Ricordando Giovanni Giudici, un gay cristiano testimone del nostro tempo
Un ricordo del pastore valdese Gregorio Plescan di Giovanni Giudici
Il 21 dicembre 2008 è improvvisamente scomparso, nell’albergo di Mestre ove lavorava come portiere notturno, Giovanni Luigi Giudici (ndr fondatore nel 1983 a Padova del gruppo ecumenico di gay cristiani che, nel 1987, prenderà il nome L’incontro e che cesserà di esistere nel 1999).
È difficile riassumere la vita di Giudici, che con la sua personalità esuberante eppur riservata ha messo le nostre chiese di fronte ad alcuni nodi fondamentali. Egli ha vissuto in prima linea l’impegno e le difficoltà della solidarietà concreta con le persone omosessuali in generale e con i malati di AIDS in particolare.
Da molti anni gestiva a Marghera (Venezia) una casa d’accoglienza per sieropositivi, sostanzialmente da solo (e nel passato anche incompreso e osteggiato) e questa era la sua personale testimonianza di fede: essere vicino agli ultimi e ai sofferenti senza falsi moralismi e né quei sofismi che molti di noi hanno quando si parla di dolore e drammi umani.
Ricordiamo le sue vivide descrizioni della sofferenza dei malati e delle loro famiglie e la difficoltà di aiutare senza piaggeria. Indimenticabili sono stati alcuni suoi interventi a favore della diffusione dei preservativi e le critiche alle chiese che non affrontavano a sufficienza questo argomento: il suo modo di porre certi temi in maniera diretta a volte ha scosso il nostro mondo un po’ perbenista, ma ci ha anche costretto a riflettere su una realtà su cui di soliti si preferisce sorvolare.
Era un osservatore attento e caustico della realtà, soprattutto religiosa, e in questa veste ci ha spesso messo in guardia dal rischio di un ecumenismo facilone, affascinato dalle cerimonie pubbliche, sedotto da quegli eventi che possono dare la sensazione di una concordia immediata ma incapaci di riconoscere i problemi; con i suoi contributi ci ricordava quanto sia facile ignorare le differenze essenziali e vive che ci sono tra evangelici e cattolici: la fede in Cristo contrapposta all’obbedienza a un’istituzione.
Giudici era francamente anticlericale e aveva il coraggio di mettere il dito nella piaga del cattolicesimo: il problema dell’ipocrisia nella morale sessuale, la cupidigia nella ricerca affannosa di finanziamenti pubblici e le ingiustizie derivate dal Concordato.
D’altra parte era anche capace di gesti di ecumenismo concreto: spesso ricordava il funerale di un suo “paziente” travestito di origine ortodossa, di cui era stato praticamente l’unico partecipante e nel quale aveva dovuto fungere da “chierichetto” dell’archimandrita greco.
Giovanni Luigi Giudici è stato spesso presente sulla stampa locale e nazionale come commentatore puntuale di ciò che accadeva: dato il suo lavoro aveva molto tempo per leggere i giornali e quasi settimanalmente offriva alla nostra comunità di Mestre una vera e propria rassegna stampa.
Anche le sue ultime volontà sono state coerenti con il suo modo di essere, che definire “sobrio” è riduttivo dato che non possedeva praticamente niente: essere seppellito avvolto in un lenzuolo, con una rosa rossa.
Giovanni Luigi Giudici ci ha rammentato che i santi, intesi come modelli ideali di tutto ciò che noi non siamo, non esistono, ma che la Bibbia ci permette ad essere “beati”: possiamo incontrare l’altro nella sua sofferenza e camminare al suo fianco, testimoniando in questo di Gesù Cristo, che non è venuto a giudicare gli uomini e le donne, ma a salvare il mondo, anche chi viene tenuto particolarmente in disparte.