Io, gay cattolico ferito dalla mia chiesa
Articolo di Mario Lancisi tratto da il Tirreno del 2 novembre 2008
Come sfondo del loro sito i gay cristiani di Pisa hanno scelto il suggestivo ponte di Mezzo ad indicare l’auspicio di un legame tra omosessualità e Chiesa. Ma dopo il documento vaticano che considera l’omosessualità una devianza e vieta il sacerdozio ai gay, quel ponte si è come incrinato, inclinato come la Torre di piazza dei Miracoli: «Temo che il documento vaticano sia un passo indietro.
Rifiutare l’accesso al sacerdozio alla persona gay, agli occhi di chi, come me, è gay e cristiano, mi sembra una umiliazione ingiustificata», commenta Mauro Vaiani, 45 anni, fondatore del gruppo di omosessuali cristiani «Il Ponte» di Pisa, tecnico dell’Università e assistente del consigliere regionale di Forza Italia Alessandro Antichi.
Vaiani, 45 anni, originario di Prato (dove è stato anche consigliere comunale), è il protagonista del documentario di Alberto D’Onofrio «Confessioni di un gay credente», andato in onda su Cult, uno dei canali di Sky. Al Tirreno Vaiani ha espresso la sua delusione per il documento vaticano e ha raccontato la sua sofferta storia di omosessuale cattolico.
Cosa non le piace del documento vaticano?
«L’idea che l’omosessualità sia una malattia, una devianza. No, è semplicemente una diversità. Nel messaggio cristiano la persona gay può realizzarsi e integrarsi pienamente. Il documento vaticano sa anche di resa: sembra la confessione che una parte della gerarchia ecclesiale non crede più nella vocazione alla castità».
Perché?
«Consentendo l’accesso al sacerdozio solo agli etero, forse ci si garantisce una convivenza più tranquilla dentro ai seminari, ma poi, dopo, fuori, ai preti etero mancheranno forse le tentazioni?
Mi pare una scelta pruriginosa, un tentativo di dare la colpa agli altri, ai diversi, dei propri fallimenti educativi e spirituali. n una società aperta, dove la sessualità è così libera, si deve aiutare lo sviluppo di caratteri forti, personalità sincere, vocazioni vere».
In fondo la Chiesa ha sempre fatto una selezione dei suoi aspiranti sacerdoti…
«Sì, ma queste linee hanno un fondo di cattiveria, estranea alla compassione cristiana, all’inclusione evangelica.
Sono e saranno sempre tantissime le persone gay con una grande vocazione religiosa e con una capacità straordinaria di sublimare la propria energia sessuale e affettiva in una forte capacità di paternità e maternità spirituale.
Eppoi c’è qualcosa di insincero e se si vuole anche comico: se dovesse essere inibito il sacerdozio agli omosessuali, i seminari sarebbero ancora più vuoti e tanti preti dovrebbero essere allontanati…».
Conosce preti gay?
«Ne conosco personalmente. Ce ne sono molti. Molti vivono in castità. Altri hanno rapporti clandestini. Né più né meno dei preti eterosessuali. Il problema non è la tendenza sessuale del prete, ma la sua fedeltà alla castità».
Il documento vaticano si propone di affrontare alla radice il problema della pedofilia.
«Si parte dal presupposto sbagliato che gli omosessuali siano portati a incorrere nella pedofilia più degli eterosessuali. Poiché la premessa è sbagliata, anche i risultati saranno sbagliati. I gay sono un facile capro espiatorio, ma intanto la pedofilia dilaga fra gli eterosessuali e nelle famiglie».
Quando ha capito di essere gay?
«Tra i 25 e i 32 anni. Prima di allora ho ripetutamente negato la realtà, angosciato dal sospetto di essere una persona sbagliata».
Mai avuto rapporti sessuali con le donne?
