Donne nella Bibbia: Agar. Una donna e il suo destino
Predicazione di Jean Vilbas, tenuta alla prima celebrazione interreligiosa contro l’omofobia organizzata da IDAHO il 17 maggio 2006, tratta da cci.blogspirit.com, liberamente tradotta da Dino
Abbandonata nel deserto, Agar (Genesi 21, 9-20) è la derelitta che, nella Genesi, Sara scaccia via, che Abramo lascia andare senza guardarla e che lo stesso Dio sembra abbandonare al suo triste destino.
Ma ripercorre le strane peripezie di questa donna quasi dimenticata del vecchio testamento, ci consente di focalizzare la nostra attenzione sull’essenziale: l’interesse di Dio per la persona umana.
Un’immagine con la quale molti di noi sicuramente hanno dovuto scontrarsi! Ma il Dio che questi antichi racconti richiamano è un Dio che va nei deserti e si tiene in quelli che noi definiamo “i margini” pur di poterci stare vicino.
In fondo Agar, l’itinerante, non è forse l’immagine delle tante peregrinazioni che dobbiamo percorrere per trovare, con Dio, la nostra strada? Scopriamolo insieme.
« Ma Sara vide che il figlio di Agar l’Egiziana, quello che essa aveva partorito ad Abramo, scherzava con il figlio Isacco.
Disse allora ad Abramo: “Scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con mio figlio Isacco”. La cosa dispiacque molto ad Abramo per riguardo a suo figlio.
Abramo si alzò di buon mattino, prese il pane e un otre di acqua e li diede ad Agar, caricandoli sulle sue spalle; le consegnò il fanciullo e la mandò via.
Essa se ne andò e si smarrì per il deserto di Bersabea. Tutta l’acqua dell’otre era venuta a mancare. Allora essa depose il fanciullo sotto un cespuglio e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d’arco, perché diceva: “Non voglio veder morire il fanciullo!”.
Quando gli si fu seduta di fronte, egli alzò la voce e pianse. Ma Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: “Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo là dove si trova. Alzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, perché io ne farò una grande nazione”.
Dio le aprì gli occhi ed essa vide un pozzo d’acqua. Allora andò a riempire l’otre e fece bere il fanciullo. E Dio fu con il fanciullo, che crebbe e abitò nel deserto e divenne un tiratore d’arco ».
Genesi 21, 9-20
Perchè abbiamo preso in considerazione oggi le strane avventure di questa donna quasi dimenticata delle Scritture? Ce n’è sicuramente qualche altra che ha ispirato l’immaginazione, poco preoccupati di rimanere nell’ortodossia o nella verità storica, degli scrittori e dei registi…Molte altre avrebbero potuto dare degli spunti alla nostra riflessione.
E poi, più seriamente, scegliere la figura di Agar /Hajjar era una buona idea per questa veglia interreligiosa, in un giorno di lotta contro l’omofobia – dunque in un momento in cui vogliamo affermare tutti insieme la nostra determinazione a combattere qualsiasi discriminazione?
Mi sono posto questa domanda prima di fare questa proposta – e anche dopo, fino all’ultimo momento! Intorno alla figura di Agar, finalmente non più così aneddotica, sembrano infatti concentrarsi, intrecciarsi le grandi questioni che dividono i tre monoteismi – ebraico, cristiano e musulmano – qui rappresentati stasera.
I racconti biblici e il Corano – o piuttosto gli hadits – sono discordanti, e stasera qui tutti lo sanno, sulla posterità di Abramo. Chi ha la superiorità tra Ismaele e Isacco?
Ecco una grossa posta in gioco che mi accontenterò qui di richiamare segnalando semplicemente che, là dove il Corano non è preciso, il racconto degli hadits riguardante Agar e suo figlio Ismaele corrisponde ai due racconti biblici della fuga e dell’allontanamento di Agar e a quello sulla prova della fede di Abramo. Agar, che nel Corano non è nominata, nella tradizione musulmana è la seconda sposa di Abramo, e non la sua serva.
In modo ancora più stridente, Agar segna lo strappo tra il nascente cristianesino e l’ebraismo: nella lettera ai Galati, Paolo evoca la sua figura e quella di Sara per illustrare il suo ragionamento polemico sull’opposizione tra la fede e la legge.
Utilizzando questa immagine, sviata da secoli di anti-giudaismo pseudocristiano, Agar, egiziana secondo i racconti biblici, diventa una figura dell’incredulo Israele.
