“Luca era gay” è anche colpa nostra
“Luca era gay” vuole proporsi come una storia fra le altre. In realtà, il messaggio di Povia gioca sul filo dell’ambiguità e non sappiamo esattamente chi è davvero questo Luca. Non è narrata una storia inequivocabile, ma sta all’ascoltatore immaginarne i retroscena.
Scegliete quello che vi sembra più calzante tra i seguenti: a) Luca è eterosessuale, ma prima di scoprirlo e accettarlo, vive una relazione omosessuale; b) Luca è bisessuale, dapprima vive una relazione omosessuale, successivamente una relazione eterosessuale. Appare del tutto incidentale e ininfluente che la relazione omosessuale sia delle due quella meno appagante. Poteva essere esattamente l’opposto; c) Luca è omosessuale. A un certo punto della vita decide di fingere a se stesso e agli altri di essere eterosessuale, pur restando intimamente omosessuale.
Quali che siano le circostanze, il messaggio che passa è che Luca “ce l’ha fatta”: finalmente non è più gay. Magari resta fondamentalmente omosessuale, ma almeno non si comporta più da gay. Magari rinuncia alla sua vera identità, al vero amore, alla vera felicità, ma almeno riceve maggiore approvazione dalla società in cui vive e, dunque, riesce finalmente a raggiungere un po’ di serenità, e un po’ di coerenza con le sue convizioni religiose, a costo di qualche menzogna.
Alla penosa ambiguità della morale di questa storia si associano elementi fortemente negativi nei confronti della relazione omosessuale. La relazione narrata è ai limiti della pedofilia, essendo un rapporto adulto-ragazzo, e come se non bastasse torna il leitmotiv del tradimento già presente nella canzone “Il mio amico” di Anna Tatangelo.
Degne di particolare menzione sono le strategie cognitive di Luca in rapporto alla religione. Luca è cristiano, verosimilmente cattolico, ed è incatenato ad un’esegesi ampiamente screditata dagli stessi vescovi, secondo cui ci sia incompatibilità tra essere gay e essere cristiano.
Luca ha certamente fede, ma risente del fondamentalismo omofobo che gli impone di contrapporre l’adesione acritica ad una certa “purezza cristiana” contro la ricerca della verità e contro la sua stessa integrità morale.
Luca dice: “se credo in Dio non mi riconosco nel pensiero dell’uomo”. Vale a dire: “se aderisco a una certa visione religiosa, rinuncio a ogni riflessione critica su me stesso, sulla mia vera sessualità e sulla morale sessuale in generale.
E rinuncio anche a riconoscere per buone le acquisizioni della scienza in materia di sessualità umana e orientamento sessuale”.
Quello di Luca è un tentativo di “cambiamento sessuale” intrapreso non in una prospettiva terapeutica (non si parla in effetti né di malattia, né di guarigione), ma in ragione di una precisa coerenza con le proprie convizioni religiose (“…se credo in Dio…”).
Questo è precisamente il principio dell’autorinnegamento espresso dai teorici del disordine morale, che ho descritto e criticato nel mio libro L’amore forte.
Povia racconta una storia perfettamente incardinata in uno schematismo ex-gay di matrice cristiana fondamentalista.
Sui fallimentari tentativi di cambiamento dell’orientamento sessuale promossi da sedicenti associazioni cristiane si possono leggere numerose testimonianze su internet, ed è nata pure un’organizzazione di sopravvissuti (beyondexgay.com).
Per questo ritengo che se “Luca era gay” ed ora è un omosessuale represso è anche colpa nostra. Colpa nostra in quanto l’ideologia di fondo nasce tra noi cristiani. Certo, non tra noi cristiani “gay-friendly”, ma tra i nostri fratelli e sorelle cristiani colpiti dall’omofobia.
E gli uni dovrebbero essere i primi ad aiutare gli altri ad intraprendere un percorso di dialogo e di conoscenza, nelle parrocchie, nelle diocesi, nella comunità in generale.
Per questo motivo vorrei spezzare una lancia a favore dell’associazione Arcigay, da estraneo alla sua dirigenza e senza alcun interesse in gioco all’interno di quella associazione. Diciamoci la verità, noi cristiani “gay-friendly” stiamo lasciando alla sola Arcigay il compito di difendere la dignità delle persone omosessuali in questo paese.
E’ vero che in Arcigay ci sono certamente attivisti di fede cristiana, ma resta che l’associazione non è una organizzazione di ispirazione religiosa, come potrebbero esserlo l’Acligay o l’Azione cattolica gay. Ma per veder nascere queste associazioni dovrà passare ancora un po’ di tempo.
Inoltre, la storia personale dei principali esponenti di Arcigay si è collocata per decenni nella politica attiva, e precisamente nel centrosinistra. Questo potrebbe aver scoraggiato e potrebbe scoraggiare tuttora molti gay di centrodestra dal sentirsi appropriatamente rappresentati da quella associazione.
Arcigay ha dei limiti nella capacità rappresentare adeguatamente le convinzioni di tutti i gay e di tutte le lesbiche d’Italia, ma è senza dubbio la voce più importante, il baluardo più importante, il punto di riferimento per chiunque voglia dialogare con il mondo gay.
Arcigay e la sua dirigenza si espongono e, per questo, avranno sempre amici e nemici, sostenitori e oppositori. E’ fisiologico se talvolta vengono criticati anche dall’interno della comunità gay per le loro scelte, per il loro modo di fare attivismo, per il loro modo di protestare.
Lo fanno per difendere i diritti dei gay e delle lesbiche in un paese che rischia di dimenticare il valore del rispetto per le minoranze.
Per questo, anche da cristiani, indipendentemente dalle nostre opinioni politiche, dobbiamo essere grati ad Arcigay per aver attuato iniziative costruttive contro la canzone di Povia.
Ma lasciare ai soli atei, agnostici e deisti il confronto con i cristiani omofobi, significa per i cristiani gay friendly rinunciare all’azione, non avere il coraggio della carità, non avere più speranza, né fede, rinunciare in fondo ad essere cristiani.
Per questo dobbiamo fare autocritica e riconoscere che se “Luca era gay” ed ora è un omosessuale represso è anche colpa nostra. E dobbiamo impegnarci molto di più.