Identità e genere. La questione dell’identità oggi
Articolo della teologa Serena Noceti* pubblicato su Parole di vita, Rivista bimestrale dell’Associazione Biblica Italiana (ABI), n.6, novembre/dicembre 2011, pp.45-46
Mentre ci poniamo la questione su quali siano i tratti definenti l’identità umana, veniamo indubitabilmente rimandati a un elemento tanto basilare, da essere stato per molti secoli avvicinato come l’ovvio e come tale non esplicitamente tematizzato e discusso: il fatto, cioè, che è l’essere umano (anthropos, homo) si dia sempre nella storia secondo una specifica identità e “figura” sessuata, uomo (anèr, vir) o donna (gunè, mulier).
.
Uno sguardo parziale
Una prospettiva e una problematica che solo a partire dalla fine dell’800 ha trovato spazi per essere accolta e dibattuta nei contesti sociali, filosofici, culturali e che solo a partire dalla seconda metà del ’900 acquisisce diritto di cittadinanza negli studi biblici e teologici, rimanendo anche oggi in molti casi pensiero ancora «occultato, sottostante, sempre più insistente», come si esprime Luce Irigaray, nonostante che sia pensiero portatore di un «orizzonte di mondi di una fecondità non ancora avvenuta».
Per molti secoli il linguaggio quotidiano della predicazione e della catechesi e quello “alto” dell’esegesi e della teologia sistematica si sono espressi in fondo a partire da un “maschile” considerato come equivalente all’“universale” e come tale pensato come l’“ovvio”, che non necessita di essere spiegato; il maschile è stato per secoli considerato come il punto di partenza per pensare l’umano tout court, in quanto equivalente a un “apparente neutro” inclusivo anche delle donne. Lo sguardo si è concentrato sulle figure maschili, per segnalare come eccezione e come straordinario l’apporto di alcune donne; la differenza sessuale non è stata pensata; la maschilità non ha trovato le parole per essere riconosciuta e detta nella sua specificità.
.
Una feconda interruzione
Anche gli studi biblici hanno risentito di questo più generale clima culturale e solo in tempi recenti si sono aperti a una tematizzazione della differenza sessuale, inizialmente con una più pronunciata attenzione e una significativa riscoperta delle tante figure femminili che segnano le pagine della Scrittura e in tempi più recenti accogliendo prospettive specificamente legate alla prospettiva di “genere”.
È divenuto comune, oggi, evidenziare lo scenario patriarcale che segna le storie bibliche, sottolineare l’eredità che il pensiero androcentrico ha consegnato ai cristiani e alle cristiane in questi duemila anni di storia, denunciando la sottovalutazione dell’alterità maschile-femminile per il dirsi dell’identità umana, decostruire tanti diffusi stereotipi che sono stati falsamente giustificati per secoli sulla base di un dettato biblico che altro invece affermava.
Con la categoria di “genere” (o in inglese gender) si esprime infatti il significato socio-culturale (e quindi anche religioso) attribuito all’appartenenza a un sesso (sex), mostrando il carattere socialmente costruito, simbolicamente mediato e ritualmente sostenuto, delle differenze tra uomini e donne. Il maschile e il femminile si costruiscono reciprocamente intrecciandosi in un ordine, in un sistema di relazioni, conflitti, accomodamenti reciproci; questo avviene anche sul piano religioso e oggi ecclesiale.
Pensare secondo il gender esprime la consapevolezza che non è possibile studiare le donne senza studiare contemporaneamente gli uomini (e viceversa) e utilizzare un elemento comparativo essenziale per l’analisi della soggettualità, che permette di capire l’identità come dato definibile solo “specularmente” e “relativamente” per l’uomo/maschio e l’uomo/femmina.
I Racconti della Bibbia sui quali abbiamo riflettuto in questa annata di Parole di vita offrono a questo riguardo molteplici spunti: le numerose figure bibliche che ci vengono presentate e che in alcuni casi sono al centro delle vicende narrate, tanto da dare nome al libro che presenta la loro storia (Ester, Rut, Giuditta), permettono al lettore e alla lettrice di oggi di cogliere tratti di definizione dell’identità e della soggettualità delle donne nel popolo di Dio forse troppo a lungo sottovalutati e di decostruire un falso immaginario comune per cui nei testi biblici si troverebbe la giustificazione del patriarcato, del sessismo, della subordinazione delle donne. Sono testi che per natura e per insieme mostrano elementi rilevanti per pensare la maschilità e ripensare i modelli di relazione uomo-donna.
