Chi pensa che l’omosessualità sia una malattia, si ricordi di Galileo e impari a non fare diagnosi
Articolo tratto da “L’Huffington Post” del 13 giugno 2015 di don Mauro Leonardi
Michela Marzano è una mia amica e, come ha scritto pubblicamente, è rimasta scandalizzata da alcuni cattolici che considerano l’omosessualità una malattia da curare.
Cosa posso dire a lei e ai tanti come lei feriti da queste affermazioni? Che dai tempi di Galileo Galilei – lo riconobbe ufficialmente Giovanni Paolo II – la Chiesa ha imparato che intenzione dello Spirito Santo è insegnarci “come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo.” Queste le famose parole che l’astronomo pisano rivolse a Cristina di Lorena, madre di Cosimo de’ Medici, nella speranza che la Granduchessa lo proteggesse nei dibattiti romani.
E così, come è l’astronomia ad avere competenza sul moto delle stelle, allo stesso modo è la medicina a dire cosa sia o meno malattia. Per questo la Chiesa non parla di malattia e anzi, prima di illustrare quali siano i propri convincimenti rispetto a come – a quali condizioni – l’omosessualità sia o meno una strada per la felicità eterna e terrena, afferma che “l’omosessualità si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture e la sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile” (Catechismo Chiesa Cattolica n. 2357).
Nella famosa intervista sull’aereo che lo riportava a Roma da Rio de Janeiro – quella del “se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?” – Papa Francesco citò espressamente anche il punto successivo del catechismo, e cioè il 2358, dicendo che “queste persone non devono essere discriminate, ma accolte, e che il problema non è avere queste tendenze”. Usò proprio la parola “tendenza”, quella del catechismo, non la parola “malattia”.
Del resto se la medicina, come avvenuto anche recentemente, radia dal proprio albo i medici che parlano dell’omosessualità come malattia, non mi sembra ci sia molto da aggiungere. Io, personalmente, voglio credere che le parole riportate negli articoli citati all’inizio siano state in qualche modo travisate. Lo spero vivamente. Ciao Michela.