Quante chiese cattoliche ci sono in Italia?
Articolo di Marco Marzano* pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 21 giugno 2015
Quante chiese cattoliche ci sono in Italia? Io direi certamente almeno due: la prima ha applaudito con una massiccia standing ovation l’enciclica del Papa dedicata ai temi sociali ed ecologici; la seconda è scesa in piazza ieri, a Roma, per difendere la famiglia tradizionale e per respingere la parità tra i generi e ogni concessione di diritti alle coppie omosessuali.
LA PRIMA CHIESA, quella che per semplicità potremmo chiamare progressista o conciliare, gioisce oggi dopo aver compiuto una traversata nel deserto durata quasi un quarantennio, dagli ultimi anni del pontificato di Paolo VI fino alla miracolosa elezione di Jorge Mario Bergoglio nel 2013. In questa lunga stagione, la chiesa progressista è come sprofondata sotto terra, trasformandosi in un invisibile fiume carsico e occupando silenziosamente le trincee di tante parrocchie, accettando la progressiva esautorazione dei suoi esponenti di punta da tutti gli incarichi più importanti.
Non che in questo lungo e doloroso esilio interno il mondo progressista abbia mai davvero abdicato a se stesso e cioè abbia rinunciato a cercare i “segni dei tempi”, a praticare le virtù della mediazione e del dialogo, a rinnovare con costanza le ragioni di un impegno sociale e politico a favore di tutta la società e non solo di chi crede. Non ha mai smesso di fare tutto questo il mondo progressista, ma ha piuttosto accettato di farlo nella semi-clandestinità, nella prassi pastorale più che nelle dichiarazioni di principio, evitando così gli attriti espliciti, gli scontri aperti.
Diverse le motivazioni di questo rimanere in silenzio: talvolta (questo vale soprattutto per i preti) lo si è fatto per necessità e cioè per non incorrere in punizioni, sanzioni, processi imbastiti dagli avversari; in altri casi la ragione risiedeva in quell’atteggiamento culturale squisitamente cattolico che cerca di privilegiare l’obbedienza ed evitare i conflitti, temendone la portata lacerante per l’istituzione nel suo insieme. In molte situazioni, questa rimozione, la soppressione sistematica di un conflitto esplicito, ha prodotto, nei progressisti, scoramento e sfiducia; per qualcuno ha fatto da premessa ad un silente abbandono, a un’uscita dimessa.
Quel che è certo è che ora questo mondo può finalmente rialzare la testa grazie ad un pontefice che mette al centro dei suoi interventi molti dei temi e delle sensibilità che da sempre contraddistinguono il progressismo cattolico: l’attenzione per gli ultimi, la lotta all’ingiustizia, la salvezza dell’ambiente, la necessità della politica, lo spirito propriamente evangelico. La spinta che viene dagli interventi di Francesco in questa direzione è talmente forte che oggi il pontefice è divenuto di fatto la voce più ascoltata dalla sinistra mondiale, quella meglio capace (certamente molto di più dell’esangue socialismo europeo) di presentare un’alternativa al capitalismo globalizzato iperconsumista e nichilista. Su questo piano, il messaggio di Francesco non è eludibile per tutti coloro che, sul pianeta, abbiano a cuore gli interessi della giustizia e dell’uguaglianza. Cioè per tutti i progressisti, non solo per quelli cattolici.
L’ALTRA CHIESA è quella accorsa ieri a piazza San Giovanni. La sua situazione è simmetricamente opposta a quella dei progressisti: imperante per quattro decenni oggi arretra smarrita di fronte alle novità che arrivano da Santa Marta. Privata del sostegno della Cei e orfana persino di Comunione e Liberazione, essa ribadisce quell’ossessione per la naturalizzazione delle differenze che ne cela un’altra, più autentica, anche se pubblicamente inconfessabile, per la naturalizzazione delle diseguaglianze.
In periferia, i suoi sostenitori masticano amaro, arretrano negli ultimi banchi delle chiese sospinti laggiù dal rinnovato entusiasmo dei preti progressisti, si organizzano nelle ridotte settarie di qualche movimento, di qualche associazione reazionaria, terrorizzati dalla possibilità che la Chiesa Cattolica scelga sul serio la via delle riforme e del cambiamento, divenendo un’istituzione che include e non che esclude, come da sempre vorrebbero loro.
DA UN LATO, le due chiese sono destinate a convivere. Il Papa lo sa, lo vuole e non ha certo cancellato dai suoi interventi (e nemmeno dall’enciclica) i temi bioetici che stanno tanto a cuore ai conservatori. Ne ha però ridimensionato la rilevanza, ribadendo l’intenzione di fare della Chiesa un ospedale da campo che accoglie tutti e trasferendo l’intransigenza ostile un tempo riservata a chi violava la morale sessuale a coloro che maltrattano i poveri, il pianeta e loro stessi come suoi abitanti.
Dall’altro lato, la battaglia continuerà. E con crescente virulenza. Al prossimo Sinodo in ottobre ne avremo un ennesimo consistente assaggio. Per segnare un punto decisivo a favore dei progressisti, ammesso che lo voglia davvero, il papa deve trovare la forza di introdurre riforme irreversibili, cambiamenti radicali in una dottrina immutata da secoli.
Solo così egli assegnerà alla Chiesa che vuole cambiare un vantaggio davvero decisivo nella lotta infinita contro chi pensa che il cattolicesimo sia la religione ideale di chi sogna un’improbabile ritorno al passato.
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* Marco Marzano è ordinario di Sociologia dell’organizzazione dell’Università di Bergamo