1578. Un matrimonio gay nella Roma rinascimentale
Articolo di Gary Ferguson* pubblicato sul sito The Conversation.com (Europa) l’11 gennaio 2017, liberamente tradotto da Diandra Hocevar
Alla fine del 16° secolo, il famoso saggista Michel de Montaigne scrisse di due matrimoni fra persone dello stesso sesso. Il primo riguardava due donne nella Francia orientale, il secondo un gruppo di uomini a Roma. A quei tempi, i matrimoni fra persone dello stesso sesso non erano riconosciuti né dalla legge civile né da quella religiosa, e la sodomia – un termine che includeva una vasta gamma di pratiche sessuali – era un crimine. Di conseguenza, quando venivano scoperti, coloro che la praticavano venivano generalmente sottoposti a processo e puniti, talvolta con la pena di morte.
Questi episodi, così come molti altri, rivelano che persino nell’Europa rinascimentale il matrimonio era spesso un argomento controverso.
Il matrimonio fra due uomini o fra due donne può sembrare un concetto emerso solo negli ultimi decenni. Tuttavia, per secoli le coppie fra persone dello stesso sesso si sono appropriate del matrimonio a modo loro. Ho analizzato di recente un esempio particolarmente evidente di ciò – il secondo dei due casi riferiti da Montainge – nel mio libro Same-Sex Marriage in Renaissance Rome: Sexuality, Identity, and Community in Early Modern Europe (ndr pubblicato anche in italiano come “Si sposavano uomini con uomini. Voci, storie e fantasmi della Roma rinascimentale, PM edizioni, 2023, 227 pagine).
Un’istituzione in evoluzione
Durante il Medioevo, il matrimonio non coinvolgeva solo due individui ma anche i loro parenti, le comunità locali e le autorità secolari e religiose. Ciascuna di queste parti aveva idee, priorità e scopi diversi, talvolta contrastanti.
A partire dal 12° secolo, la Chiesa cattolica considerava il matrimonio un sacramento che richiedeva solo il consenso libero degli sposi, sotto forma di uno scambio di voti. In quanto istituzione sociale, tuttavia, il matrimonio era di solito basato su un contratto legale per il trasferimento di una proprietà (la dote della sposa) che veniva firmato davanti a un notaio.
Il 16° secolo è stato lo spartiacque che ha introdotto grandi cambiamenti e nuovi requisiti più severi progettati per prevenire unioni clandestine (o segrete) a cui i capi di famiglia si opponevano. Nei paesi convertiti a una delle nuove Chiese protestanti o riformate, il matrimonio ha smesso di essere un sacramento, e sono state approvate leggi per rafforzare il controllo dei genitori sui propri figli a carico.
In risposta alla pressione dei governi secolari, la Chiesa cattolica ha inoltre modificato considerevolmente la propria posizione nel 1563, quando il Concilio di Trento ha decretato che a partire da allora il matrimonio doveva essere celebrato in una chiesa parrocchiale, da parte di un prete autorizzato, in presenza di testimoni, e preceduto dalle “pubblicazioni” (l’annuncio pubblico della cerimonia).
Tuttavia, i cambiamenti legislativi non sempre si traducevano immediatamente in cambiamenti pratici. Situazioni di dubbio e dispute erano frequenti e spesso dovevano essere risolte in tribunale.
Ai margini della città papale
Questa era la situazione volatile che faceva da sfondo ai matrimoni fra uomini a Roma. Dopo aver accumulato informazioni provenienti da varie fonti – comunicati diplomatici, bollettini, frammenti della trascrizione del processo e brevi testamenti – emerge un’immagine più dettagliata, anche se incompleta, di ciò che è accaduto.
Una domenica pomeriggio nel luglio 1578, un folto gruppo di uomini si è riunito nella basilica di San Giovanni a Porta Latina, una bellissima chiesa remota situata nella periferia di Roma. Molti di loro si erano già incontrati in quel luogo in occasioni precedenti ed erano amici. Erano soprattutto immigrati poveri provenienti dalla Spagna e dal Portogallo, ma vi erano anche vari preti e frati. Hanno mangiato e bevuto in un’atmosfera festosa ma stranamente pacata. Il tutto sì è trasformato in confusione e paura con l’arrivo della polizia, che ha arrestato undici dei presenti. Gli altri sono fuggiti.
Qualcuno aveva informato le autorità romane che il gruppo intendeva celebrare un matrimonio, forse non per la prima volta, tre due dei suoi membri. Alla fine, il matrimonio fra Gasparo e Gioseffe non era stato celebrato; Gioseffe, che a quanto pare era malato, non si era presentato. Ma Gasparo era uno degli uomini che erano stati imprigionati che, dopo un processo durato tre settimane, furono giustiziati.
La natura e lo scopo esatti della cerimonia programmata sono tuttora incerti. Alcune fonti descrivono un matrimonio celebrato dopo la messa. Altre fonti parlano di uno scambio di anelli, di un eremita come officiante e di adolescenti costretti a partecipare o persino travestiti da donne.
