacca della sua divisa di spegnergli le fiamme di dosso, Ormando morirà in ospedale dopo 9 giorni di agonia.
Il suo non è un gesto di un folle, al contrario è un gesto lucido, consapevole, calcolato, preparato in tutti i suoi minimi dettagli. È un gesto inaudito, mai tentato prima, di protesta estrema contro il Vaticano.
Quella che, pertanto, qui proponiamo non è un’interpretazione dei fatti realmente, storicamente accaduti e riportati nelle pagine di cronaca dei quotidiani nazionali. È l’esposizione nuda e cruda del dramma esistenziale di un “irregolare”, dramma divampato in tutta la sua virulenza a causa di un’esistenza vissuta nell’inferno quotidiano di una cocente emarginazione.
Dalla maledizione, dalla dannazione di questa emarginazione, dal cuore di una sconfinata solitudine ci giungono le ultime e disperate lettere di Alfredo Ormando, destinate dall’autore ai posteri, e di cui, per la prima volta, pubblichiamo stralci dai toni alquanto toccanti e dolorosi.
Non si tratta qui, infatti, di mettere in buona o in cattiva luce questa o quella o più persone, ma di focalizzare tutta la nostra attenzione sul dramma di una vita bruciata a causa della repressione e del pregiudizio antigay in un contesto sociale, come quello del profondo sud, assai retrogrado, ottuso e provinciale.
Il senso di questo pellegrinaggio e del “ gesto finale” compiuto da Ormando in San Pietro è talmente evidente che non necessita di essere supportato da spiegazioni diverse da quelle fornite dall’autore di queste lettere. E tuttavia se dobbiamo credere a queste missive, non possiamo considerare Ormando un santo, un eroe, un pazzo.
Nel farsi torcia umana, cero pasquale in Vaticano pensiamo che Ormando non solo abbia voluto gettare luce sulle tenebre dell’oscurantismo di una morale cattolica, omofobica e medievale, ma anche sul grigiore della sua vita di emarginato, sul dramma di una insopportabile vicenda umana, grondante di lacrime e sangue.
Quella di Ormando non è la lezione di un kamikaze o di un martire, al contrario è una lezione umana, troppo umana. La lezione di chi scegliendo di morire, non vuole più essere lapidato, ferito quotidianamente per la sua omosessualità, la lezione di chi nel rogo vuole, al contempo, gettare luce col combustibile del suo corpo sul sommerso della sua ed altrui sofferenza a causa della mentalità, della morale sessuofobica della Chiesa.
Dalle ultime lettere di Alfredo Ormando
Le ultime lettere autografe di Alfredo Ormando, datate 11 novembre’97, 27 novembre’97, 8 dicembre’97, Natale ’97, 2 gennaio ’98, 4 gennaio ‘98 dedicate ad un amico di Reggio Emilia, che vuole restare anonimo, non saranno mai spedite per comprensibili motivi di cautela da parte dell’autore, che non volle essere fermato nel suo proposito suicida. Resteranno nel cassetto in quanto scritte per i posteri.
Per espressa volontà di Ormando abbiamo dunque raccolto, sia pure in parte, questa eredità per far conoscere, attraverso la pubblicazione frammentaria dei brani scelti da queste missive, le motivazioni scritte, dichiarate di un suicidio così scioccante.
La lettera datata Natale ’97 e quella per i posteri, spedita qualche giorno prima del suicidio all’agenzia Ansa di Roma, vengono qui presentate nella loro interezza, la prima in quanto già nota, dal momento che è stata altrove pubblicata integralmente, la seconda in quanto spedita dallo stesso Ormando affinché se ne conoscesse il contenuto.
Palermo, 11 novembre 1997
Carissimo ( amico), scrivo un’altra lettera ad uso e consumo dei posteri …(1) Ho deciso di farla finita con la vita, ogni illusione di riscattarmi attraverso i miei scritti è crollata. Sono stufo di vedermi isolato, emarginato.
