Il sesso del prete: affare da psicologo o divino? Un domenicano s’interroga
Articolo del domenicano Philippe Lefebvre apparso su La Maison-Dieu nel gennaio 2006, poi in Lumière et vie (n° 269, marzo 2006) con il titolo “Il sesso del prete: affare da divano o divino? Domande all’autore del Règne de Narcisse“, p. 101-109, liberamente tradotto da Dino
Sono docente di Antico Testamento alla facoltà di Teologia di Friburgo, in Svizzera, e il mio principale interesse, nell’insegnamento come nella ricerca, è il rapporto tra un uomo ed una donna nella Bibbia.
Questo non è, a mio avviso, un argomento particolare nella Scrittura, ma ne è l’essenza stessa, ricca, coerente, strutturata. In che cosa consiste essere un uomo, una donna?
In cosa consiste il loro incontro, che sia esso a lungo termine o episodico e quali che siano le loro rispettive situazioni di vita? Che cosa rivelano l’uno e l’altro, l’uno per l’altro, quando si incontrano? Conduco questa inchiesta per un duplice scopo: far luce sulle attuali domande di uomini e donne per mezzo della Bibbia, e percorrere la Bibbia con queste domande per poter comprenderla meglio.
Come uomo della mia generazione, come religioso e prete, come formatore in campo pratico da anni, le questioni sollevate dall’Istruzione mi interessano da vicino, così come le reazioni che essa suscita. Vorrei soffermarmi sul commentario di Mons. Anatrella. Questo testo riprende molte tesi della sua ultima opera, Il Regno di Narciso (3), e le propone come strumenti per la cernita dei candidati alla vita sacerdotale.
Leggendo questi due scritti, sono piuttosto sorpreso dallo sviluppo d’insieme. Ho l’impressione che tutto il percorso di quest’autore derivi da analisi uscite da Freud e che questo diventi parola di Vangelo. Dov’è andata a finire la Bibbia?
Mons. Anatrella scrive: “La Chiesa è dunque tenuta a riaffermare che l’omosessualità è contraria alla vita coniugale, familiare e sacerdotale in base ad argomenti che sono prima di tutto antropologici e che confermano alcune ragioni fondate sulla fede cristiana” (p. 2811).
Sarebbe preferibile che l’autore prima definisse di quale antropologia sta parlando e che spiegasse lo svolgersi del suo pensiero: le conclusioni di un’antropologia che non è stata messa in relazione con la Parola di Dio possono imporsi ad una linea di pensiero informato, questo sì, dalla Parola di Dio?
Dov’è Dio?
Nel Sogno di Narciso (p. 36), Mons. Anatrella dice: “Ci si deve interessare allo sviluppo della sessualità che è il risultato del lavoro psichico del soggetto stesso sulla pulsione sessuale”.
Con questo suggerisce che c’è uno sviluppo del soggetto, nei primissimi anni della sua vita, secondo dei meccanismi dei quali soltanto la scienza rende conto e dei quali lo specialista approva o disapprova il funzionamento; egli quindi introduce questa acquisizione scientifica nel dominio religioso – fatto in sè interessante – ma per farne l’unico zoccolo di una riflessione di portata teologica e l’inizio di una linea di comportamento ecclesiale e questo diventa problematico.
In effetti sembra rischioso far dipendere scelte che riguardano le persone dal presupposto scientifico sopracitato, del quale Mons. Anatrella mostra in un altro punto le implicazioni: “I candidati che presentano un’attrazione esclusiva per persone del loro stesso sesso, che abbiano vissuto o meno esperienze erotiche, non possono essere ammessi in Seminario nè agli Ordini sacri.
I problemi che potrebbero presentarsi, come abbiamo messo in luce, sono non solo i rischi di passaggio concreto all’atto sessuale, ma anche e soprattutto degli effetti collaterali inerenti a questa tendenza che provoca delle attrazioni e dei comportamenti incompatibili col ministero diaconale o sacerdotale” (Com p. 32/1).
