Perchè volete lapidarmi? (Giovanni 10, 31-42)
Riflessioni bibliche di Stanislao Calati
In quel tempo, i Giudei raccolsero delle pietre per lapidare Gesù. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». (Gv 10,31-42)
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La lapidazione per la bestemmia era prevista a partire dalle prescrizioni del Levitico (cfr. Lev. 24); bestemmia era, in concreto, l’abuso del nome di Dio, del Tetragramma Sacro: YHWH. Il bestemmiatore punito di Levitico 24, infatti, ingiuria e maledice il nome di Dio.
Gli avversari di Gesù, che Giovanni definisce genericamente i “Giudei”, lo accusano di bestemmia; ottimo pretesto per toglierlo di mezzo. Gesù si difende: certo non ha mai bestemmiato il nome del Padre celeste, e risponde all’accusa argomentando a partire da una citazione della Scrittura: Io ho detto: “Voi siete dèi, siete figli dell’Altissimo” (Salmo 82:6 / CEI 81:6).
Nell’interpretazione tradizionale corrente al tempo di Gesù, quella frase di Dio era riferita a tutti gli Israeliti, cui, appunto, Dio aveva rivolto la sua Parola, direttamente e poi tramite Mosè e i Profeti.
Lo schema argomentativo, caratteristico anche nelle discussioni fra i maestri della Legge, è quello che si definisce “dal minore al maggiore”: se tutti gli Israeliti, per primi i suoi avversari, sono figli di Dio, tanto più è legittimo chiamare figlio di Dio il suo inviato, il Messia, il Cristo. E Gesù è l’inviato, il Messia, il Cristo: non pretende d’essere creduto sulla fiducia: sono le opere che compie con l’autorità stessa di Dio a testimoniare.
Nella loro concretezza, sono la prova della relazione unica tra Gesù e il Padre, ma neppure l’evidenza smuove l’orgogliosa sicurezza degli avversari: essi non sono increduli, ci sarebbe speranza; piuttosto non vogliono credere, per non veder crollare i loro punti fermi e, con quelli, il loro mondo. La “religione”, quando diviene un apparato di comode certezze, appesantisce gli occhi, tarpa le ali alla fede e chiude la porta al Soffio di Dio; anche più di quanto faccia l’incredulità.
* Stanislao Calati è docente di Antico Testamento nel corso biblico teologico per la formazione di insegnanti di religione evangelica della Chiesa Evangelica Riformata del Canton Ticino.