Arbeit macht frei. Tra gli uomini-schiavi dei lager nazisti
Articolo pubblicato sul sito Les “Oublié(e)s” de la Mémoire (Francia) il 17 luglio 2009, liberamente tradotto da Dino
Nei campi (di concentramento) misti, chi non veniva sterminato già al momento del suo arrivo, chi era più adatto a lavorare, faceva allora conoscenza con le più efferate condizioni di vita dei campi, dove l’arbitrarietà, il cinismo e la crudeltà regnavano sovrane.
Il lavoro spossante, le botte, le privazioni, le malattie, la morte stava in agguato in attesa del loro più piccolo passo falso, volontario o meno, per non parlare degli esperimenti “scientifici” per i quali i deportati a volte venivano impiegati come cavia. In breve l’avevano vinta sulla maggior parte dei deportati. L’aspettativa di vita generalmente era limitata a pochi giorni, ed essi diventavano così gli schiavi di questo terrificante sistema disumanizzante che li portava ad essere gli strumenti dell’annientamento di se stessi.
Gli omosessuali appena arrivati venivano immediatamente inseriti in gruppi di lavoro speciali, con il compito di eseguire mansioni particolarmente dure ed umilianti.
“Al mattino eravamo costretti trasportare la neve davanti al nostro blocco dal lato sinistro della strada a quello destro: il pomeriggio trasportavamo la stessa neve dal lato destro a quello sinistro. Per fare questo lavoro non disponevamo nè di pale nè di carriole, poichè per noi finocchi, sarebbe stato troppo facile. No, i kapò avevano escogitato di meglio.
Dovevamo rigirare il nostro cappotto, mettendo il lato con i bottoni sulla schiena, e trasportare la neve nelle falde rimboccate. Ed è con le mani nude che scavavamo la neve e la trasportavamo. (…) Le nostre mani erano tagliuzzate dalla neve e dal ghiaccio, e semicongelate. Eravamo diventati gli schiavi inebetiti ed indifferenti delle SS”.
Heinz Heger descrive un nucleo speciale costituito da omosessuali e da qualche ebreo. Il suo scopo era di costruire un terrapieno destinato a trattenere le pallottole dietro i bersagli del campo di tiro. Le SS preferivano infatti sparare direttamente ai deportati.
Questo gruppo di lavoro durò circa quindici giorni, ma in esso ci furono più di quindici morti. In proporzione al numero dei deportati, questo nucleo, per il tempo della sua durata, ha avuto più morti di quello della cava d’argilla. Lavori forzati e torture erano il destino di tutti i deportati ma i triangoli rosa hanno dovuto subirli in modo particolarmente accanito.
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FONTI:
– Les hommes au triangle rose, Journal d’un déporté homosexuel 1939-1945 de Heinz HEGER – (réédition H&O 2006)
– C’Était Ça Dachau 1933-1945 de Stanislav Zámecník (Fondation Internationale De Dachau 2003)
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Testo originale: Le travail concentrationnaire