Tutto questo ha un sapore di scientismo. Una deduzione scientifica, di cui sarebbe d’altronde utile discutere, è l’unica base di una pratica umana e sociale. Il giudizio scientifico fa luce sulla decisione, è lui che ha l’ultima parola. L’ammissione agli Ordini sacri di cui parla l’autore, si realizza dunque senza alcun ricorso al sacro.
Integrare Dio al pensiero
Io non contrappongo, nei confronti del discorso di Mons. Anatrella, dei sentimenti vaghi sulla tolleranza, l’accettazione dell’altro e tiritere simili. Al contrario affermo che è necessario andare oltre nel pensiero, di rapportare risolutamente il suo discorso scientifico con logiche che traggono la loro origine dalla Parola di Dio.
Affermare, mettendosi sul piano teologico, che la sessualità è il risultato di un lavoro fatto dal soggetto stesso sulla pulsione sessuale, vuol dire pensare senza integrare Dio nella questione considerata. Questo può andar bene forse nel procedimento scientifico, ma è difficilmente accettabile tal quale per il teologo. Mons. Anatrella di fatto esclude Dio da un campo essenziale dell’umano.
Questa posizione torna ad affermare la separazione irrimediabile tra Dio e la sua creatura; essa più o meno esorta il pensiero del credente a modellarsi soltanto su verdetti scientifici, peraltro controversi (4).
In pratica, si instaura un ordine di cose che dà origine a vincitori (quelli che hanno operato bene sulla loro pulsione sessuale) e perdenti (quelli che non ci sono riusciti e che quindi sono inadatti a certe funzioni).
Altre tracce di scientismo: l’idea di un carattere ineluttabile di meccanismi psichici, che ben sottolinea l’impressionante terminologia, degna di un referto medico: “Gli effetti collaterali inerenti a questa tendenza”.
Questo eugenismo ecclesiastico comporta dei comportamenti draconiani: una specie di consiglio di revisione delle pulsioni all’ingresso nei seminari e nelle congregazioni. (p. 2912, 30/2).
L’esperienza biblica
La Bibbia afferma che, senza Dio, non ci sono uomini e non ci sono donne, nemmeno possibilità di generare, di fecondità, di maturità. Non c’è dunque alcuna attività pulsionale dalla quale Dio sarebbe assente. Ecco il concreto della nostra vita incarnata che la Scrittura indica da sempre.
Ho ben compreso che l’Istruzione era un breve richiamo disciplinare riguardante un punto preciso e che non deve entrare in tutta una teologia biblica per avvalorare quanto afferma: non c’è proprio bisogno quindi che un commentario dispieghi con dovizia numerosi riferimenti alle Scritture. Sarebbe anzi importante, per un commentatore che affronta l’intimità delle persone, far sentire che il primo specialista dell’umano e delle sue caratteristiche profonde è Dio, il Creatore.
Attualmente in Francia degli psichiatri e degli psicanalisti non confessionali scrivono riferendosi costantemente alla Bibbia (5); è un interesse che si vorrebbe veder condiviso da uno psicanalista che interviene in campo teologico.
Anche se non viene esplicitamente citata, la Bibbia lascia delle tracce nei suoi lettori. Essa istruisce la loro riflessione, insegna a riformulare degli assiomi sviluppati al di fuori della sua sfera e fa sì che essi perdano la loro asprezza originaria. Mons. Anatrella utilizza più volte la formula: “l’esperienza prova che” (p. 30/1, p. 31/1); la Bibbia ci fa accedere ad un’esperienza ben più antica dell’umano al contatto con Dio.
Non è da oggi che si verificano situazioni inaccettabili, che persone che non dovrebbero occupare tale ministero tuttavia lo occupano, che uomini e donne fanno fatica ad emergere (6). Io non dico questo per relativizzare una qualsiasi cosa nè per tirare per le lunghe, ma per ricordare che Dio è a conoscenza da molto più tempo di noi del modo in cui il mondo è sballottato, e anche che non c’è nessuna età d’oro in cui la sessualità era perfettamente inquadrata in un ordine precostituito. Mons. Anatrella scrive: “Il rinchiudersi nella ricerca dello stesso da sè rappresenta la negazione di tutte le differenze” (p. 29); si avrebbe voglia di dire: “Calma!” Quando il nostro cibo è la Bibbia, dunque abituati a vedere delle prostitute entrare prima di tutti gli altri nel Regno, con questo linguaggio estremista non si va avanti molto.