«Sì, con alcune, ma non avevo attrazione duratura nei loro confronti. Mi innamoravo invece continuamente dei miei amici di scuola e di parrocchia. Il fatto di vivere in un ambiente cattolico dove si chiedeva a tutti castità prematrimoniale, del resto, rendeva più facile nascondere sotto il tappeto la polvere delle mie incertezze sessuali».
Come ha preso consapevolezza della sua condizione omosessuale?
«Nel modo più semplice: guardandomi allo specchio e accettando di aprire gli occhi. Ho accettato la mia condizione omosessuale, finendola con le rimozioni, le ambiguità, i nascondimenti».
Cosa ha provato?
«Angoscia, paura. Una certa educazione mi aveva trasmesso questa specie di macigno: gli esseri umani normali nascono maschi e femmine, destinati a unirsi. Poi ci sono i diversi, forse malati, forse perversi, i gay. E io ero uno di questi».
Dopo la prova specchio cosa ha fatto?
«Mi sono rivolto ad alcuni sacerdoti. Tra questi importante è stato don Domenico Pezzini, animatore del gruppo “La Fonte” di Milano, composto da cristiani omosessuali. Don Domenico mi ha aiutato a capire che non sono un figliastro di Dio. Anzi, mi ha aiutato a scoprire una cosa bellissima: l’omosessualità è una manifestazione della fantasia di Dio».
Si è sentito rassicurato?
«Mi è stata indicata una strada. Percorrerla non è stato facile. Per molto tempo sono rimasto solo. Con le donne mi rendevo conto che non aveva senso. Con gli uomini non avevo il coraggio di andare. Per fortuna avevo il mio lavoro, i miei studi, i miei impegni».
La svolta?
«E’ accaduto alle Terme di Saturnia. Frequentando le vasche, mi accorsi che in un angolo c’erano altri uomini, miei coetanei, che facevano il bagno, un po’ appartati. Mi metto a parlare e mi accorgo che erano come me. Anche loro avevano ormai passato i trent’anni.
Anche loro erano soli. Anche loro in crisi con le donne. Qualche sera è successo che, oltre alla parola, allo scherzo, ci è scappato un abbraccio, un contatto. Grazie a loro ho cominciato a sciogliere l’iceberg. Uno di loro, un coetaneo maremmano, cattolico anche lui come me, è stato, lo posso dire senza vergogna, un mio primo grande amore».
Se lei non fosse stato cattolico, le sarebbe stato più facile accettare la sua condizione gay?
«Nella Chiesa si vieta ogni forma di sesso, con l’eccezione di quello matrimoniale. E’ un peso difficile da portare. Non è sempre stato così, il mondo cristiano non è sempre stato così prigioniero di questo gelo moralista. E in futuro le cose cambieranno ancora, si tornerà a tradizioni più autentiche. Oggi nel mondo cattolico, per qualcuno sono ancora un problema, ma per molti, come uomo e come cristiano, sono considerato anche parte della soluzione».
La sua famiglia e gli amici come hanno accettato la sua condizione di omosessuale?
«Ho avuto sempre più paura io dei miei familiari e dei miei amici. Loro sono stati coraggiosi e semplici. Io purtroppo non sempre».
Essendo lei una persona socialmente impegnata, ha avuto delle complicazioni in più?
«Ero più visibile, più esposto, certo. Sia quando ero impegnato a Prato, che poi a Pisa. Sono cominciate le telefonate anonime, specie in prossimità delle elezioni… Ho temuto molto che mia mamma e i miei familiari potessero soffrire battute cattive o insulti. E’ così che sono arrivato a fare in modo che tutti, prima che lo sapessero da altri, in modo pettegolo o malevolo, lo sapessero da me».
Momenti belli, nella sua storia?
«In primo luogo la riconciliazione con la mia identità cristiana, che devo a sacerdoti come don Domenico Pezzini. Poi il sostegno che ho ricevuto da amici e colleghi. Vorrei citare soprattutto Alessandro Antichi. Infine gli abbracci di mia mamma, che hanno significato rinascere una seconda volta…».