Il Sinodo e le proposte per l’accoglienza delle persone omosessuali
Articolo di Americo Mascarucci pubblicato sul sito intelligonews il 17 aprile 2015
Ci sono tanti omosessuali che si professano cattolici ma si sentono esclusi dalla Chiesa in virtù della loro condizione
Per ciò che concerne l’accoglienza delle persone omosessuali, la Chiesa, più che stabilire regole dovrebbe costruire percorsi d’accompagnamento con uno sguardo differenziato alla singola persona. Questa l’indicazione di massima che emerge dalle proposte avanzate tramite la compilazione dell’apposito questionario alla Segreteria generale del Sinodo sulla Famiglia; questionari inviati a tutte le diocesi ed ora vagliati dall’apposita commissione per la pastorale della famiglia della Conferenza Episcopale italiana.
Avvenire ne ha già anticipato i risvolti. Per ciò che riguarda il tema dell’accoglienza alle persone gay da parte del mondo cattolico è stata suggerita l’idea di affrontare l’argomento senza stabilire regole e principi generali ma piuttosto ragionando in maniera differenziata sui singoli casi. Ci sono tanti omosessuali che si professano cattolici ma si sentono esclusi dalla Chiesa in virtù della loro condizione.
Ma ci sono altresì persone che la loro condizione di gay la esaltano facendone un vanto e ancora di più una battaglia ideologica. Due casi che non possono essere equiparati fra loro e che, stando alle indicazioni contenute nel questionario, non possono essere trattati allo stesso modo.
Non servono dunque regole predefinite ma percorsi inclusivi da costruire con la singola persona, con l’obiettivo di includerla sempre di più all’interno della comunità cristiana. Insomma una posizione chiaramente ratzingeriana, ossia quella di includere senza legittimare. Anche le persone gay sono creature di Dio e come tali vanno accolte fraternamente e aiutate ad affrontare il disagio che potrebbe derivare dalla loro condizione di omosessuali; una condizione che deve essere rispettata e non demonizzata, né l’omosessuale può essere discriminato per il suo orientamento sessuale.
Una cosa però è la persona, altra cosa è l’omosessualità in generale che per la Chiesa costituisce un “disordine morale” tale da non poter essere trasformato in diritto. Come sostenere quindi le persone gay, facendole sentire parte integrante della Chiesa? Questa la sfida che il Sinodo ordinario sulla famiglia si troverà a dover affrontare in ottobre quando i padri sinodali torneranno a riunirsi per proseguire il lavoro iniziato l’anno scorso. Percorso da individuare mantenendosi fedeli al Vangelo. La maggioranza dei cattolici non è affatto favorevole al riconoscimento delle unioni gay come si è voluto far credere da più parti ma certamente non punta il dito, non giudica, non condanna le persone omosessuali.
Il questionario è stato rivolto soprattutto alle famiglie e sono state proprio queste nelle varie diocesi a dare “sangue e carne” alle risposte richieste.
Come hanno spiegato dalla Cei non si è trattato di un sondaggio, ma di un confronto a 360 gradi con le famiglie, che hanno esposto con chiarezza e senza infingimenti il loro punto di vista sui problemi di oggi e le possibili soluzioni da adottare. Non è emersa affatto l’immagine della famiglia modello “Mulino Bianco” ma quella di un’istituzione in difficoltà, lacerata da mille problemi, non sempre facilmente risolvibili, e minata nell’unità. Una fotografia quindi realistica, non uno spot pubblicitario con baci, abbracci e tanta felicità.
Ora il Sinodo dovrà, sulla base delle proposte avanzate, definire la piattaforma di una nuova pastorale, ritagliata su misura per superare i problemi di oggi, tenendo anche conto che intorno al tema della famiglia ruotano altre situazioni ad essa comunque indissolubilmente collegate; le convivenze civili, le unioni gay, il problema dei divorziati risposati ecc.
Non una statistica quella realizzata attraverso il questionario, ma una vera e propria partecipazione dal basso, sul modello di Chiesa “in uscita” tanto caro a Francesco e basata sul coinvolgimento continuo e costante del popolo, non delle sole gerarchie. Su molti di questi problemi è stata denunciata una carenza di pastorale, ossia l’impossibilità oggettiva di fornire risposte da parte delle parrocchie, spesso impreparate su come accogliere i divorziati risposati, i gay, includendoli e non escludendoli dalla vita della Chiesa.
Il sasso nello stagno è stato dunque gettato, ora i tanti cerchietti che si andranno formando dovranno rappresentare le indicazioni per definire finalmente un nuovo modello pastorale da attuare in coerenza, e non in contrasto, con la dottrina della Chiesa, ossia con la verità del Vangelo.