Luci bibliche sulla vita delle pulsioni
In che modo, Bibbia alla mano, domostrare la presenza di Dio nel lavoro di emergenza dell’umano? Bisognerebbe studiare le evocazioni bibliche della vita intrauterina, le situazioni edipiche di molti eroi (vedi Sansone), le storie di violenza e di incesto, le numerose storie che raccontano le difficoltà degli uomini con le donne, alcuni le amano troppo (come David) e altri non abbastanza (come Saul), quello che le donne dicono del loro desiderio, come Rachele, Anna o la Sunamita del Cantico.
Il Messia Gesù nasce nella tribù di Giuda, in cui la sanità delle pulsioni è compromessa da sempre. I figli di Giuda non vogliono bambini, uno di essi, Onan, addirittura pratica una contraccezione che Dio disapprova (Gen. 38); quando Gesù parla del Padre, è in seno ad una famiglia da molto tempo carente di padri e nella quale le identificazioni alla figura paterna vengono realizzate male.
I mille modi in cui Dio governa la vita delle persone e partecipa al loro sviluppo sessuale e sessuato, ecco cosa la Bibbia racconta continuamente. E per molti è una buona notizia sapere di essere stati accompagnati da Dio nei meandri dei loro processi maturativi riusciti o ritenuti falliti.
Dio nello sviluppo di un essere
Mons. Anatrella attribuisce dunque grande importanza al lavoro riuscito sulla pulsione sessuale durante i primi anni del giovane essere umano. Ora, secondo la Bibbia, un essere non è caratterizzato nella sua sostanza da quelli che sono i suoi equilibri pulsionali più o meno riusciti, dalle sue tendenze o dalle sue identificazioni, ma fondamentalmente lo è da Dio. Non tenere in considerazione la presenza e l’azione di Dio nello sviluppo sessuale e psichico di una persona è un grave errore.
Se qualcuno vive in una presuntuosa autarchia, in un universo limitato nel quale pretende di dominare tutto, allora può ben corrispondere a tutti i criteri di normalità, di regolarità sociale, può valersi di ogni sorta di pertinenza, comprese quelle religiose ed ecclesiastiche, non è altro che un “vampiro” come lo definisce G.Lopez in un recente libro, un vero perverso narcisista condannato a rubare la vita degli altri per dare a sè l’illusione di esistere (7).
E questo narcisismo non è legato particolarmente ad una (pre)disposizione sessuale: I pervertiti a cui i salmi fanno così spesso allusione, che divorano il debole senza scampo, non sono connotati con precisione dal punto di vista delle pulsioni.
Il “legame sponsale”
Mons. Anatrella scrive: la persona omosessuale “difficilmente potrà incarnare questa rappresentazione del legame sponsale e della paternità spirituale. L’esperienza dimostra che quest’ultima è frequentemente sviata a fini narcisistici (…) in un contesto di seduzione” (p. 2912-3011).
Da parte mia, l’esperienza sul campo (formazione e accompagnamento di seminaristi, preti, religiosi e religiose, monaci e suore di clausura) mi ha dimostrato che questa devianza dal legame sponsale e lo stabilirsi di un “contesto di seduzione” non sono obbligatoriamente legati alle tendenze sessuali; ci sono dei narcisisti di qualsiasi tendenza e la seduzione prende ogni sorta di piega, secondo il temperamento del manipolatore da cui essa prende origine. Un prete non è seduttore per il fatto di essere omosessuale, ma perchè è privo di Dio.
