Conciliare l’inconciliabile. La lotta degli ebrei ortodossi omosessuali
Articolo di Nathalie Hamou tratto da Jerusalem-religions.net del 11 giugno 2009, liberamente tradotto da Dino
Gli omosessuali ebrei ortodossi lottano prima di tutto per conservare la loro identità omosessuale senza per questo rinunciare alla loro identità religiosa e viceversa.
Oggi sono ancora più spesso obbligati ad una doppia vita col rischio di farsi escludere dalla loro comunità.
L’omosessualità maschile ha un bell’essere considerata nella Torah come inammissibile (Levitico capitolo 18, versetto 22), di fatto la comunità gay israeliana è una delle più dinamiche del mondo occidentale.
Quest’ultima è addirittura considerata da alcuni gruppi di pressione israeliani come un mezzo per migliorare l’immagine caratterizzante di Israele che apparirebbe in questo modo come un paese liberale. In concreto, la comunità sfila ogni anno a Tel Aviv, ma anche a Gerusalemme dal 2002.
Quest’anno gli appuntamenti sono rispettivamente per il 12 e il 25 giugno. A margine del corteo ci sono anche degli omosessuali ebrei ortodossi che lottano prima di tutto per conservare la loro identità omosessuale senza per questo rinunciare alla loro identità religiosa e viceversa. Oggi sono ancora più spesso obbligati ad una doppia vita col rischio di farsi escludere dalla loro comunità.
Per tentare di rimediare a questa situazione schizofrenica il rabbino Ron Yoseph ha creato HOD (acronimo ebraico che designa gli “omosessuali religiosi”, www.hod.org.il), il “primo sito Internet indipendente concepito per i gay ebrei ortodossi”.
Un rabbino ortodosso rivela pubblicamente la sua omosessualità. “L’argomento dell’omosessualità tra gli ebrei praticanti rimane un tabù”, spiega questo rabbino, uno dei rari della corrente ortodossa in Israele a rivendicare la propria omosessualità. Messo in rete nel febbraio 2008, il sito mira a sensibilizzare la comunità religiosa, a promuovere un dialogo in uno spirito più tollerante e ad apportare un sostegno psicologico al pubblico credente gay.
“L’atto omosessuale è proibito dalla legge ebraica, ma il fatto di essere attratti da una persona dello stesso sesso non lo è” sottolinea il rabbino Yosef. “Noi pensiamo che una parte considerevole dell’odio di cui siamo fatti oggetto sia la risultante dell’ignoranza; la maggior parte degli ebrei credenti non hanno accesso alle informazioni che riguardano l’omosessualità”.
Fino alla creazione di HOD, esisteva un’altra associazione, Atzat Nefesh, destinata “a venire in aiuto” ai gays dell’ambiente ortodosso, vale a dire a ricondurli sulla dritta via eterosessuale. Fondato nel 2001, sotto la paternità del rabbino Shlomo Aviner, uno dei leader del movimento sionista religioso, questo organismo si basa su dei “consiglieri dell’anima” che animano dei laboratori di studio che hanno lo scopo di sviluppare il lato “maschile” dei partecipanti con lo scopo finale di “liberarli” dalla loro tendenza omosessuale.
Completamente diverso è l’approccio del rabbino Ron Yosef, che recentemente ha deciso di fare coming out partecipando a viso scoperto a Ouvda, un programma televisivo di informazione e varia cultura molto seguito, fatto salvo che l’ortodosso medio giustamente non guarda la televisione.
Il suo credo: se non si tratta evidentemente di cambiare la legge ebraica, non è nemmeno augurabile nascondersi la faccia e adottare un atteggiamento inflessibile. “Il nostro scopo non è quello di trasformare il gay credente in eterosessuale, ma di aiutarlo a conciliare le sue due identità, quella sessuale quella religiosa”, precisa.
Per far questo il fondatore di HOD non ha esitato ad indirizzarsi direttamente ai leader, agli educatori e ai rabbini della comunità ebraica ortodossa. In una lettera aperta che tocca dieci punti, spiega che i giovani credenti non dovrebbero essere obbligati a sposarsi, se essi si riconoscono omosessuali.
E difende il loro diritto a partecipare alla vita quotidiana ebraica senza essere messi al bando dalla comunità. Un’iniziativa approvata in particolare dal rabbino Youval Cherlo. Un sostegno prezioso tenuto conto che quest’ultimo è direttore di una scuola talmudica di Petah Tikvah, una città della periferia di Tel Aviv, ed è anch’egli ortodosso.
Testo originale