Sogno una Chiesa cattolica accogliente
Lettera di don Valentino alla Gazzetta d’Alba n. 23 del 7 giugno 2000
Non solo i fedeli ma spesso anche i loro pastori riflettono ad alta voce e sognano una chiesa che sa accogliere prima che condannare, che sa capire prima di giudicare, che sà ascoltare prima di parlare…
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Ho seguito in questi giorni la polemica sul “gay pride”. Non nascondo di aver provato un profondo senso di sofferenza di fronte all’atteggiamento della Chiesa per il raduno degli omosessuali.
Non mi è piaciuta questa chiusura, questo fare pressione sull’autorità civile per impedire questo raduno. Mi sarebbe piaciuto molto di più una Chiesa con parole di accoglienza, di amicizia, di amore, di tolleranza, di compassione (nel senso di patire con loro).
Quante umiliazioni, quante sofferenze, quante angosce hanno subìto in passato e subiscono nel presente queste persone! Come sarebbe stato bello sentire dal Papa, dai vescovi, dai sacerdoti, parole di fede, di speranza, di comprensione per persone che hanno sofferto e soffrono.
Avevo seguito con gioia il “mea culpa” del Papa in cui chiedeva scusa delle colpe della Chiesa del passato. Mi ero commosso, e l’avevo scritto, di fronte al Papa sul Sinai che esortava cristiani, ebrei e musulmani a ritrovare le comuni radici nel Dio di Abramo, per un discorso di collaborazione e di pace. Anche a Fatima, nonostante l’indulgere sul segreto…, mi aveva colpito questo presentare la Chiesa del ventesimo secolo in una lotta titanica contro l’ateismo.
Avrei desiderato fosse il Papa ad invitare gli omosessuali in piazza San Pietro e dire loro parole di speranza. Forse non è ancora il tempo; devono camminare gli omosessuali e deve camminare la Chiesa. Qualche anno fa nessuno avrebbe osato sperare un 1° maggio del popolo della Cgil al Colosseo col Papa. Mi spiace che le strade della sofferenza non possano essere abbreviate.
Nel mio impegno pastorale, soprattutto in un certo settore dell’emarginazione, ho incontrato molti omosessuali, ho visto molta sofferenza. Ho visto anche molta sofferenza tramutarsi in rabbia. Così avverrà, probabilmente, a Roma. Il corteo si farà, sarà blasfemo, anticlericale. La rabbia farà fare molte cose che potevano essere evitate.
Non ho mai pensato di andare a Roma per il Giubileo. Sono tentato di andare con loro a raccogliere le bestemmie, gli insulti, la rabbia, l’esibizionismo che ci sarà in quel corteo.
Sono convinto sia molto importante raccogliere la rabbia dal di dentro non il giorno dopo sui giornali, giudicando il tutto dal di fuori. So però di non essere all’altezza, spero che qualche mio confratello che lavora nelle comunità tossico abbia la voglia e il coraggio di farlo, potrebbe essere un gesto profetico.
La Chiesa ha perso una grande occasione di essere accogliente, di essere Chiesa che accompagna, che dialoga, che si confronta nella fede con loro. Siamo sicuri di non avere nulla da imparare?
Ho condiviso le sofferenze di giovani che si sono resi conto di essere omosessuali, uno di questi aveva 30 anni e non l’aveva mai detto a nessuno. Si vergognava, si sentiva in colpa, non sono riuscito nemmeno a mandarlo da uno psicologo amico. Un mondo ostile e ottuso gli ha reso la vita impossibile.
Ho in mente i pianti disperati di una mamma che aveva appreso che suo figlio era omosessuale. Era una donna di fede, ma la fede non l’ha salvata dalla disperazione, dal maledire Dio e tutto il mondo: «Perché Dio ha voluto per me questo castigo? Non poteva farlo morire piccolo?».
Non sono riuscito a scalfire la sua disperazione. La vita che per un credente è pur sempre un dono di Dio, diventa castigo… Mi pare che qualche cosa non funzioni.
Conosco coppie di omosessuali con una grande fede, con un’alta spiritualità, con una lettura approfondita della Bibbia. Conoscere queste persone per me è stato molto importante.