Era difficile non citare queste domande che le nostre tradizioni religiose si rimpallano vicendevolmente – e anche le risposte che esse danno spesso più rapidamente dei nostri testi di riferimento – e stasera mi piacerebbe anche invitarvi a prendere un altro percorso al seguito di Agar… Agar, la straniera, Hajjar, la viaggiatrice, colei che si sposta – secondo l’Hadit, infatti corre per sette volte tra Al-Safa e Al-Marwa, gesto che ripetono i pellegrini della Mecca.
E facendoci abbandonare per un momento la storia dei patriarchi e di Sara la matriarca, la figura di Agar ci consente di focalizzare la nostra attenzione sull’essenziale: l’interesse di Dio misericordioso, estremamente misericordioso, per la persona umana.
Possiamo allora ritrovare in Agar, l’itinerante, un’immagine delle nostre stesse peregrinazioni. Sfuggendo alle nostre classificazioni, Agar si unisce a noi nello spessore e nella complessità delle nostre esperienze. I diversi racconti che parlano di Agar sono strutturati attorno alle stesse tappe e tracciano un cammino specifico che va dall’oppressione alla liberazione, dall’essere lasciati al margine fino alla benedizione.
Abbandonata nel deserto, Agar è la derelitta che Sara manda via nella Genesi, che Abramo lascia senza guardarla nell’hadit e che anche Dio stesso sembra aver abbandonato alla sua triste sorte! Una lettura affrettata di questi testi ci lascerebbe con l’immagine di un Dio che nella migliore delle ipotesi appare indifferente alla giustizia, se non addirittura Egli stesso garante dell’ingiustizia.
Una immagine che molti dei nostri contemporanei hanno a causa delle nostre istituzioni religiose e dei loro discorsi. Un’immagine con la quale molti di noi sicuramente hanno dovuto scontrarsi! Ma il Dio che questi racconti richiamano è un Dio che va anche nei deserti e si tiene in quelli che noi definiamo “i margini”.
Il Dio di Agar è prima di tutto il Dio – rappresentato dall’angelo – che le va incontro a Kadesh, Beersheva o Zem Zem! Un Dio che prende le parti degli oppressi e si fa conoscere da loro! Questo Dio interviene perchè ha ascoltato il pianto di Ismaele – e questo significa che il Signore ascolta – così come ha visto il dolore di Agar nel luogo che lei chiama Beer-Lehai-Roi – pozzo di vita, mio segnale-guida come traduce Chouraqui!
Un Dio che ascolta, che vede, che interviene: l’azione liberatrice di Dio per Agar e Ismaele è qui descritta e molti l’avranno riconosciuta, nei termini stessi che sono utilizzati per esprimere la liberazione di Israele nell’hadith, la protesta di Agar si fa proclamazione di fede: Dio no mi lascerà morire! come se la speranza continuasse ad essere presente nella sua angoscia.
Il Dio di Agar è colui la cui liberazione si esprime ugualmente attraverso una benedizione.
“Benedictio de bene dicere o dir bene di!” Queste parole che esprimono del bene, in questa circostanza riferite ad Ismaele, questa buona parola si fa sentire in più riprese nel nostro testo ed entra a far parte della trama del racconto: viene detta ad Abramo dall’angelo all’inizio della nostra lettura: “Ne farò una grande nazione poiché lui discende da te” e viene ripetuta ad Agar alla fine del racconto.
“Di lui farò una grande nazione”. Singolare circostanza di una benedizione sulla sua discendenza data ad una donna e non esclusivamente ad un uomo!
Nella tradizione musulmana, questa benedizione si trasmette anche al luogo, che diventa uno degli spazi sacri della Mecca.
Infine il Dio di Agar è un Dio che rimette in piedi. Un’altra ripresa del cammino è possibile alla fine del racconto della Genesi, che non è più né la corsa sfrenata della disperazione, nè l’allontanamento anche lui provocato dal pericolo.
Agar si rialza e si mette in cerca dell’acqua di cui ora lei riesce a percepire la presenza per dissetare se stessa ed Ismaele.
In seguito Agar e Ismaele vanno a collocarsi in un deserto che sanno non essere vuoto, ma abitato dalla presenza divina: “Dio stette col ragazzo, che crebbe ed abitò nel deserto”.
Sì, questo deserto è diventato per loro e diventa per noi, attraverso questi racconti, il luogo in cui hanno preso coscienza e quello in cui anche noi possiamo prendere coscienza che non esiste nessuna situazione di marginalità di fronte a colui che dice ad ognuno di noi: “Io ti conosco col tuo nome”.
Però rimane una domanda: cosa ci può dire questa figura di Agar in una giornata internazionale di lotta contro l’omofobia?
Essa ci invita, credo, a rivisitare tre maniere di rapportarci nei confronti dell’omofobia e della violenza, sorda o barbara, che sprigiona dalla maggioranza delle comunità umane, anche da quelle religiose!