Gesù rimprovera ai farisei la loro durezza di cuore; a causa di essa Mosè è stato costretto a transigere permettendo loro di ripudiare le loro mogli. “Ma all’inizio non era così” (Mt 19, 3-12). Cristo si rivolge ad uomini che, benchè sposati, non hanno nessuna maturità affettiva. La sola domanda che pongono riguardo ad una donna è: “Come si può ripudiarla?”. Gesù risponde che la frase iniziale di Dio è “Come incontrarla?”.
Quando parla di durezza di cuore, Gesù usa un termine tecnico (cf Deut. 10,16): è il fatto di rifiutare Dio pur avendo sempre Dio nelle propria bocca. Queste persone sono sprezzanti nei confronti delle loro mogli perchè di fatto non hanno per niente accolto Dio.
Il loro lavoro di gestione delle pulsioni forse si è ben realizzato, ma attraverso un completo disastro psichico e spirituale. Alla lettura di una pagina biblica di questo genere, si è meno inclini a vedere nell’accertata eterosessualità di un uomo che vuole consacrarsi a Dio la prova della sua inconfutabile maturità.
Ignoranza e paura delle donne
Quando Mons. Anatrella parla del “soggetto dedito all’omosessualità con la sua paura dell’altro sesso e il suo rifiuto della differenza sessuale”, egli stabilisce (ingenuamente?) per alcuni “soggetti” ciò che in effetti è molto più comune, e che riguarda tutte le tendenze sessuali.
Nel ruolo di prete non è raro ascoltare questa confidenza da parte delle donne: un marito può vivere anni interi della sua vita coniugale senza avere alcuna idea di ciò che è una donna, senza vivere un’autentica esperienza di incontro con la propria sposa. La paura delle donne, la diffidenza nei loro confronti, il rifiuto della differenza sessuale: molti uomini mettono in pretica queste cose, pur avendo un’attrazione per i “soggetti dell’altro sesso” e relazioni sessuali tecnicamente inappuntabili nel quadro del matrimonio. E’ cosa frequente.
E allo stesso modo, molti preti che hanno superato con successo tutti gli esami pulsionali non per questo sono testimoni del “legame sponsale” di cui parla Mons. Anatrella. Forse che tutti i religiosi che abbiamo incontrato mostrano lo Sposo che viene? Ne dubito. Nel corso in cui insegno, commento spesso l’inizio dei Libri di Samuele. I due sacerdoti di Silo abusano delle donne che fanno servizio per loro al santuario, e nello stesso tempo, si impadroniscono del migliore dei sacrifici offerti al Signore (1 S 2). Come si tratta una donna, così si tratta Dio, e viceversa.
Quanto al vecchio sacerdote Eli, padre di questi due abusatori, egli accusa Anna di essere ubriaca quando prega con ardore davanti a Dio (1 S 1, 13-14); spesso manca di discernimento: un uomo, prete in questo caso, non comprende ciò che una donna vive con Dio.
La fiorente eterosessualità dei preti di Silo li mette forse in condizione di onorare Dio e la comunità che essi sono chiamati a servire? L’eterosessualità del sacerdote Eli, padre di questi due preti apparentemente ben identificati alla figura paterna, lo rende adatto a comprendere Anna nel tempio? Ne dubito.
Omosessualità=immaturità
Mons. Anatrella scrive: “L’omosessualità appare dunque come una incompiutezza e un’immaturità di fondo della sessualità umana” (p. 28/1). Egli sviluppa allora (8) questa idea che l’omosessualità sarebbe un arresto della maturazione ad uno stadio infantile e darebbe in età adulta degli inevitabili problemi specifici.
E’ necessario ora vedere in ogni singolo caso, cosa vivono veramente delle persone nell’omosessualità. E per alcune di loro questa incompiutezza è un’occasione nella quale Dio si manifesta, questa immaturità è un luogo un cui Dio dispiega la sua forza. Parlando biblicamente, si chiama questo la logica delle Beatitudini: la carenza irrimediabile come occasione di Dio.
Dire che tutto ciò non può essere applicato in campo sessuale, significa nuovamente limitare l’azione divina e dare una versione espurgata della salvezza: Gesù ci salva, ma ci sarebbero anche dei campi senza rapporto con Lui.
