Sono credente e omosessuale. Che fare?
Lettera e risposta tratta da Famiglia Cristiana n.32 del 12 agosto 2007
Scrive un lettore «Non mi sento un essere contro natura, perché proprio Dio e madre natura mi hanno voluto come sono. Ho, quindi, il sacrosanto diritto di esigere rispetto e di perseguire, per quello che posso, la mia felicità. Leggo Famiglia Cristiana da quando sono piccolo, e almeno dal mio giornale mi aspetto parole di amore e la promozione di un messaggio di tolleranza».
Caro padre, sono un ragazzo sveglio, di bell’aspetto, laureato e professionalmente realizzato. Ho avuto una bella infanzia fatta di amici, sport e primati scolastici. I problemi sono iniziati nella tarda adolescenza, quando ho iniziato a capire, senza accettarlo, di essere diverso da come la società, la famiglia e la scuola volevano che fossi.
Fragile, ho pensato con insistenza al suicidio e, a fasi alterne, anche a farmi prete. Cresciuto in un ambiente molto cattolico, ero il primo a non riuscire ad accettarmi per quello che ero, e a sforzarmi di apparire come tutti mi volevano, nascondendo il doloroso disagio che mi agitava.
Ho mentito e spezzato il cuore a diverse ragazze, ritrovandomi poi sempre a ingannare e a far del male anche a me stesso.
Finalmente, verso i 25 anni, un incontro casuale con un’anima sofferente come me mi ha aperto definitivamente gli occhi sulla mia affettività omosessuale. Non ho smesso di essere cristiano né di amare i miei genitori; non ho smesso di lavorare sodo né di essere un "bravo ragazzo"; non ho smesso di preferire i libri, la musica, gli abiti e gli interessi che già preferivo.
Ho semplicemente deciso di vivere la mia condizione che, di certo, non ho voluto e in nessun modo scelto. Questo, credo mi renda una persona migliore anche agli occhi di Dio.
Non ho ancora avuto il coraggio di rendere partecipi tutte le persone che amo del mio vero essere, ma so che si tratta di un percorso graduale.
Ho provato una grande tristezza nell’apprendere la notizia di quel ragazzino che si è suicidato a Torino perché era omosessuale: e questo mi ha spinto a scriverle. Nessuno può togliermi dalla testa che la Chiesa – che dovrebbe manifestare e diffondere amore e tolleranza – abbia una grande responsabilità in questo suicidio, come in tanti numerosissimi casi "inspiegabili", che vede adolescenti, giovani e anche adulti travolti da un profondo e crescente odio sociale verso i diversi.
Non mi sento un essere contro natura, perché proprio Dio e madre natura mi hanno voluto come sono. Ho, quindi, il sacrosanto diritto di esigere rispetto e di perseguire, per quello che posso, la mia felicità.
Leggo Famiglia Cristiana da quando sono piccolo, e almeno dal mio giornale mi aspetto parole di amore e la promozione di un messaggio di tolleranza.
Marco '77
La risposta…
Quando si parla di omosessualità si formano subito due schiere contrapposte: da una parte gli omosessuali che si sentono attaccati e discriminati, e quindi in dovere di difendersi; dall’altra gli eterosessuali che vedono l’avanzare degli omosessuali come un pericolo per la società, e quindi si sentono in dovere di creare delle barriere difensive.
Non intendo entrare in questa guerra di posizione, ma cerco di mettermi da un altro punto di vista. Mi chiedo: se avessi un fratello o una sorella omosessuale, come mi comporterei? È molto probabile che la prima reazione sia di sconcerto e incredulità. Si pensa a qualcosa di passeggero che verrà rimesso a posto col tempo e con l’aiuto di persone esperte e competenti. Tutto deve ritornare nell’ordine.