Agar, vittima dell’oppressione, ci riporta alla mente le troppo numerose vittime dell’intolleranza e del rifiuto delle diversità: La regista e romanziera algerina Assia Djebar in Lontano da Medina ne fa un emblema della situazione delle donne oppresse che lei invita a ricordare:
“Figlie di Agar”, dice lei, dice ogni donna nel deserto d’Arabia, sia che si tratti di una ribelle, sia che invece sia sottomessa a Dio, “In che cosa io sono, in che cosa tutte noi siamo prima di tutto figlie della scacciata, della serva che ha partorito per prima,e per questo è stata abbandonata?”
Figlie di Agar, noi siamo state, noi saremo espulse una sola volta per tramite di lei. Agar – o piuttosto Hajjar prima dell’egira, Hajjar l’esposta al sole. – e poi in un deserto che dura la vita intera noi andiamo e vaniamo, danziamo, perdiamo la testa, sempre tra la prima e la seconda collina!
Agar pone le nostre particolari rivendicazioni al centro della lotta in favore della giustizia; lei ci invita ad identificare le oppressioni, a nominarle come noi abbiamo appena fatto, a denunciare i diritti negati e quelli concessi solo a metà.
Il comportamento e le parole di Agar ci ricordano che queste lotte che mettono in evidenza con immagini e parole il vero volto dell’odio non sono inutili.
E a quelli che ci invitano a smetterla di fare le vittime, rimanderei semplicemente la risposta che sarebbe proprio ora che la smettessimo di essere davvero vittime a Noeux-les-Mines o a Riga, in Cameroun o in Iran, in Egitto o a Gerusalemme.
Agar non è una vittima, anzi: è anche una donna libera e liberata, libera proprio perchè liberata! Lei parla alle nostre coscienze di credenti GLBT o di loro amici e la sua storia ci ripete: ha quella libertà che nessuno mai potrà toglierle grazie all’opera di Dio misericordioso che non l’ha lasciata morire, che ha visto e ha sentito il grido del suo bambino, che ha fornito loro una sorgente a cui dissetarsi.
La figura di Agar ci lancia una sfida: quella di confidare in un Dio benevolo e liberatore il quale, al di là di ciò che tutti pretendono di dire in nome suo, salva dal timore, dalla vergogna e dalla disperazione, un Dio che riporta in essere la dignità. La nostra presenza qui stasera attesta che abbiamo già fatto almeno un passo verso la fiducia.
Agar infine ci invita a considerare noi stessi come benedetti: il ribaltamento delle prospettive operato nella Bibbia dalle beatitudini o le benedizioni non è una fatalista rinuncia di fronte alle avversità nè un’illusione inseguita per sfuggire alla prova.
Messa al margine, respinta, abbandonata, Agar è sostenuta dalla promessa che accompagna il bambino che ha portato con sè; e nel momento stesso più cruciale della prova fa l’incontro col Dio liberatore.
Ma la benedizione anticipa e va oltre la promessa e la liberazione: consiste semplicemente nella presenza di Dio che l’accompagna!
Che ci sia concesso di realizzare questa presenza, di scoprirla in ogni momento delle nostre vite: sia quando la sua evidenza esplode e ci fa trasalire di gioia, sia quando tutto sembra dirci con dolore che essa manca.
Non sbagliamoci però: non si tratta, citando questi tre termini, di metterli in ordine cronologico o gerarchico! Si può scoprire brutalmente l’omofobia e diventarne vittima proprio quando si credeva di essere in un ambiente libero da qualsiasi pregiudizio!
E le azioni liberatrici di Dio nelle nostre vite avvengono spesso in modo inavvertibile e nel proseguire del tempo: Le esperienze dell’oppressione, della liberazione, della benedizione si intrecciano e si ripetono nella vita di Agar e ancora più spesso, credo, nelle nostre stesse vite.
Agar che sfugge alle nostre classificazioni, Agar liberata dalla situazione che l’opprimeva, Agar in cammino verso la sua libertà, Agar ci permette in questo giorno di renderci conto di essere benedetti; che il Dio davanti al quale non esistono frontiere, che stabilisce la sua dimora nel deserto e che fa da esso zampillare sorgenti di acqua viva ci apprezza perchè rappresentiamo tutta la diversità dell’umanità che Lui stesso ha creato e che ama.
Figli e figlie di Abramo, e oserei dire figli e figlie di Agar, che la pace del Signore possa riposare su di noi, che possa dissetarci nelle nostre ricerche di giustizia e che ci possa dare forza nelle nostre lotte! Amen
Testo originale:
Agar (Genesi 21, 9-20)