Dire che “l’esperienza dimostra” immancabilmente il contrario, dopotutto equivale forse a non aver abbastanza esperienza. Un prete caratterizzato da tendenze omosessuali può presentare dei rischi a lungo termine; ma può anche essere esperto per parlare della vita ricevuta da Dio là dove essa difetta maggiormente.
E’ necessario, in nome di un rischio ipotetico impedire l’accesso agli ordini sacri ad ogni uomo omosessuale senza distinzione? Questo sarebbe un atteggiamento ben poco virile, la prova di un’immaturità che rifiuta di assumersi dei rischi.
L’incompiutezza necessaria
Ma soprattutto, l’incompiutezza e l’immaturità sono assenti in una personalità eterosessuale? No. La visione scientista di Mons. Anatrella lo porta a porre delle differenze intrinseche, ma esse non sono probanti. Ci sono eterosessuali il cui sviluppo manifesta delle incompiutezze e delle incapacità di fondo. Bisogna allora esaminare in ogni singolo caso chi vive che cosa, e di che cosa è occasione una situazione per una particolare persona. Nella vita consacrata ci sono forse proporzionalmente più problemi nelle persone omosessuali che nelle persone eterosessuali? Ci vorrebbero delle statistiche precise.
In ogni caso, le nozioni di maturità e di incompletezza meriterebbero di essere maggiormente approfondite. Indovino in Mons. Anatrella una visione un po’ “fissista”; si è etero- oppure omosessuali; se si è omosessuali si finisce per deviare presto verso situazioni moralmente incontrollabili, se si è eterosessuali si possiede una stabilità di base (9).
Io riassumo tutto questo un po’ brutalmente (10), ma è una impressione costante che emerge dal suo discorso. Ora, diventare un uomo, sapersi trattenere davanti ad una donna, costituiscono un’impresa difficile, dolorosa ed entusiasmante. Per quelli che vogliono viverla lealmente e che rifiutano di incasellarsi in modelli precostituiti di uomini e di donne, è un cammino in cui procedono sprovveduti, ed è tutt’altro che semplice. Essi fanno l’esperienza che il completamento del loro essere è il lavoro di qualsiasi vita; non deriva ontologicamente da un buon equilibrio pulsionale, ma dalla presenza di Dio (11).
Mons. Anatrella sembra parlare della persona omosessuale come definitivamente marchiata da un deficit, mentre la persona eterosessuale avrebbe raggiunto il suo pieno sviluppo di maturazione al termine del primo periodo di raggiunto equilibrio pulsionale. Significa ignorare la realtà del cambiamento che Dio provoca quando Egli entra in una carne nella quale è stato accolto.
Contesto
Tutti sappiamo che l’Istruzione e i suoi commentari si collocano in un contesto: voglio citarne alcuni aspetti: la militanza gay alla quale si sono dedicati dei giovani religiosi in questi ultimi decenni, l’irrompere degli studi sul genere, che coinvolge anche la Bibbia e la teologia, gli abusi sessuali commessi da preti che hanno riempito le cronache in molti paesi, la difficoltà di collocare il proprio essere sessuato in un mondo in cui uomini e donne hanno acquisito un nuovo stato, ecc.
In queste condizioni, ci sono persone alle quali piace sentire dei richiami all’ordine energici e rassicuranti, e ce ne sono delle altre a cui piace discuterne. E’ ben nota nei conventi e nei seminari la reazione burbera: ” Bisogna battere sul tavolo una volta ogni tanto: ci sono stati talvolta degli abusi”.
E ognuno, intorno alle tazze di scadente caffè che offrono le istituzioni religiose, racconta allora di testimonianze su varie devianze affettive e sessuali tra chierici o aspiranti chierici. Questa reazione, basata su casi innegabili, permette di fare l’economia di un pensiero. E’ vero che noi siamo sconcertati, ma in questo c’è un vantaggio. Siamo spinti a riscoprire, alla luce di Dio, il mistero di essere una donna, un uomo, d’incontrarsi.