Ma quando si vede che le cose sono radicate, allora subentra l’angoscia. La famiglia vede compromessa la sua immagine, specialmente se ha solide radici cristiane. Desidera che la notizia non sia portata a conoscenza di altri, e qui incomincia quel lento e costante martellamento, spesso alimentato dal timore che si venga a sapere all’esterno. Un fratello come si dovrebbe comportare?
Parto da esperienze che ho visto ripetersi in numerose famiglie, specialmente nella reazione dei fratelli e delle sorelle. Ne riporto una in particolare. «È mio fratello, siamo entrambi figli di Dio e figli dei nostri genitori. Dobbiamo aiutarci nel cammino della vita. Il mio amore per lui mi fa sentire "unito a lui", e mi porta a condividere la sua situazione.
Non viene meno la mia stima e il mio affetto, pure se provo difficoltà ad accettare il suo orientamento sessuale. «Capisco che questa tendenza non è un fatto di secondaria importanza, ma segna tutta la sua vita.
Vedo che dovrà affrontare mille ostacoli, che nascono dalla sua condizione di persona omosessuale, e che si riflettono sulla famiglia e, soprattutto, in ogni rapporto sociale. «Però vedo anche quello che lui non riesce o non vuole vedere: che la sua vita futura è priva di tutta quella ricchezza che, invece, nasce da un rapporto eterosessuale. Lui si chiude in un rapporto che non ha quel rilancio permanente che è dato dalla procreazione di nuove vite, che arricchiscono l’esistenza di chi li ha generati e di altri ancora.
Per questo capisco che, quelli come mio fratello, più degli altri, hanno bisogno di chi li sostenga per farli uscire dalla solitudine, e per impedirgli di fare scelte sbagliate. «Vorrei che tutti lo rispettassero come io lo rispetto.
E gli volessero bene come io gli voglio bene. Soffro se penso che potrebbe essere fatto oggetto di scherno, di dileggio, di emarginazione. Vorrei che si affermasse nella società con le sue qualità, il suo lavoro, la sua serietà.
Non vorrei che si intruppasse con quelle persone che, con il loro esibizionistico comportamento, gettano discredito sulle stesse persone omosessuali, rafforzando la convinzione che omosessualità, sguaiataggine e volgarità si identifichino.
Vorrei che come cristiano fosse un credente convinto, un uomo di speranza, impegnato a portare pace e amore agli uomini, e nello stesso tempo costruisse in sé quelle virtù che lo rendono responsabile delle sue azioni, giusto, forte ed equilibrato.
Vorrei che avesse consapevolezza della sua dignità di figlio di Dio e della missione che anche a lui Dio ha affidato. «Vorrei che mi aiutasse a vederlo in questa dignità e non facesse nulla che porti discredito nella sua vita. Se il giudizio della gente sulla sua persona è negativo, questo non deve nascere dal suo comportamento, ma dal fatto che l’occhio degli altri è torbido, e quando l’occhio non è limpido – dice Gesù – tutto diventa oscuro.
«In particolare, gli chiederei di non riversare in modo negativo la sua situazione sull’esistenza degli altri, e di non disprezzare la famiglia fondata sul matrimonio, perché sono le famiglie che danno nerbo e solidità alla società e a tutte le singole persone. Anche a quelli come lui, perché nell’amore dei genitori e dei fratelli possono sempre trovare quell’aiuto che spesso non riescono a trovare altrove.
Infine, vorrei che si ponesse davanti a Dio e gli chiedesse: "A che serve la mia omosessualità? E come devo viverla perché diventi un fatto positivo?". «Naturalmente, dovrei accompagnare tutti questi miei "vorrei" con un sincero proposito di volerlo aiutare, accogliendolo e volendogli bene.
Vale sempre per tutti il principio che Dio ci ha affidato gli uni agli altri. E tutti dobbiamo accoglierci e aiutarci, sapendo rispondere alle richieste del prossimo; ma sapendo anche limitare quelle nostre esigenze che potrebbero risultare poco accette e dannose per gli altri».
D.A.