La gerarchia, l’omosessualità e le coppie di fatto
Lettera e risposta tratta da Famiglia Cristiana n.2 dell'11 gennaio 2004
Scrive un lettore a Famiglia Cristiana: «La Chiesa condanni l’omosessualità, ma non interferisca nelle leggi dello Stato. Che è laico e libero di dare regole di convivenza civile chiare e giuste. Senza fare discriminazioni».
Caro padre, stasera provo una tristezza profonda, che rinnova una sensazione di disagio che da tempo cova dentro di me. Ormai, da alcuni mesi, non vado più a Messa. Non so nemmeno se vorrò ancora incontrare Dio tra le braccia di una Chiesa che ora mi sembra ottusa e ostile. E alla quale non sento più di appartenere. Sono omosessuale.
A 33 anni, dopo percorsi spirituali di un certo spessore, e non senza sofferenza, penso di avere il diritto di fare una scelta di vita coerente con la mia natura: responsabile e serena. Conduco un’esistenza ricca di soddisfazioni, lavoro con grande successo e divido la mia vita fedelmente con il mio compagno (questo vuol dire che, detto in termini dottrinali, accanto alla tendenza c’è anche l’esercizio).
Vorrei esprimere la mia grande amarezza per le posizioni del cardinale Ratzinger in merito alle iniziative di legge circa le famiglie di fatto, e quindi anche il riconoscimento legale delle coppie omosessuali.
Primo: l’ambito della Chiesa è lo spirito e la salvezza delle anime. Nessuna Chiesa deve, a mio parere, interferire nel libero esercizio della democrazia. Un esempio: io sono contrario all’aborto, e sono ben lieto che la Chiesa cattolica ne sottolinei la natura immorale.
Ma so anche, come cittadino, che lo Stato deve assicurare a tutti il diritto di scegliere nella legalità e nella sicurezza. Se fossi una donna e mi trovassi di fronte alla drammatica scelta dell’aborto, so che dovrei fare i conti con la mia coscienza e con Dio; so che dovrei confrontarmi, se fossi cristiana, con la morale della Chiesa.
Ma al mio Stato chiederei regole chiare e strutture sicure per, eventualmente, interrompere la gravidanza con il minimo rischio materiale e legale (sulla morale lo Stato non legifera).
La Chiesa sia libera di pronunciare la sua condanna morale contro l’omosessualità, illumini le coscienze se ritiene di doverlo fare, ma non interferisca con il corso delle istituzioni democratiche.
Come, purtroppo, è avvenuto molte volte nella storia. Come omosessuale so che mi assumo un’enorme responsabilità di fronte alla mia coscienza e a Dio, ma il mio Stato dev’essere libero di darmi regole di convivenza civile chiare e senza discriminazioni. Su questo la Chiesa non deve interferire.
Secondo: nonostante la posizione della gerarchia cattolica, io ho fatto la mia scelta di vita: convivo con il mio compagno. E continuerò a farlo, anche se per adesso lo Stato non ci riconosce legalmente come famiglia di fatto.
Ma riflettiamo: una coppia di omosessuali, una di eterosessuali, due fratelli o sorelle, due amici o amiche che intendono coabitare unicamente per sostenersi reciprocamente, perché non devono poter godere degli stessi diritti di una famiglia? Sto parlando di diritti civili e legali, come agevolazioni per il mutuo della casa, possibilità di assentarsi dal lavoro per sostenere il "congiunto", o regole per ereditare.
Se il godimento e l’esercizio di tali diritti comportassero concretamente una lesione dei diritti delle famiglie tradizionali (eterosessuali e matrimoniali), non sarei d’accordo.
Ma in che modo il riconoscimento delle famiglie di fatto può ledere il significato e i benefici che spettano alle famiglie tradizionali? Mi sento solo, sperduto e abbandonato dalla Chiesa.
E anche incompreso e umiliato. Eppure, non ho fatto del male a nessuno. Ma perché questo accanimento? Oggi la Chiesa ha perso un figlio. Che, nonostante tutto, spera di poter chiamare Dio ancora Padre. Anche se è doloroso il pensiero di non potersi cibare del Pane che dà la vita.
La risposta…
La Chiesa è madre di salvezza per tutti, specialmente per coloro che sono in difficili situazioni esistenziali. Purtroppo, così non è vissuta da molti. Le persone omosessuali, ad esempio, si sentono incomprese e discriminate. Non è facile rispondere ad alcuni interrogativi o capire, fino in fondo, le loro sofferenze, ma almeno vediamo di chiarire alcuni pregiudizi, che sono ricorrenti.
Anzitutto, la Chiesa non condanna la tendenza omosessuale, ma aiuta la persona – una volta che sia accertata la condizione omosessuale – a sapersi riconciliare con sé stessa e a dare senso alla vita secondo i valori che qualificano ogni esistenza umana.
Eterosessuale o omosessuale che essa sia. Ognuno deve fare i conti con i propri limiti. E, a partire da qui, orientare con fiducia la propria vita.
È, vero, invece, che la Chiesa disapprova il comportamento sessuale. Ma in questo non c’è nulla di discriminatorio. Ci sono pure molte persone eterosessuali che – e non per libera scelta – non possono sposarsi.
Anche a loro la Chiesa insegna che il rapporto sessuale ha senso solo in un contesto definitivo e totale, quale è dato dal matrimonio non semplicemente dichiarato, ma realmente celebrato.
Un altro pregiudizio riguarda la presunta interferenza della Chiesa nella legislazione dello Stato. In concreto, si critica il richiamo ai parlamentari cattolici perché si oppongano alla legalizzazione delle coppie di fatto.
E, quindi, anche delle coppie omosessuali. Si afferma che questa è un’evidente interferenza nell’ambito di uno Stato democratico laico: perché una cosa è la morale cattolica, altra cosa sono le leggi dello Stato. Il cittadino ha diritto ad avere una legge laica e non una legge di tipo confessionale.
Certamente, lo Stato laico è autonomo e indipendente da una morale religiosa (cattolica o di altra religione), ma non lo è dalla morale umana, fondata sui valori (diritti) umani. L’obiettivo del legislatore è quello di fare una legge giusta. E, per questo, i criteri di riferimento non possono che essere i diritti umani e le esigenze del bene comune.
Il diritto alla vita, ad esempio, non è un diritto cattolico, ma umano. E, come tale, deve ottenere una tutela giuridica. Così, la famiglia, fondata sul matrimonio, è un bene fondamentale della società e non solo dei cattolici. Il legislatore, quale titolare del bene comune, si preoccuperà di evitare ogni iniziativa che tenda a relativizzare la famiglia con l’equipararla ad altre forme di convivenza.
Che non sono famiglia. Nulla impedisce, tuttavia, che si possano prevedere provvedimenti legislativi a tutela di certi diritti dei singoli, come, ad esempio, pensione di reversibilità, successione ereditaria…
Se il lettore esamina con serenità la sua condizione di vita, s’accorgerà che non è affatto condannato o rifiutato dalla Chiesa. Tanto meno dovrà sentirsi umiliato o dimenticato, ma è aiutato a riconciliarsi con i propri limiti. E, soprattutto, sollecitato a dare senso alla sua esistenza, non a prescindere, ma proprio a partire dalla sua condizione di persona omosessuale.
D.A.