Siamo costretti ad ascoltare i richiami della nostra epoca che ci ha formati in ogni modo: sicuramente si deve resistere, ci si deve opporre, smentirli col sostegno di prove; ma si deve anche rispondere, e il miglior modo di farlo non è applicando su di sè un’antropologia ancora tutta da discutere, ma facendo noi stessi il cammino con Dio.
Le questioni che sono poste dall’Istruzione sono reali e concrete. Beniniteso ci sono candidati al sacerdozio da dissuadere per molteplici ragioni, sessuali ed affettive tra le altre. Detto ciò, mi chiedo cosa sarebbe un’istituzione religiosa deputata alla formazione di preti che non fosse toccata dal mondo così come esso è, e che non si ponesse essa stessa le domande che si pone la gente, che si proponesse di servire e di dirigere il popolo cristiano senza poi scottarsi le dita da sola tentando di gestire situazioni complicate.
Certamente un prete deve evitare gli scandali, non deve pesare sopra ad una comunità con i suoi problemi personali; nello stesso tempo bisogna forse pensare che egli debba essere sorridente, libero da ogni questione molesta, equilibrato, chiavi in mano? Io mi pongo domande sull’immagine del “buon prete” che in una visione molto diversa appare nei discorsi di Mons: Anatrella e mi dico che essa ha qualcosa di inadeguato e di irreale.
Un buon prete sa essere vicino a tutto e a tutti, cosa che non significa dare approvazione a tutto e a tutti. Ma egli porta nella sua carne il dolore del mondo, gli interrogativi della sua epoca, gli errori della società in cui vive. E’ un fatto che tutto questo sia destabilizzante, ma si può forse vivere in un altro modo? La stabilità che si acquisisce è fatta per questo mondo, ma essa non viene dal mondo, pulsionale od altro.
Il concreto della carne con Dio
Tutto questo non ci fa lanciare in evanescenti considerazioni cosmiche. Questo ci riporta alla concretezza della carne con Dio, e dunque all’inpegno di tutti coloro che sono pronti a servirla: formatori accanto ai candidati alla vita sacerdotale, “accompagnatori” accanto ai preti in attività.
Quando Mons. Anatrella dice che i preti che hanno tendenze omosessuali avranno bisogno immancabilmente di un’assistenza speciale, tanto medica quanto psichiatrica (12), io penso che egli reagisca in modo oltranzista. Ma egli punta il dito sull’importante questione dell’accompagnamento, che riguarda tutti, qualunque siano le tendenze di ciascuno.
E più che mai la questione di essere un uomo, un uomo con Dio, un uomo di Dio, per i religiosi è al centro di tutto. Questo richiede che se ne parli, che ci sia un seguito, questo prende del tempo, nessuno può d’acchito porsi come detentore di tutte le risposte e di tutti i metodi.Riconoscere la propria essenza di uomo, specialmente nella società attuale, è un’avventura che richiede degli anni, dell’energia e l’intervento di coloro che possono portare la loro testimonianza e il loro sapere.
Che alcuni abbiano maggiormente bisogno di attenzioni rispetto ad altri, è vero: e forse è una cosa incresciosa? E’ così. Quello che è certo è che nessuno può esimersi dal percorrere in prima persona questo cammino. Ecco ciò che importa veramente: il quotidiano della carne che gradualmente si adegua a Dio, con tutto ciò che in essa non conosce ancora Dio.
Da parte mia mi aspetto un educatore, che non trascorra il suo tempo ad indicare quali sono i soggetti indesiderabili che rischiano di contaminare il gregge eletto, ma che abbia il discernimento per vedere la paradossale azione di Dio nella vita di un uomo, così com’è.
Può darsi allora che ciò lo porti ad indirizzare una persona verso un percorso diverso da quello della vita consacrata, ma questo non avverrà per ragioni, un poco inconsistenti, di tendenze ritenute di per sè obbligatoriamente pericolose.
