Sabato metropolitano a Milano, tra convegni ideologici e cuori sotto i grattacieli
Articolo di Paolo Di Stefano pubblicato sul Corriere della sera – edizione di Milano del 18 gennaio 2015, pag.21
Ecco a voi lo strano sabato di Milano. È Milano la città della moda, quella della Bicocca e delle sfilate luminose negli show room ; ed è Milano quella della palazzina dismessa dell’ex Derby, a due passi da San Babila, occupata dai gruppi No Expo che avevano previsto un’assemblea nazionale negli spazi dell’Università, in via Festa del Perdono, prima che il rettore chiudesse la Statale per «motivi di sicurezza». È Milano quella del convegno sulla famiglia «tradizionale» organizzato alla Regione con il logo onnipresente di Expo; ed è Milano quella dei movimenti e dei cittadini anti omofobia, che protestano in piazza Einaudi.
«25.4.1945-16.1.2015: qui riposa la democrazia di Milano, uccisa da chi chiude spazi di libertà universitari, nega il diritto di critica e la libertà d’opinione. I cittadini milanesi affranti posero». La lapide cartacea campeggia in un angolo di via Mascagni 6, sotto il cui porticato di cemento i ragazzi e le ragazze intabarrati, a piccoli gruppi, dentro giubbotti neri confabulano fumando di tutto. Pacifici, forse un po’ sperduti o forse no. Al primo piano si aprono i workshop della lotta : università, Expo, genere, tre sale, diversi comitati e collettivi, tre temi-chiave.
Andrea, attivista di Soy Mendel e precario del mondo della musica, ha 36 anni e non ha dubbi sulle eredità che lascerà Expo: «Debito, cemento e precarietà». Lavoro e precarietà sono le parole più ricorrenti sulle labbra e sui muri. «In 14 anni — dice — avrò firmato 50 contratti a progetto». Nel pomeriggio l’assemblea sarà una ressa disordinata, ma silenziosa come in un convegno scientifico.
Claudio, detto Ceru, è un ricercatore precario di matematica, che vanta una battaglia campale, nelle file del centro sociale bergamasco Pacì Paciana, contro l’«inutile» autostrada Brebemi e lamenta la mancanza di futuro. Dice che a 32 anni per andare dal dentista ha dovuto chiedere un prestito a suo padre. Le parole rimbalzano, mescolando slogan già sentiti (il «comando capitalista», i «processi rivoluzionari»)e formule imprevedibili(«battaglia paradigmatica», «smascherare la grande opera»).
Qualcuno avverte che bisogna evitare «la narrazione della sfiga», sollecita ad «allacciare le resistenze» e a costruire finalmente una «cartografia delle lotte». Le donne sono più allegre. Carlotta, con i collettivi Ambrosia e Le Lucciole, vuole «denunciare le strategie omofobe pinkwashing » di Expo, «incubatore di precarietà». Viene srotolato un lungo striscione che dichiara: «Contro Expo e omofobia lesbismo e sodomia».
Quel che confonde non è la protesta quieta dei ragazzi, studenti delusi dall’università e giovani in cerca di un minimo di certezze. Quel che confonde è la presenza di milanesi di mezza età, distinti signori e signore, che sono qui «per capire e per solidarizzare, perché questi giovani dopo tutto non hanno torto e vanno ascoltati, se no è un casino», dice Roberto, capelli bianchi e nessuna nostalgia del ‘68.
Tutti in piazza Einaudi, per il presidio antiomofobo sotto i grattacieli nuovi del quartiere Garibaldi. La minaccia della pioggia è stata breve e ora rimane il freddo di questo gennaio un po’ qualunque se non fosse per il «vento elettrizzante» che spira sui movimenti arrivati qui per protestare contro la Regione, Maroni, la «famiglia naturale» e il Paese retrogrado: e anche gli etero si fanno sentire, non mancano i genitori che accompagnano i figli. A Milano, «una ventina d’anni fa le raffiche aumentarono sino a innescare una bufera di proporzioni inaudite», scrive Mauro Novelli in Festa del perdono , un libro di «cronache dai decenni inutili» pubblicato da Bompiani (con racconti di Bertante, Domanin, Janaczek, Nove, Papi e Scurati).
Una nuova bufera. È quel che temono le autorità cittadine, a giudicare dalle camionette e dallo schieramento di poliziotti che isolano le strade verso Palazzo della Regione. E invece è una festa pacifica, che si conclude con un ballo sul palco. Una allegra sagra paesana, si direbbe, se non fossimo nella metropoli che aspetta l’Expo.
Bandiere dell’Arcigay, del Partito Comunista, della Pace, anche dei giovani del Partito Democratico, che si dicono in rotta con Renzi («non affronta il tema dei diritti civili») e vicini ai giovani 5 Stelle che non concordano con i modi di Grillo. Ci sono anche i Sentinelli in piedi e le Famiglie Arcobaleno.
Il cosiddetto flash mob ha un marchio diffuso in rete: è il segno «=» dentro un cuore rosso, che rivendica: «ogni amore è uguale». «L’unica malattia è l’omofobia» è lo slogan.
E una marea di volantini si rivolgono a Maroni: «Roberto, perché non hai invitato anche me?». Ingrid e Lorenza, che si sono sposate in Svezia, sono arrivate qui da Firenze per portare il loro esempio. Lorenza, prima di partire, ha detto a sua madre che veniva a Milano per protestare contro le terapie riparative. E sua madre: «Ma cosa riparano?».