Che vale vivere quando non si è amati e rispettati. Ho l’amore materno e quello di «Y» è vero, ma ciò non copre l’ostracismo della gente e persino dei familiari.
È troppo, non riesco più a trovare un motivo valido per dare un senso alla mia vita, magari un appiglio tenue, banale…
Mi sento un appestato, un lebbroso con i suoi campanelli legati ai piedi per avvisare la gente di stare lontana da me.
Mi chiedo se un uomo già morto può essere considerato un suicida… Perché devo vivere? Non trovo una sola ragione perché io debba continuare questo supplizio…
Sto meditando di trascorrere il Natale a Palermo con la mamma e «Y», a gennaio di andare a Roma e di darmi fuoco a Piazza San Pietro … ma sarò ancora di questo parere ? Eppure ci sono meno di due mesi, finalmente potrò cominciare a vivere, perché morire è vivere …
Quei pochi minuti di sofferenza saranno ripagati con la cessazione di tutti i dispiaceri, di tutti i dissapori. Nell’aldilà a nessuno farò drizzare i capelli ed arricciare il nasino perché sono un omosessuale.
Non capisco perché alla gente preme molto ricordarmi che sono gay. Io lo so che sono gay ed ho una buona memoria ed una buona conoscenza di me. Perché allora ripetermi e ribadirmi che sono un finocchio? Non capisco questo accanimento contro di me.
Non svio nessuno dalla retta via dell’eterosessualità. Chi viene a letto con me è maturo, adulto, consenziente e omosessuale o bisessuale. Voglio tanto farla finita: spero infine di riuscire al più presto possibile.
Palermo, 27 novembre 1997
Carissimo ( amico ), questa volta faccio sul serio. Se prima trovavo molti motivi per vivere, adesso ne trovo altrettanti per smettere. Sono arrivato al capolinea, il mio ciclo vitale sta per concludersi, lo sento inevitabilmente.
Ormai sono entrato nel tunnel della morte dove l’unica via d’uscita è Piazza San Pietro … Mi rendo conto che il suicidio è una forma di ribellione a Dio, ma non riesco più a vivere; in verità sono già morto.
Sono impaziente di andare a Roma e lì lasciare una vita che per me è stata sempre una condanna.
Palermo, 8 dicembre 1997
Carissimo (amico), tra venerdì sera e sabato pomeriggio ho distrutto tutte le foto che mi ritraevano, ho distrutto i negativi e tagliuzzato quelle di gruppo, togliendo la mia immagine.
Non mi è rimasta neppure una foto, soltanto quella della patente e dell’abbonamento del bus cittadino.
È come se non fossi mai esistito. Purtroppo i ricordi rimangono archiviati in un oscuro meandro del mio cervello e quelli non li posso davvero strappare e tagliuzzare come ho fatto con le foto. …
Non voglio che questo mendace materiale mi sopravviva. A chi può mai interessare vedere la mia faccia da imbecille? Forse non sono stato umiliato abbastanza da vivo per continuare ad essere oggetto di scherno anche da morto?
Con la scusa di sistemare le foto anche di «Y» ho distrutto pure le sue, salvando quelle che lo ritraevano da solo ed eliminando quelle dove eravamo entrambi. «Y» ha pianto molto per questo e ciò mi ha dato molto dolore, ma io eseguo un piano che lui non conosce.
Palermo, Natale 1997
Caro (amico), quest’anno non sento più il Natale, mi è indifferente come tutte le cose, non c’è nulla che riesce a richiamarmi alla vita. I miei preparativi per il suicidio procedono inesorabilmente, sento che questo è il mio destino.
L’ho sempre saputo e mai accettato, ma questo destino tragico e là ad aspettarmi con una certosina pazienza che ha dell’incredibile.