In conclusione
Ecco per concludere alcuni orientamenti che traggo dalla mia propria esperienza di uomo e di educatore:
1) I formatori nei seminari e nelle congregazioni sono padroni della decisione definitiva rguardante un candidato. Quando Mons. Anatrella dice: “(l’omosessualità) è una controindicazione per entrare in seminario ed essere ordinato prete”, e quando aggiunge che sono stati ordinati dei candidati che presentavano questa tendenza per via di un “atteggiamento permissivo” (p. 30/2), va oltre ciò che viene detto dall’Istruzione: Mons. Anatrella rischia di approdare all’opposto di quanto egli desidera.
Mostrandosi autoritario (13), tende a privare i decisori giuridicamente qualificati del loro potere decisionale.
Ora, il potere decisionale è molto importante per un uomo; il fatto di toglierglielo equivale ad attentare alla sua autorità virile. Mons. Anatrella pretende dunque di virilizzare i seminaristi bloccando l’accesso ai candidati sopracitati prorio annullando la virilità dei formatori, poichè toglie loro la facoltà di decidere.
2) Mons. Anatrella aggiunge che quando dei formatori hanno un dubbio su un candidato (riguardante la sua eventuale omosessualità), “essi devono applicare questo principio obbiettivo” (vale a dire spodestare l’impetrante). In un mondo adulto, ci si aspetterebbe piuttosto una frase del tipo: “essi devono parlargliene”.
3) Mi sembra importante spalancare la Bibbia mettendo in luce il suo contenuto, nei luoghi di formazione, attingendo all’ampiezza della sua ricca riflessione sull’essere uomo, essere donna, sull’incontrarsi. La figura del Cristo, vero uomo, deve essere studiata in questa prospettiva: e un tale studio è particolarmente utile nella nostra epoca.
Essa apre un orizzonte, propone una varietà di possibilità: ci sono mille modi di essere uomo e donna; essa consente di evitare di tendere a modelli precostituiti, rischio presente anche nei luoghi di formazione dei preti: essere prete è un modo particolare di essere un uomo e ci sono molti modi di vivere questa realtà.
4) Secondo un vecchio adagio, le qualità che fanno un buon prete sono le stesse che farebbero un buon sposo e un buon padre di famiglia. Mons. Anatrella riprende questa idea: il candidato al sacerdozio “dev’essere in primo luogo idoneo al matrimonio e capace di esercitare il ruolo di padre su dei figli” (p: 29). Si capisce che c’è del vero in tutto questo, ma questo può rapidamente diventare una specie di autostima (narcisistica?): io stesso dico, o lo dice il mio formatore, che sarei un buon marito ed un buon padre, dunque posso diventare prete.
Ora, una delle persone più qualificate a giudicare la qualità di un marito, è una donna. Cosa c’è come voce femminile nella vita di un aspirante prete e dei suoi formatori? E’ una domanda che mi pongo spesso e sulla quale ci sarebbe da meditare.
* Philippe Lefebvre è un domenicano francese professore di Antico Testamento presso la Facoltà di Teologia di Friburgo (Svizzera) ed è consulente della conferenza Episcopale dei vescovi di Francia.
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(1) Tony Anatrella non è un vescovo. “Monsignore” è un titolo onorifico legato alle sue varie funzioni presso il Vaticano…
(2) Il testo di questa Istruzione è comparso nel n°2349 Della Documentazione Cattolica, del gennaio 2006, in un dossier intitolato “Omosessualità e ministero ordinato”, p. 24.39.
(3) T.Anatrella, Il regno di narciso. La posta in gioco della negazione della differenza sessuale, Presse de la Renaissance, Paris 2005. Quest’opera sarà qui citata con l’abbreviazione RN e il commentario comparso nella Documentazione Cattolica con l’abbreviazione Com.
(4) Vedi le interessanti riflessioni di P.Bayard, E’ possibile applicare la letteratura alla psicanalisi? ed. de Minuit, 2004. La psicanalisi ha interrogato la letteratura, ma l’inverso, è anch’esso vero? In che modo si rapportano tra loro i due approcci, come si oppongono l’uno all’altro? ecc.
