Come la canzone di Povia ha rovinato il dialogo tra me e mia madre
Testimonianza inviataci da Marco
Caro Gionata, ho trent’anni e vivo a Milano. Costretto a casa da un po’ di influenza ho visto la puntata finale del Festival di Sanremo. Mi capita sempre più di rado di godermi una serata di relax di fronte alla tv, e questa era una occasione giusta per poterlo fare.
Ero avvolto in una coperta sul divano, ed ero solo perchè il mio ragazzo era fuori per una cena di lavoro. Nel complesso, devo riconoscere che è stato un bello spettacolo, organizzato bene.
Sapevo di Povia e della sua tanto contestata canzone “Luca era gay”, ammessa tra mille malumori, ma ho deciso di guardare lo stesso il Festival, premurandomi di ignorare quella canzone.
Durante l’esibizione di Povia, ho messo la tv “muta” e, avendo il pc acceso, ne ho ascoltato su youtube la versione satirica di Carmine di Pancrazio. Alla fine, “Luca era gay” è arrivata al secondo posto. Questa è, in fondo, una prova del nove, la cartina al tornasole del livello di omofobia che si respira in Italia.
Non sto dicendo che tutti coloro che hanno votato per questa canzone sono omofobi, perchè, paradossalmente, anche un gay avrebbe potuto votarla, apprezzandone ad esempio la melodia. E neanche si può escludere che esista almeno un amico gay di Povia, ammesso che ne abbia, che ha votato per lui.
Quello che voglio dire è che, dato il clima di omofobia persistente che c’è in Italia, presentare una canzone simile, ammetterla e addirittura votarla significa assumersi un rischio. Il rischio che contribuisca ad alimentare quel clima d’incomprensione e, talvolta, d’odio contro i gay.
Se anche fosse ammissibile in ordine alla libertà di espressione, questa canzone è profondamente inopportuna, e, date le circostanze, appare fondamentalmente immorale perchè il suo messaggio potrebbe facilmente accondiscendere in modo perfido, subdolo e strumentale la promozione di ideologie e pratiche finalizzate al cambiamento di orientamento sessuale, pesantemente disapprovate dalla stragrande maggioranza degli psichiatri e degli psicologi per i potenziali danni alla salute delle persone.
La storia raccontata nella canzone non contiene tecnicamente delle generalizzazioni. Dunque, è al riparo dalla critica di essere stereotipante. Ma ha una inevitabile capacità di suggestione. Anche un film dell’orrore è in fondo una storia. Ma con la capacità di suggestionare fino all’angoscia, perchè tutti abbiamo una più o meno accentuata attitudine all’immedesimazione.
L’orrore messo in scena da Povia è che il protagonista Luca “incolpa” i genitori per le sue avventure sessuali. In questo quadro, passa del tutto in secondo piano il fatto che Luca non sia in realtà nemmeno gay, dal momento che, per sua stessa ammissione, non era realmente innamorato del suo ragazzo, ma lo sarà invece di una ragazza. Passa del tutto in secondo piano, l’happy end di un ragazzo che, alla ricerca del suo orientamento sessuale, attraverso esperienze diverse si scopre infine eterosessuale.
Il messaggio che passa è che Luca “era gay” per via di una madre che lo scoraggia a sposarsi, per via di un padre che è spesso via per lavoro, per via dei genitori che alla fine si separano. Chi è secondo voi che si immedesima di più in questo racconto?
Un ragazzo gay felicemente fidanzato con il suo ragazzo oppure i suoi genitori che, come talvolta capita, sono preoccupati per aver “sbagliato qualcosa”, lacerati dal dubbio di essere stati causa di sofferenze del figlio?
Questo è il vero orrore: risvegliare vecchie ferite e sensi di colpa in tanti genitori italiani, come se loro, i genitori, siano in fondo i maggiori responsabili delle condizioni di vita dei figli e dei loro comportamenti, ignorando del tutto il ruolo del caso, della natura e dell’autonomia personale dei figli stessi.
La mattina dopo il Festival ho chiamato mia madre. Abbiamo parlato un po’, poi le ho chiesto se le era piaciuto il festival. Mi ha risposto di sì. Mi ha detto che avrebbe preferito se avesse vinto un’altra canzone. “Quale?” le ho chiesto con una punta di orrore. “Quella di Sal da Vinci” mi ha risposto.
Ho tirato un respiro di sollievo e le ho detto “Va bene. L’importante è che non ti sia piaciuta quella di Povia”. E lei: “A me è piaciuta, e tu sei sempre il solito testardo”.
Ho chiuso la conversazione. Se avessimo continuato avrebbe ribadito che non riconosce l’esistenza dell’amore tra me e il mio ragazzo. Il messaggio di questa canzone, con la sua capacità di indurre generalizzazioni, si è abbattuto in modo inequivocabile su oltre due anni di faticoso dialogo e di cammino per comprendere e portare serenità in famiglia.
Considerato anche il livello medio di ignoranza e incomprensione dei temi legati all’orientamento sessuale, il risultato è che questa canzone rischia di produrre ulteriore confusione, senza che venga operata una distinzione critica fra la storia raccontata e una qualsiasi altra storia di ragazzi gay.
Povia, spero che tu rifletta sul male che stai arrecando alla mia famiglia e a tante famiglie italiane come la mia.