.
Identità e soggettualità anche delle donne
Sono libri scritti in tempi diversi, che risentono di contesti socio-culturali differenziati; esprimono sensibilità sociali diverse e rispecchiano domande teologiche molto lontane le une dalle altre, ma in tutti e cinque questi libri figure di donne davvero indimenticabili sono presenti, donne forti, donne impegnate nella liberazione del popolo (Ester, Giuditta) o in una strenua resistenza davanti alle avversità (Sara, Rut) o ai poteri del mondo (la madre di 2Mac 7), vere “eroine”, che possono aiutare a ripensare anche oggi il proprium dell’essere donna e dell’essere uomo-maschio e insieme a riflettere criticamente, in modo più sapiente e avvertito, sulle forme di relazione e sui modelli di comportamento uomo-donna.
Viene mostrata in questi testi prima di tutto l’uguaglianza in dignità di uomini e donne e la comune responsabilità per il bene del popolo e il suo futuro di cui sono investiti tutti e tutte: Giuditta in particolare mostra questa forte coscienza che la abita; laddove uomini investititi di ruoli e funzioni centrali per la vita del popolo mostrano di vacillare, questa giovane vedova ha la capacità di assumere la responsabilità e agire secondo le possibilità e le potenzialità che riconosce presenti anche in lei, proprio in lei, per inventare e attuare un progetto che garantisca liberazione e salvezza per il popolo. Altrettanto possiamo cogliere nell’agire e nelle parole di Ester, nel suo assumere – al confine tra i due mondi che la abitano – un ruolo attivo e responsabile, nel sapere mediare al tempo opportuno una parola che svela, con intelligenza e furbizia, l’essenziale.
In tutti i casi abbiamo davanti donne che sanno vivere tutto questo, sapendo anche sfruttare i tanti stereotipi sulle donne, sul loro carattere o sulla loro bellezza, che sanno presenti nel cuore dei maschi. La conoscenza dell’animo umano, delle dinamiche psicologiche che guidano le nostre decisioni e degli specifici differenti dinamismi di uomini e donne, sono un altro dei tratti che possiamo cogliere nelle loro vicende: Giuditta e Oloferne, ma anche Rut davanti a Booz. Le attese, le aspettative, le logiche di interpretazione del ruolo femminile, sono messe a nudo in queste pagine; a fronte di una logica che pensa le donne quali soggetti passivi e remissivi, avvenenti e disponibili, tutte prese sul soddisfare primariamente le attese e i bisogni dell’uomo, le donne di questi libri della Bibbia mostrano come invece le donne siano capaci di un pensiero autonomo, di creativa operosità, di libertà e indipendenza.
Riflettere su queste vicende permette anche oggi di rivisitare e riattivare i luoghi di simbolizzazione in cui si danno i significati originari dell’ identità sessuata e della relazione, di superare le gerarchizzazioni “simboliche” di genere indebite, non sostenute da nulla, di indicare le conseguenze sul piano della disumanizzazione e dell’impoverimento (per le donne e per gli uomini) che hanno gli stereotipi sessuali, che hanno confinato le donne a una marginalità e a un’impossibilità in molti casi di azione.
.
Identità e relazioni
Questi libri biblici ci mettono, inoltre, davanti all’ampia rete di relazioni umane che determinano e fanno sviluppare ogni identità. La percezione della specificità delle persone che incontro e con cui vivo, della loro differenza rispetto a me, che è al cuore di ogni riconoscimento e affermazione di identità. Identità e alterità costituiscono un binomio inscindibile.