Non sono riuscito a sottrarmi a questa idea di morte, sento che non posso evitarlo, tanto meno far finta di vivere e progredire per un futuro che non avrò: il mio futuro non sarà altro che la prosecuzione del mio presente. Vivo con la consapevolezza di chi sta per lasciare la vita terrena e ciò non mi fa orrore, anzi !
Non vedo l’ora di porre fine ai miei giorni; penseranno che sia un pazzo perché ho deciso Piazza San Pietro per darmi fuoco mentre potevo farlo anche a Palermo.
Spero che capiranno il messaggio che voglio dare: è una forma di protesta contro la Chiesa che demonizza l’omosessualità, demonizzando nel contempo la Natura, perché l’omosessualità è sua figlia.
Palermo, 2 gennaio 1998
Caro (amico), è iniziato un nuovo anno ma non è per me, entro il mese avrò già messo in atto il mio funesto proposito. …
Mercoledì scorso è stato un bel giorno per me, i preparativi per il cenone di Capodanno mi avevano messo addosso una gran voglia di vivere, ma è durato soltanto una giornata e basta, dopo i pensieri funerei erano ritornati a tenermi compagnia.
… A volte basta davvero poco per essere felici e altrettanto poco per essere degli infelici. Per me il discorso è diverso, è da quando avevo dieci anni che vivo nel pregiudizio e nell’emarginazione, oramai non riesco più ad accettarlo, la misura è piena.
…. Sarò punito nell’aldilà per il mio gesto, spero nella comprensione e nella giustizia del buon Dio, sono pronto a pagare le conseguenze, dopotutto sono abituato e allenato alla sofferenza. Se avessi avuto qui un paio di amici come te avrei accettato di buon grado la mia vita.
Palermo, 4 gennaio 1998
Caro ( amico), sono impaziente di mettermi in viaggio per farla finita a Piazza S. Pietro… Il dolore di sentirmi bruciare vivo non mi spaventa più. Soffrirò pochi minuti, poi le endorfine mi aiuteranno a sopportare lo strazio.
Paragonato al mio vivere è di gran lunga preferibile, perlomeno durerà pochi minuti. È stupido da parte mia che perseveri a ripetere sempre le stesse cose, ormai ho detto tutto. Tu sai perché sono arrivato a questa soluzione.
PER I POSTERI…
Chiedo scusa al mondo intero per i miei nefandi crimini contro quella natura tanto cara e dissacrata dalla cristianità.
Chiedo scusa per essere venuto al mondo, per aver appestato l’aria che voi respirate con il mio venefico respiro, per aver osato di pensare e di agire da uomo, per non aver accettato una diversità che non sentivo, per aver considerato l’omosessualità una sessualità naturale, per essermi sentito uguale agli eterosessuali e secondo a nessuno, per aver ambito diventare uno scrittore, per aver sognato, per aver riso, per aver ucciso mia madre e un’altrettanta persona cara con la soppressione cruenta della mia inutile esistenza.
Il mostro se ne va per non recarvi più disturbo e offesa, per non farvi più arrossire e imbarazzare e vergognare con la sua ignobile presenza, per non farvi schifare e voltare le spalle quando lo incontrate per strada.
Non permettete che io abbia una illacrimata tomba, che io diventi un appestato anche da morto. Se la benzina non avrà fatto il suo dovere, riducendomi in cenere, crematemi e spargete le mie ceneri nella campagna romana.
Vorrei essere utile almeno come concime. Faccio un accorato appello alla vostra comprensione e generosità.
Ho vissuto una vita da inferno che quello dei cristiani, a confronto, mi sembra una favola per far addormentare i bambini. L’unica valvola di sfogo erano i miei scritti.
Volevo riscattarmi attraverso la narrativa, ma l’editoria non me l’ha permesso, e poi chi segnalerebbe mai un finocchio? Non riuscivo più ad ingannare la mia biologica voglia di vivere, a farmi una ragione della mia emarginazione, della mia sconfinata solitudine.