Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo (Levitico 19:1-2)
Riflessioni del reverendo Lawrence Sudbuy*
Perché Dio ci chiede l’impossibile? Perché pur sapendo che la “santità”, nell’accezione comune del termine, è appannaggio di pochi esseri umani (forse nessuno), la chiede a tutto Israele (cosa che avviene solo in due casi nel Levitico), cioè a tutto il Suo popolo? Ci vuole prendere in giro o umiliare? Ovviamente no! Per comprendere realmente ciò che il Padre ci sta dicendo dobbiamo capire cosa significhi “santo” nella cultura ebraica. “Santo”, “Qadosh” è un termine complesso che sta ad indicare “lontano dal profano” cioè sia “perfezione” che “consacrazione” ed è in questo senso che dobbiamo leggere il suo utilizzo in questo passo.
Nel momento in cui decidiamo di accettare liberamente di essere quel riflesso divino, quell’immagine di Dio che la Genesi ci dice essere presente in ogni essere umano dall’atto della creazione, allora la nostra libera scelta non può e non deve rimanere, secondo il Levitico, una questione puramente formale, di semplice presa di coscienza di una ontologia comunque esistente indipendentemente dal nostro riconoscimento. L’atto di libero arbitrio di accettare pienamente il seme divino che risiede nell’uomo deve essere atto di piena, totale consacrazione del singolo all’opera di emersione di quell’immagine di perfezione che il Padre ci ha donato nel Suo imprinting e che riposa in potenza in ciascuno.
La consacrazione, la santità, diventa, dunque, lo sforzo singolare di passaggio da potenza ad atto in tale rispecchiamento, uno sforzo che, come comprendiamo nel seguito del capitolo, si esplica primariamente nell’esercizio di equità e giustizia, con il riconoscimento dei sei diritti altrui fondamentali di vivere, di possedere, di lavorare, di vestirsi, di asilo e di dignità umana e nell’accettazione dei doveri, specialmente verso chi è più debole. Questa, allora, diventa la via “di santità” per attualizzare l’”imago Dei” di cui siamo portatori e per partecipare al grande piano divino di costruzione di quel Regno veniente che già esiste “in nuce” in ognuno di noi. .
Libro del Levitico 19:1-2
Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo.
Non ruberete né userete inganno o menzogna a danno del prossimo.
Non giurerete il falso servendovi del mio nome: profaneresti il nome del tuo Dio. Io sono il Signore.
Non opprimerai il tuo prossimo, né lo spoglierai di ciò che è suo; non tratterrai il salario del bracciante al tuo servizio fino al mattino dopo.
Non maledirai il sordo, né metterai inciampo davanti al cieco, ma temerai il tuo Dio. Io sono il Signore.
Non commetterete ingiustizia in giudizio; non tratterai con parzialità il povero né userai preferenze verso il potente: giudicherai il tuo prossimo con giustizia. Non andrai in giro a spargere calunnie fra il tuo popolo né coopererai alla morte del tuo prossimo. Io sono il Signore.
Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d’un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”».
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* Il rev. Lawrence Sudbury, dopo aver ottenuto un master in Studi Biblici e due dottorati in Studi Religiosi e Storia della Chiesa e aver fatto parte della Chiesa Remostrante, entra nella Comunione Unitaria Italiana (nel cui Seminario Valdes ottiene un master di II livello in Studi Pastorali Unitariani), e vi esercita il pastorato per alcuni anni. Dal 2014, in disaccordo con la progressiva de-cristianizzazione dell’Unitarianesimo Universalista, lascia la CUI e, incardinato nella Unitarian Christian Emerging Church, si dedica alla predicazione del ritorno dell’Unitarianesimo al suo alveo naturale cristiano. Vive e lavora a Milano ed è autore di numerosi libri di storia della Chiesa, storia dell’Unitarianesimo e teologia cristiano-unitariana