In particolare il libro di Rut ci pone davanti a una relazione tra donne, che appartengono a popoli e a generazioni differenti (Noemi, Orpa e la stessa Rut), come anche alle dinamiche quotidiane di comunicazione tra donne (al ritorno a Betlemme). I dialoghi di cui è intessuto il libro ci mostrano come la dimensione affettiva possa segnare tali rapporti e come anche la stessa comunicazione tra donne sia segnata e contribuisca a mantenere un regime di patriarcato, di stereotipie di ruolo, quando non di esclusione, nel mancato riconoscimento di valore di alcune “differenze” presenti. È poi presente un richiamo forte alla maternità, che in Israele, in contesto patriarcale, indubbiamente costituiva il punto di riferimento chiave per la realizzazione femminile, ma che è presentata anche nella sua capacità di futuro e di resistenza (Rut; 2Mac 7), in quella maturità che sa coniugare dinamiche di vita personale e familiare a vita pubblica.
Ma è soprattutto la relazione uomo-donna che viene a essere continuamente richiamata, nella forma della vita di coppia (Tobi e Sara) o nella forma di un confronto pubblico (Giuditta e gli anziani, Ester e Mardocheo, Vasti e Assuero). Particolarmente interessanti appaiono i dialoghi tra uomini e donne e il valore riconosciuto alla donna quale interlocutrice adeguata e sapiente. La stessa maschilità è qui delineata evidenziandone non solo i tratti di una prassi sapiente o di un compito di cui ci si fa carico con responsabilità, ma anche richiamata in relazione a paure e a una capacità di giudizio spesso limitata, perché appesantita da pregiudizi sull’altro/a o incapace di un’adeguata progettualità creatrice, costretta in fondo da ruoli e aspettative sociali stabilizzate e ripetitive.
Veniamo così rinviati alle domande basilari, che anche oggi ci poniamo: su cosa si fonda la differenza?; sul solo dato biologico, sulla differenza fisiologica, che nella gravidanza, parto, allattamento mostra la sua assoluta peculiarità?; oppure alla base sta un dato sociale e strutturale? O ancora la differenza è data in processi di interpretazione del dato biologico e dalla relazione che le diverse culture e religioni pensano tra biologico e strutturazione di ruoli sociali?
Forse a quest’ultimo passaggio ci rimandano proprio queste figure di donne. La Scrittura ebraico-cristiana non misconosce né sottovaluta mai la differenza che sussiste tra uomini e donne sul piano biologico, ne attesta la fecondità per il futuro, la richiama come spazio di benedizione da parte di Dio. Ma allo stesso tempo – è evidente dalle parole messe in bocca a queste donne e dalla riflessione sulle loro scelte e azioni – attesta che non solo le specificità biologiche a sancire in modo esclusivo ruoli sociali o sfere di azione per gli uni e per le altre. Qui è in gioco in tutti i casi l’assunzione di una soggettualità piena, per uomini e donne, che non neghi che la differenza è originaria, ma che insieme non ne deduca ruoli privati e pubblici, sociali, politici, religiosi, immutati e immutabili.
Le pagine dei libri di Rut, Ester, 1-2 Maccabei, Giuditta e Tobia ci mostrano che l’identità di donne e uomini si dispiega e si costruisce nella reciprocità, in contesti sociali che sono sempre gendered orientati e segnati da un sistema simbolico complessivo di cui la sessuazione costituisce uno degli elementi definitori centrali (anche se spesso impliciti).
Queste narrazioni ci richiamano anche al fatto che ogni identità muta in un gioco aperto di relazioni e di ruoli assunti o non riconosciuti. Di questo dobbiamo essere consapevoli e responsabili perché anche le nostre società e comunità possano essere spazi inclusivi, di valorizzazione delle differenze, e di assunzione di una responsabilità per il “noi” che è sempre – necessariamente – comune.
.
* Serena Noceti, nata il 25 maggio 1966 a Firenze, ha conseguito il dottorato in teologia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, con una tesi sull’ecclesiologia di W. Pannenberg. È docente stabile ordinario di teologia sistematica presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “I. Galantini” di Firenze, tiene corsi presso la Facoltà teologica dell’Italia centrale e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Arezzo. Socia fondatrice del Coordinamento Teologhe Italiane, è vicepresidente dell’Associazione Teologica Italiana. Tra le sue pubblicazioni, dedicate in particolare all’ecclesiologia, alla teologia di genere e alla catechesi, si segnala il volume scritto con Severino Dianich “Trattato sulla chiesa” (Queriniana, Brescia 2005).