Perché nessuno viva la solitudine di affrontare nella chiesa cattolica il tema dell’omosessualità
Prefazione di Don Gian Luca Carrega* al volume “Non è bene che l’uomo sia solo. La scommessa dei gruppi di omosessuali cristiani e dei loro genitori” stampato da La Tenda di Gionata, agosto 2020, pp.3-4
Non vi stupite se per presentare questo libretto partirò dalla storia di una donna lontana nel tempo. Nella vita le cose che contano le impariamo quasi sempre dalle donne. Ma capisco che scegliere Anna, madre di Samuele, come icona che avvia questo cammino può suscitare molte perplessità. Una donna in lacrime non con- tribuirà ad aumentare lo stereotipo dell’omosessualità che genera sofferenza?
Abbiate pazienza, leggetevi i primi due capitoli del primo libro di Samuele e vedrete che le cose non stanno esattamente così. Certo, la protagonista è una donna incompresa. Suo marito le vuole bene ma non coglie l’entità del problema, cerca di consolarla con una doppia razione di cibo e poi si lancia in uno di quegli sproloqui maschilisti di cui noi uomini siamo irrimediabilmente prodighi: hai già me, che ti importa dei figli?!
Il confronto con l’altra moglie è impietoso, perché quella invece è carica di figli e la deride pure. Per sfogarsi va a cercare il Signore nel tempio ma ha un incontro infelice con un rappre- sentante dell’istituzione (un caso abbastanza frequente, vero?).
Il sacerdote Eli sarebbe l’ultimo al mondo che potrebbe fare un predicozzo ad Anna. Lui i figli li ha, due mascalzoni che obbligavano le donne in servizio al tempio a fare sesso con loro. All’inizio cerca di liquidare in fretta Anna credendo di avere a che fare con un’ubriaca che muove le labbra senza emettere parole e non si rende conto che la donna sta davvero pregando. Poi finalmente trova una parola buona per lei e tanto basta perché la sua vita cambi.
Anche questa, per fortuna, è un’esperienza pastorale comune. Adesso, però, fermiamoci un attimo. Anna è una donna che ha un problema, quello della sterilità, e a risolverlo sarà Dio stesso.
In tutta questa storia l’elemento più marginale è costituito da Eli, che qui ha solo la funzione di incoraggiare la donna. Eppure, sono convinto che c’è molto di più. L’incontro tra Anna ed Eli serve più a lui che a lei. Ha bisogno di convertirsi, di cambiare il modo superficiale di vedere le cose e ci riesce proprio grazie a lei.
Spostiamoci avanti di tremila anni. Anna è la madre di un ragazzo omosessuale oppure è una donna lesbica che cerca il parroco per avere una parola di consiglio. Che cosa trova? Auguriamole tutto il bene possibile, ma facilmente verrà accompagnata alla porta con qualche parola di circostanza.
Se oggi Anna va da Eli (il sacerdote) per trovare risposte tornerà il più delle volte insoddisfatta. Ma se invece gli va incontro portandogli una storia, la sua storia, potrebbe trovare orecchie attente. Non è di certo una tecnica innovativa, è quello che faceva Gesù con le autorità religiose del suo tempo, raccontando una parabola e poi spiegando come questo riguardava la loro stessa vita. E di solito funziona perché quando ci mettiamo in ascolto tendiamo ad abbassare le difese.
Se cominciamo a parlare di gender e di unioni civili il tuo interlocutore indossa i guantoni e comincia un round di boxe. A volte può anche essere utile darsele di santa ragione, ma non si va molto lontano. Per fare cammino ci vuol pazienza e si deve imparare a guardare le cose anche con lo sguardo dell’altro. E il cammino ci cambia, inevitabilmente ci cambia.
Qualche anno dopo Anna tornerà al tempio di Silo non più per sfogare la sua pena ma per raccontare a Eli come questo si è trasformato in grazia. Di nuovo si ha l’impressione che non sia lì tanto per il Signore, che sa benissimo cosa le passa nel cuore, quanto per Eli.
Ogni tanto il Signore pare divertirsi a fare di questi scherzi, rovesciando i potenti dai troni e innalzando gli umili. La donna che non vedeva futuro nella sua vita si trova a mettere al mondo quel Samuele che ungerà i primi due re di Israele, Saul e Davide. Il nuovo passa attraverso di lei, non dal vecchio sacerdote. Viene da pensare che anche oggi, se Dio ha in mente qualcosa di originale per noi, non debba necessariamente scaturire dalle sedi istituzionali.
La novità rispetto al racconto biblico – e lo dico piano per non spoilerare il contenuto di questo libretto – è che Anna non è più sola. Fa rete, si organizza, cerca persone con cui confrontarsi. Ma non si tratta di “fare lobby” per far valere di più la propria voce e ottenere risultati migliori (un’altra la donna, la vedova della parabola di Luca 18,1-5 dimostra che si può essere molto efficaci anche da soli se si minaccia di fare un occhio nero a qualcuno…).
L’obiettivo invece è “fare squadra”, perché nessuno più sprofondi in quella estrema solitudine che a volte si apre attorno a chi solleva la questione dell’omosessualità. Senza gridare, ma anche senza tacere.
* don Gian Luca Carrega è direttore dell’Ufficio per la Pastorale della Cultura della diocesi di Torino e, su mandato ricevuto dal suo arcivescovo, si occupa anche delle attività pastorali per le persone LGBT e i loro familiari.