La vita tranquilla e felice di Shirley Tan (casalinga di San Mateo County negli Stati Uniti, madre di due gemelli maschi di 12 anni e voce del coro di chiesa), si dissolse il 28 gennaio alle ore 6.30 del mattino con un forte colpo alla porta.
In pochi minuti, l’agente dell’immigrazione lì presente aveva messo la quarantatreenne Tan in manette, dopo che era stato deciso di rimandarla nelle Filippine, suo paese nativo, per il venerdì successivo. Se Jay Mercado, compagna di Tan, 23 anni e madre di due figli, fosse stata di un altro sesso, molto probabilmente nessuno avrebbe bussato alla sua porta.
In quanto cittadina degli USA, Mercado avrebbe potuto garantire alla sua legittima coniuge una residenza permanente legale.
Ma nonostante Mercado e Tan si siano sposate a San Francisco nel 2004, la legge federale limita la definizione di matrimonio ad un uomo e a una donna e i compagni dello stesso sesso con cittadinanza statunitense non hanno modo di godere della residenza permanente legale che vale per le coppie normalmente sposate.
Potrebbe esser troppo tardi per Tan e Mercado, ma a nome di migliaia di altre coppie omosessuali, il Congresso sta pensando di cambiare la legge federale per garantire ai “compagni permanenti” di ugual sesso gli stessi diritti d’immigrazione delle coppie sposate di sessi opposti.
Jackie Speier di San Mateo, senatrice statunitense che definì “inaccettabile” la situazione di Tan, fa parte di un gruppo del Congresso, che include anche la senatrice democratica Barbara Boxer, che spera di cambiare la legge dell’immigrazione per emulare molti Paesi Europei che permettono a gay e lesbiche di garantire, al partner dello stesso sesso, la residenza legale.
“Sostengo i matrimoni gay, ma non è questa la questione”, spiega il parlamentare USA Jerrold Nadler, Democratico Newyorkese, che si batte affinché la legislazione permetta anche alle coppie omosessuali di ottenere uno status di residenza permanente.
“La legge non dovrebbe essere così gratuitamente crudele”… Ed è proprio così: è una crudeltà gratuita mettere le coppie in condizione di dover scegliere tra il proprio Paese e il proprio partner”.
Mercado e Tan, avevano fatto domanda, per la prima volta, di asilo politico per Tan nel 1995 e, sebbene il loro caso fosse rimasto ancora in sospeso, hanno sostenuto di essere completamente all’oscuro che nel 2002 fosse stato emanato un ordine di espulsione.
Se Tan sarà espulsa questa settimana, si troveranno a dover scegliere tra il dover separare i figli da una delle loro madri o a trasferire tutta la famiglia in un Paese che non hanno mai conosciuto.
“E’ dura quando si spezzano le famiglie”, afferma Mercado in lacrime, seduta accanto a Tan nella loro casa che si affaccia all’ Oceano Pacifico. “Perché non ci possono lasciare in pace? Ci stanno punendo soltanto perché non sono un uomo, perché non posso presentare un’istanza (per la carta verde)”.
“Il fatto è che”, continua Tan, “non stanno punendo solo me, ma anche e soprattutto i miei figli e loro non c’entrano niente. Sono loro a soffrire veramente”.
La difesa federale dell’Atto di Matrimonio, che limita il matrimonio ad un uomo e ad una donna non ha intenzione di permettere alle coppie gay, originarie da Paesi in cui matrimoni gay, unioni civili o convivenze sono possibili, uno status legale per ciò che riguarda un viaggio internazionale o l’immigrazione.
Alcuni sostengono che estendendo i diritti dell’immigrazione a partner dello stesso sesso, si aumenterebbe il rischio di frode e si porterebbe ad ingarbugliare ulteriormente il sistema nazionale d’immigrazione già abbastanza controverso.
“E’ sempre una cattiva idea lasciar che le battaglie culturali vengano disbrigate nella propria politica d’immigrazione”, spiega Steven A. Camarota, direttore di ricerca per il Centre for Immigration Studies (Centro per gli Studi d’Immigrazione), un gruppo di esperti di Washington che cerca di porre dei limiti all’immigrazione.
Non avendo alcuna speranza di poter ottenere una residenza permanente legale negli Usa, molte coppie gay esauriscono anni di permessi temporanei di studio o visti di lavoro.
Ma infine, come per la produttrice cinematografica Michelle Paymar di Los Angeles e la sua compagna francese Veronique Martinaud, arriva il giorno della resa dei conti.
Paymar, 51 anni, racconta che un avvocato gli disse schiettamente: “Potete rimanere negli Stati Uniti e combattere questa situazione anno per anno, oppure potete emigrare in Canada e riprendervi le vostre vite”.
Paymar e Martinaud si sono trasferiti in Canada l’anno scorso. Tuttavia, per molte persone, lasciare gli Stati Uniti non è una decisione semplice.
Molti californiani mantengono i loro prefissi telefonici 415, 310 o 408, che squillano in salotti stranieri. Alcuni continuano a seguire le Bay Area news (telegiornale di San Francisco), delle 10 in punto, via satellite o via cavo.
Hanno organizzato dei club di espatriati che si radunano in caffè di Vancouver e di Amsterdam, dove si possono riunire per guardare reportage sulla Election Night, o anche solo per scambiarsi consigli sul miglior medico della loro nuova città.
Seguendo la situazione a distanza in molti rimasero sbalorditi dall’approvazione della Proposizione 8, sebbene il referendum non influisse sul loro status d’immigrazione.
Sono in pensiero per i loro genitori che invecchiano lontani da casa. Combattono per rifarsi una carriera in un Paese nuovo.
