Storie di donne nella Bibbia: Noemi e Rut
Testo del pastore valdese Gregorio Plescan
Al tempo dei giudici un uomo di Betlemme di Giuda andò a stare nelle campagne di Moab con la moglie e i suoi due figli. Quest’uomo si chiamava Elimelec, sua moglie, Noemi, e i suoi due figli, Malon e Chilion di Betlemme di Giuda.
Elimelec morì e Noemi rimase con i suoi due figli. Questi sposarono delle moabite, e abitarono là per circa dieci anni. Poi la donna restò priva dei suoi due figli e del marito. Fu allora che Rut disse a Noemi: “Non pregarmi di lasciarti, perché dove andrai tu, andrò anch’io; e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io, e là sarò sepolta!”.
Quando giunsero a Betlemme le donne dicevano: “È proprio Noemi?” E lei rispondeva: “Non mi chiamate Noemi; chiamatemi Mara, poiché l’Onnipotente m’ha riempita d’amarezza. Io partii nell’abbondanza e il Signore mi riconduce spoglia di tutto”. Rut 1,1-5.16-22
A causa di una grave carestia l’ebreo Elimelec emigra nel paese di Moab con la moglie Noemi e i figli. Là i figli sposano due donne del luogo. Rimasta vedova, Noemi ritorna in patria, accompagnata dalla nuora Ruth. A Betlemme, Rut va a spigolare nel campo di Boaz, parente di Noemi, che la tratta benignamente e poi la sposa, facendo valere su di lei il diritto di riscatto; in questo modo Rut diventa la bisavola del re Davide.
Rut è una delle quattro donne menzionate nell’albero genealogico di Gesù (Matteo 1,5). Questo libro ha una particolarità unica nel panorama biblico: i maschi hanno un ruolo marginale, sono quasi degli “uomini oggetto”.
Sulla base ad antiche tradizioni, il libro di Rut può essere stato composto molto tempo dopo l’epoca dei Giudici in cui si situerebbe, forse nel V sec. a.C. e dopo la redazione del Deuteronomio (Rut 4,7 allude a Deuteronomio 25,9 come ad una usanza antiquata).
In questo libro vi è una certa attenzione per i giochi di parole: Elimelec (parola che rimanda all’idea di Dio come re) si trasferisce da Betlemme (che significa casa del pane) all’estero, a Moab, a cui corrisponde all’attuale Giordania. Tra ebrei e moabiti c’è sempre stato un rapporto tipo “parenti-serpenti”: Genesi 19 li fa discendere da Lot e quindi “cugini” degli ebrei; sconfitti al tempo dei giudici (Giudici 3) sono resi vassalli da Davide (2Samuele 8).
Guidati dal loro re Meša ottengono l’indipendenza dopo lo scisma di Geroboamo (esiste una stele che narra le imprese di questo re e questa è uno dei pochi documenti storici esistenti che confermano alcune affermazioni bibliche). Quando sembra che la famiglia di si sia assestata, si scatena il dramma: muoiono in successione tutti i maschi.
Nel mondo antico questo lutto aveva conseguenze terribili: le donne rimangono senza protezione. Però nel racconto il triplo lutto ha anche una valenza simbolica, perché in questo modo Moab si conferma luogo di sterilità e morte.
La situazione è insostenibile e Noemi decide di ritornare a casa, offrendo alle nuore la ovvia possibilità di separarsi: Orpa torna a casa sua, Rut decide di rimanere con la suocera. L’immagine del “rimanere” permea tutto il racconto ed è completa: dove andrai tu, andrò anch’io…dove morirai tu, morirò anch’io, e là sarò sepolta.
È interessante notare come Noemi ritorni in Patria piena di una tale amarezza da renderla cieca alla fedeltà di sua nuora: nel gioco di parole ( Noemi = delizia; Mara = amarezza) si riassume la visione disastrosa della situazione, e lo stesso gioco di parole – “dolce-amaro” – è abbastanza articolato, perché esprime anche l’idea di “pieno-vuoto”: Noemi avrebbe lasciato Betlemme “piena” (con marito e figli), e ne sarebbe ritornata “vuota” (vedova e senza prole): non si accorge però di non essere tornata sola, perché Rut è al suo fianco.
In questa difficile situazione il racconto si apre alla speranza: il riferimento alla raccolta dell’orzo ricorda un’occasione di solidarietà agricola, perché la legge che permetteva ai poveri di avere un minimo vitale (Levitico 19,9-10; Deuteronomio 24,19-20), ma il fatto che questa avvenga in primavera – aprile-maggio – fa anche pensare che la bella stagione porti con se un periodo felice. In effetti il secondo capitolo è radicalmente diverso dal precedente: se Noemi è vuota e povera, Boaz è ricco e potente, ed è parente di Elimelec, quindi anche di Noemi e Rut.
