Il mio respiro a Tel Aviv. Essere una drag queen in fuga dagli arabi israeliani
Articolo di Rinat Harash e Ori Lewis pubblicato sul sito della Thomson Reuters Foundation (Gran Bretagna) il 11 giugno 2015, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Karam Dadu cammina in un bar di Tel Aviv (Israele) con un corpetto attillato color porpora, una gonna dello stesso colore, rossetto rosa luccicante e ciglia che non stanno mai ferme: non passa certo inosservato. Forse però chi lo guarda non capisce che Dadu è un travestito omosessuale arabo-israeliano. Cacciato dalla sua famiglia nel nord di Israele dopo il suo coming out sette anni fa, Dadu ora vive a Tel Aviv, una città colorata e aperta che venerdì [12 giugno 2015 n.d.t.] ospiterà il suo Gay Pride, che riempirà le strade di decine di migliaia di manifestanti festosi e allegri. Per il ventitreenne Dadu il festival è un’occasione per esibirsi come famosa drag queen sotto il nome di Karma Sutra, immergendosi in un’atmosfera molto lontana dall’odio e dall’ostracismo che si è lasciato dietro abbandonando la sua famiglia.
Essere un gay travestito nella comunità minoritaria degli Arabi Israeliani è una cosa mai sentita. Come in gran parte del mondo arabo l’omosessualità è condannata e chi esce allo scoperto come gay vive nella paura del rifiuto e persino del delitto d’onore, ovvero la morte per mano dei parenti convinti di lavare la vergogna della famiglia. Dadu, nato nella città di Acri nel nord di Israele, dove si mescolano Ebrei e Arabi, dichiarò ingenuamente il suo orientamento sessuale all’età di 14 anni. Questo scatenò abusi e violenze e due anni dopo se ne andò di casa.
“Durante i due anni dopo il coming out e fino al giorno in cui me ne sono andato non c’è stato un solo giorno che non desiderassi morire. Mi odiavo costantemente” racconta in ebraico alla Reuters. A 19 anni, durante una breve visita alla famiglia, il padre furioso e ubriaco lo colpì ripetutamente con una sbarra d’acciaio. Rimase in ospedale per sette settimane e l’incidente lo spinse ad abbandonare la famiglia e farsi una nuova vita. “Dopo due o tre giorni da solo in ospedale, mia mamma venne a trovarmi. Si tenne a distanza dal letto e disse: ‘È tutta colpa tua, sei da biasimare per la tua omosessualità. “Non c’era nient’altro da dire, e se ne andò.”
Da quando si è trasferito a Tel Aviv, da lungo tempo considerata città gay-friendly, tutta parata di bandiere arcobaleno durante il Pride, Dadu ha trovato una comunità di persone simili a lui. Condivide un appartamento con alcuni ebrei israeliani vicino al centro e lavora in un ristorante. Mentre cammina nel parco alla moda Gan Meir, Dadu non sembra così fuori posto con i suoi capelli ingellati fino a formare un’onda, maglietta rosa con disegni arcobaleno e scarpe da ginnastica.
E quando si veste per esibirsi come drag queen con ciglia finte, ombretto colorato e rossetto brillante prima di strizzarsi nel suo corpetto attillato con calze a rete e tacchi altissimi, ha un senso di gratitudine per l’apertura di Tel Aviv: “Sento proprio di poter respirare libero. Ho addosso gli occhi di tutti e nessuno mi giudica come omosessuale o come arabo, ma esclusivamente per la mia arte. È una cosa magnifica, liberatoria, è come dire che Karam è vivo. Non si limita a sopravvivere, è vivo”.
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Testo originale: Israeli-Arab drag queen finds refuge in Tel Aviv