E si arrabbiana qando i funzionari dell’ufficio immigrazione non vogliono riconoscere il coniuge che hanno legalmente sposato all’estero, perché in America non risultano essere sposati.
Qualcuno, come Martha McDevitt-Pugh, manager di software di Silicon Valley, che dieci anni fa si innamorò di una cittadina tedesca e andò a vivere in Olanda, combatterebbe in prima fila per questa causa, se ne avesse la possibilità.
Anche se si è trasferita in un Paese di cui conosce la lingua e in cui, grazie al suo matrimonio, può lavorare legalmente e ottenere la cittadinanza, sua madre, i suoi due fratelli, sua sorella e i suoi nipoti che sono rimasti a Silicon Valley (a 11 ore d’aereo) le mancano moltissimo.
E le manca la sua nativa California, le manca la cultura di lavoro high tech. “Quando sono atterrata là ho pensato ‘è fantastico’ ”, racconta a proposito dell’Olanda la McDevitt-Pugh, “Ma non è stato per niente fantastico”.
Anche visitare gli Stati Uniti potrebbe rivelarsi un’impresa stressante per alcune coppie gay binazionali.
Quando la McDevitt-Pugh è arrivata da Amsterdam nella Bay Area con sua moglie Lin, era preoccupata per i documenti che riportavano i loro rispettivi cognomi uniti da un trattino. Il suo matrimonio, che in Olanda era legale, non esisteva agli occhi della legge americana.
“E’ il governo americano che non vuole riconoscere il mio matrimonio”, dice McDevitt-Pugh, sollevata dopo esser riuscita, la settimana prima, a passare la dogana per far visita a sua madre che festeggiava i suoi 80 anni. “C’è ancora il mio nome”.
Alcuni sostengono che hanno percorso una distanza emotiva così forte che, anche se i matrimoni gay venissero legalizzati, non tornerebbero più indietro.
“Quella frase ‘libertà e giustizia per tutti’ è una promessa sterile per gente come noi”, afferma Tim Sally, originario di San Francisco che si tè rasferito in Canada nel 2007 col suo compagno tedesco Bernd Vey, 18 anni.
Oggi residenti a Vancouver, Tim e Bernd diventeranno cittadini canadesi l’anno prossimo.
“Ho provato rabbia e un po’ di amarezza per aver dovuto fare questa scelta” Tim dice “Ma a volte il destino ti dà un’opportunità diversa da quella che ti aspetti, e finisce col rivelarsi l’occasione buona per portare la tua vita in una nuova dimensione”.
Assenza di stabilità
Dover scegliere tra un partner e il proprio Paese è difficile, i figli rendono questa decisione ancor più angosciante. Non è chiaro se Tan potrà evitare l’espulsione.
A questo punto del processo può diventare necessario un Atto del Congresso. Tan teme per la sua incolumità nelle Filippine (in quanto donna, se un parente volesse la sua eredità basterebbe ammazzere sua madre, la sorella e spararle un colpo in testa).
Sia Tan che Mercado sono i genitori legali dei loro figli, che hanno la cittadinanza. Tan ha dato la luce dei gemelli, concepiti tramite gli ovuli di Mercado, cittadina naturalizzata ma nata nelle Filippine.
La coppia ha spiegato che il loro tentativo per ottenere l’asilo politico fu vano a causa della minaccia rappresentata non dal governo, ma da un loro parente.
Fecero ricorso alla corte federale e il loro precedente avvocato disse loro (per una serie di anni) che il loro caso era sotto esame.
Afferma Tan “Teniamo sempre bene presente che io sono in regola”. Quell’avvocato, secondo la coppia, che è attualmente ancora il loro legale, non ha mai detto a Tan che la loro richiesta era stata rifiutata nel 2002, lasciandola in un status d’illegalità.
“C’è una persona che non hai commesso un crimine, che credeva che il proprio caso stesse prendendo la strada giusta per essere esaminato dalla Corte” spiega Phyllis Beech, il nuovo avvocato della coppia, invece “tutto d’un tratto si risveglia con dei colpi alla porta”.
Secondo l’avvocato Beech, è la legge ad esser crudele. Se Tan e Mercado non fossero omosessuali “non sarebbe successo niente di tutto ciò”, perché Mercado avrebbe potuto richiedere uno status legale permanente per Tan. La portavoce del Dipartimento di Sicurezza della Patria (Homeland Security) non ha espresso alcun commento al riguardo.
Tan riceverebbe un’interdizione dagli Stati Uniti per 10 anni, se fosse espulsa. Se ciò dovesse succedere Mercado sarebbe pronta a lasciare il lavoro e la loro abitazione nella Bay per trasferirsi con tutta la famiglia nelle Filippine.
“La cosa più importante è restare tutti insieme”, disse Mercado. “Abbiamo lottato contro le nostre famiglie per la nostra relazione. Veniamo entrambe da famiglie molto cattoliche. Ci siamo incamminate per la nostra strada e ora, per un problema burocratico, dovremmo separarci?”.
“Qualunque cosa succeda”, affema Tan, non potrà vivere mai senza i suoi figli. “Sono la mia vita” afferma “non posso vivere lontana da loro”.
* Secondo uno studio condotto dal Williams Institute presso la facoltà di legge dell’ UCLA, negli Stati Uniti vivono insieme circa 36.000 coppie bi-nazionali, e di queste quasi il 30% vive in California.
Molti Paesi dell’Europa occidentale insieme ad Israele, al Sud Africa e alla Nuova Zelanda, offrono una particolare forma di status d’immigrazione di “partner permanente” per coppie omosessuali.