Anche in questo capitolo si dovrebbe avere la mente aperta a cogliere i doppi sensi, anche se forse possono suonare un po’ boccacceschi: Rut si offre per andare a spigolare e forse per trovare marito, e Noemi non è moralista e approva il suo piano.
Il libro presenta in modo favorevole Boaz: entra in scena benedicendo i mietitori e ricevendone benedizione; quando nota Rut e scopre che essa è straniera non la maltratta ma anzi si fa garante della sua sicurezza.
Rut può legittimamente approfittare del suo diritto di spigolare ovunque volesse (come si legge in Levitico 19,9-10; 23,22 e in Deuteronomio 24,19-22), anche se non è chiaro fino a che punto Rut si limiti a questo o cerchi di spigolare fra i covoni; in ogni caso Boaz è inizialmente paterno: chiama Rut “figlia mia” e le dà dei consigli protettivi, dando ai suoi l’ordine di non infastidirla e di non impedirle di bere l’acqua che hanno attinto.
Questo modo di fare è diverso dai tipici racconti biblici tra un uomo e una donna che alla fine si sposeranno (pensiamo a Genesi 24 e 29): in questo caso Rut ha il ruolo dell’uomo.
È lei che ha lasciato la sua patria in cerca di fortuna, che incontra delle difficoltà e l’acqua viene attinta per lei. D’altro lato Boaz si comporta gentilmente nei suoi confronti ed è curioso in maniera quasi “romantica” quando le domanda “come hai abbandonato tuo padre, tua madre e il tuo paese natio, per venire a un popolo che prima non conoscevi?” (2,11): si potrebbe dire che Boaz vede già ora la pienezza di Rut ed è questa valutazione accurata che gli fornisce la motivazione per sposarla.
Il dialogo tra i due fornisce alcuni elementi sugli usi ebraici del tempo, come i ringraziamenti esagerati. Rut usa una particolare espressione per il rispetto di Boaz verso una straniera (2,10), perché questa parola può anche riferirsi a qualcuno che dovrebbe essere accettato come membro della famiglia, ma non lo è.
Osservando che egli ha parlato “con gentilezza al cuore di lei” (2,13), Rut non riconosce soltanto la generosità di Boaz, ma anche il suo corteggiamento, non dimentichiamo che per gli antichi ebrei il “cuore” non è la sede dei sentimenti, ma del ragionamento.
Allo stesso modo quando Rut dice di non essere la sua serva (2,13) fa presagire il suo ruolo futuro di moglie. D’altro canto Boaz usa parole cariche di molteplici significati: si preoccupa che Rut non sia infastidita; ammonisce i giovani servi a non “sgridarla” (2,15; ma potrebbe significare “non insultarla” o “non offenderla”), la elogia perché non è “andata dietro ai giovani”.
Quando prega affinché la sua piena ricompensa le venga dalla divinità “sotto le cui ali sei venuta a rifugiarti” (2,12) usa una parola che ha un significato ampio: può significare anche “mantello” ma anche “genitali”.
Carica di dolcezza è anche l’immagine del pranzo, quando intinge il suo boccone nel vino e quando le porge dell’orzo arrostito: porgendole il boccone, recita la parte dello sposo.
Rut continua a presentarsi come una donna previdente e attenta: ha avanzato del cibo anche per Noemi, e questa osservazione fa presagire sin d’ora l’immagine di una nuova famiglia, in cui Rut mantiene la sua lealtà verso Noemi.
La suocera è stupefatta della buona sorte di Rut: è curioso notare che mentre Noemi ringrazia Dio per la benedizione avuta, Rut sottoliena il ruolo di Boaz (2,20).
A questo punto Noemi, saputo il nome di Boaz, si ricorda che è un loro parente: qui si fa riferimento alla legge del levirato, con la quale un parente maschio aveva il diritto-dovere di sposare la vedova di un parente per assicurare a quest’ultimo una discendenza. Il capitolo si chiude con una annotazione curiosa: Rut annuncia che Boaz l’ha autorizzata a stare con i suoi servi (maschi) a spigolare; Noemi la invita invece a stare con le sue serve (femmine), facendo quindi in modo che da un lato lui la noti tra le lavoratrici, e anche che Rut eviti pericolose vicinanze con altri giovani uomini nel delicato percorso verso il matrimonio.