Quello che sappiamo per certo è che il pomeriggio sarebbe culminato, come gran parte dei matrimoni del tempo, in una festa e nella consumazione dell’unione – ovvero la coppia (e in questo caso, forse anche altre persone) avrebbe fatto sesso.
Come marito e moglie?
Anche se ciò non valeva per tutti i membri del gruppo, Gasparo e Gioseffe si conformavano alle norme tradizionali di genere quando avevano rapporti: secondo quanto riportato nel processo, Gioseffe aveva un ruolo “maschile” (attivo) e Gasparo un ruolo “femminile” (passivo).
Sotto altri punti di vista, tuttavia, la loro relazione non assomigliava a quella di sposi tradizionali. E cosa più importante, Gioseffe era un frate e quindi, agli occhi della chiesa, non poteva sposarsi. L’affiliazione di Gioseffe a un convento significa inoltre che probabilmente la coppia non aveva intenzione di vivere insieme. Questo li distingue non solo dalle coppie sposate uomo-donna di quel periodo ma anche dalle coppie di donne sposate di cui abbiamo informazioni, le quali – come le donne descritte da Montainge – spesso vivevano insieme come coppia, e una delle due si vestiva da uomo e viveva come tale.
Considerando il comportamento generalmente promiscuo del gruppo, sembra altrettanto improbabile che Gasparo e Gioseffe avessero intenzione di intraprendere una relazione monogama; è più probabile quindi che credessero che il sacramento avrebbe rimosso la peccaminosità che la Chiesa attribuiva alle relazioni sessuali al di fuori del matrimonio.
Infine, lo scopo dei festeggiamenti che avrebbero seguito il matrimonio programmato non erano di carattere personale o religioso bensì comunitario. Nonostante l’alto rischio di essere scoperti e arrestati, è evidente che per questi uomini la celebrazione era un modo importante di esprimere e rafforzare il loro senso di comunità. Gli amici socialmente emarginati di Porta Latina avevano infatti sviluppato molte delle caratteristiche di una sottocultura sessuale, simile a quelle che si sarebbero poi trovate nelle grandi città europee del 18° secolo. Sotto molti punti di vista, anticipavano le reti dei “mollies” di Londra e dei “gens de la manchette” (”uomini del polsino”), con i loro luoghi di incontro, le loro attività sociali e il loro gergo.
L’accaduto, inoltre, suggerisce ci fossero varie motivazioni dietro i matrimoni romani. Siccome gli amici avevano preso la cerimonia abbastanza seriamente da mettersi in serio pericolo, è probabile che questa servisse a riconoscere e approvare la relazione tra Gasparo e Gioseffe, dichiarando tale unione possibile. Allo stesso tempo, avrebbe potuto esserci anche un elemento scherzoso, volto a parodiare e criticare velatamente gli elementi di un matrimonio tradizionale.
Un argomento in difesa del matrimonio egualitario?
In un senso, il contesto attuale dietro l’estensione del diritto al matrimonio alle coppie dello stesso sesso è molto diverso da quello del 16° secolo, in cui la gran parte dei matrimoni non si basava sull’amore e non stabiliva un’uguaglianza legale fra i due sposi.
È solo dopo i cambiamenti portati dal movimento dei diritti delle donne nella seconda metà del 20° secolo per rendere l’istituzione più equa che gli attivisti gay e lesbiche hanno adottato il matrimonio egualitario come uno dei loro principali obiettivi.
In ogni caso, le storie del 16° secolo dimostrano che il matrimonio non è mai stato un fenomeno universale e invariabile. Ha una storia complessa, che include e esclude le coppie dello stesso sesso, le quali hanno rivendicato il matrimonio a modo proprio.
Vista da questa prospettiva, la cerimonia programmata in quel pomeriggio estivo a Roma ribalta l’idea che le recenti vittorie politiche siano state il culmine di una campagna moderna del 20° secolo. Gli amici che si erano ritrovati a Porta Latina offrono un chiaro esempio di come le coppie dello stesso sesso abbiano a lungo rivendicato il diritto di sposarsi e, allo stesso tempo, messo in discussione alcune delle norme tradizionali del matrimonio.
*Gary Ferguson è Distinguished Professor di Francese presso la University of Virginia ed è stato Visiting Professor sia negli Stati Uniti (University of Pennsylvania); sia in Francia (Universités de Sorbonne-Paris-Nord – già Paris 13-Paris Nord -, Rennes 2-Haute Bretagne e Jean Monnet- Saint-Étienne). Specializzato nella prima età moderna, Ferguson si occupa in particolar modo delle seguenti aree: studi di genere e sessualità, queer studies, produzione letteraria femminile e cultura religiosa. È autore di Queer (Re)Readings in the French Renaissance: Homosexuality, Gender, Culture (2008); Same-Sex Marriage in Renaissance Rome: Sexuality, Identity, and Community in Early Modern Europe (2016) edito in italiano come Si sposavano uomini con uomini. Voci, storie e fantasmi della Roma rinascimentale, PM edizioni, 2023, 227 pagine).
Articolo originale: A same-sex marriage ceremony in… Renaissance Rome?