(5) Gli scritti di M.Balmary sono conosciuti; citiamo anche N.Jeanmet (I destini della colpevolezza. Una lettura della storia di Mosè in chiave della psicanalisi e della teologia, PUF, 2002), D.Dumas (La Bibbia e isuoi fantasmi, 2001), J. Hassoun (sotto la sua direzione: Caino, Diversamente, 1997)…
(6) Mons. Anatrella cita anche dei concili dal 4° al 13° secolo che puniscono “severamente le pratiche omosessuali da parte del clero” (p. 30): la questione è dunque antica e ricorrente.
(7) G. Lopez, Il vampirismo nel quotidiano, L’esprit du temps,2001, pp. 56-57.
(8) RN, Prima parte.
(9) Rimango scettico di fronte ad un’affermazione di RN, p. 61: “Le persone che hanno interiorizzato la loro identità non sentono il bisogno di manifestarsi e di venir riconosciute, come accade a quelle che si organizzano attorno ad una tendenza sessuale, che diventa un avatar identitario, e che impongono le loro pratiche alla conoscenza e agli sguardi di tutti”.
Il bisogno di manifestarsi e di proporsi sulla pubblica piazza è una caratteristica delle persone omosessuali? Ne dubito. Tra altre letture, ci si può rifare ai moralisti del 17° secolo francese per risanarsi da tali affermazioni, ma soprattutto rileggere i Salmi (per esempio il Salmo 73).
(10) E’ vero che certe affermazioni di Mons. Anatrella sono piuttosto brutali. Quando suggerisce che una personalità omosessuale non può accedere agli Ordini sacri, dice: “Le comunità ecclesiali hanno il diritto di avere ministri ordinati che siano autentici, onesti e corrispondenti alle esigenze della Chiesa” (p. 33); non si può fare a meno di comprendere che delle persone nell’omosessualità sarebbero al contrario false, disoneste e trasgressive.
Mons. Anatrella ha scritto riguardo agli eccessi della cultura gay e gli abusi del termine “omofobia” (cf. RN); ciò non toglie che sarebbe gradita una maggior attenzione alle formule, non “sotto l’influenza delle idee di un’epoca” (p. 33), ma per correttezza.
(11) Le descrizioni che Mons. Anatrella fa delle persone omosessuali e delle conseguenze funeste nelle quali le farà precipitare la loro tendenza, si potrebbe applicarle a moltissime persone eterosessuali, impegnate o no nella vita consacrata: “Alcuni adottano dei comportamenti affettivi equivoci, formulano delle critiche mettendo in causa realtà essenziali della vita sacerdotale e contestando verità insegnate dalla Chiesa” (p. 30); vedi anche (p. 32-33) tra i sintomi proposti per “depistare” un’omosessualità che non ha affermato il suo vero nome: tendenza all’isolamento, “diniego delle questioni sessuali”, sessualità fantasmatica, “relazioni selettive” ecc.
(12) “Poichè oltre ai problemi che si porranno nella vita pastorale, noi sappiamo anche, come abbiamo sottolineato, che queste personalità spesso vivono delle difficoltà personali. Esse avranno bisogno di un’attenzione particolare, di regolari interventi dell’autorità e di una presa in carico talvolta accompagnata da un’assistenza medica e psicoterapica”. Com. (p. 31/1-2).
Come formatore io non ho mai notato questa radicale specificità del clero omosessuale. Sono piuttosto colpito che, nelle istituzioni religiose, come o forse più frequentemente che in altri contesti, molte persone si danno da fare per apparire incontestabili e sfuggire a qualsiasi critica, quando invece avrebbero manifestamente bisogno di un’assistenza psicologica ed umana, senza che i loro orientamenti sessuali, conosciuti o meno, siano determinanti.
(13) Cf.: “Questo criterio di selezione legittima non è negoziabile” (p. 30/2).
Ringraziamo Yves di Devenir Un En Christ per la segnalazione di questo articolo.
Testo originale: Le sexe du prêtre : affaire de divan ou de divin ? Questions à l’auteur du Règne de Narcisse