Essere gay, cristiano e nero ad Harlem
Articolo di Sarah Thomas pubblicato sul sito Aljazeera America (Usa) il 1 giugno 2014, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
NEW YORK. Come gay in Togo, dove l’omosessualità è punibile con fino a tre anni di reclusione, Rodrigue (che ha chiesto non sia fatto il suo cognome per paura di recriminazioni sulla sua famiglia), si sentiva in pericolo. Sebbene la legge sia applicata raramente, la violenza contro i gay è percepita come una valida opzione dall’opinione pubblica. Rodrigue parla di giovani che conosceva aggrediti da conoscenti in strada dopo la scuola. Dice di non essere mai stato minacciato fisicamente in Togo, poi riluttante aggiunge, “tranne che dalla mia famiglia.” “I miei zii hanno minacciato di uccidermi”.
Il punto di svolta per Rodrigue è stato quando suo zio l’ha attaccato fisicamente e lui se ne è andato. Suo zio ha contattato la polizia e, da quel momento in avanti, Rodrigue divenne, a tutti gli effetti, un ricercato. Rodrigue è arrivato ad Harlem quattro anni fa, quando gli fu offerta una borsa di studio dell’ONU. È andato all’International House vicino alla Columbia University e ha abbracciato la sua nuova vita a New York. Anche se avrebbe dovuto tornare in Togo quattro mesi dopo, non lo fece mai.
Fa parte di una subcomunità di immigrati gay dell’Africa dell’ovest – una piccola frazione della fiorente popolazione dell’Africa dell’ovest, che vive in un tratto della 116° Strada chiamata Little West Africa. Molti di loro hanno paura delle persecuzioni nel loro Paese e hanno cercato asilo negli Stati Uniti. “È una vita clandestina” ribadisce. “Devo cercare di comportarmi ‘normalmente’. Alcune persone, anche se è raro, sono pericolose.”
Parlando delle radici dell’omofobia onnipresente in Togo, Rodrigue torna alla religione. “[La mia famiglia] pensa che sia malvagia e strana e pensa che potrei ‘contaminare’ i miei cugini. È stato così brutale.” Continua spiegando la geografia religiosa del Togo: la metà meridionale del Paese è cristiana, e la metà settentrionale musulmana. “La mia famiglia è cristiana. Sono cresciuto da cristiano.” Mentre l’omofobia nell’Africa dell’ovest è diventata un fenomeno a sé stante, Rodrigue dice che spesso è nata dalla religione.
Ad Harlem Rodrigue ha scoperto ciò che effettivamente è un microcosmo delle complesse dinamiche del suo Paese, che includono cristiani conservatori, razza e omosessualità. Qui le Chiese nere affrontano quotidianamente questioni di razza e sessualità. E quando giovani uomini e donne omosessuali dell’Africa dell’ovest arrivano negli Stati Uniti, trovano una società che potrebbe accettare la loro sessualità ma spesso storce il naso al colore della loro pelle.
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Strani compagni di letto
Harlem ha la fama di essere la casa di una comunità vibrante e aperta. Nel “Rinascimento” di Harlem degli anni ’20 del secolo scorso, il vicinato ha abbracciato la cultura gay nei nightclub (tra di loro il Clam House), e numerosi personaggi LGBT come Langston Hughes, Countee Cullen, Bessie Smith e James Baldwin lo ritenevano come casa loro. Oggi, donne e uomini gay si riuniscono apertamente nei ristoranti, nei nightclub, nelle palestre e nelle librerie del vicinato.
Quel che ha ancor più da raccontare ad Harlem, è la comunità Cristiana. Tradizionalmente, le chiese dei neri si allineano lungo le strade. La frizione tra i neri omosessuali e le comunità religiose negli Stati Uniti è ben documentata. Come ha scritto Aaron Douglas Weaver in “Christian Ethics Today”, il 70% dei votanti neri ha appoggiato la Proposizione 8 in California, nel 2008, che vietava il matrimonio gay nello stato, fino a quando fu revocato per ordine della Corte Suprema.
Weaver sostiene che sebbene la chiesa nera abbia “fondamentali valori di libertà, giustizia e uguaglianza… forse nessun problema rivela la complessa relazione della chiesa nera con questi valori fondamentali [più] dei diritti dei gay.”
Paradossalmente, precisa Weaver, i teologi hanno definito la chiesa sia un’avanguardia del cambiamento sociale che un “antagonista sociale” di tale cambiamento.
Ci sono più di quattrocento luoghi di culto ad Harlem. Quando Rodrigue arrivò, la varietà delle chiese – da quelle molto conservatrici a quelle molto liberali – sembrava un lusso. Ancora, era curioso di come la sua sessualità e il suo essere cristiano potessero coesistere lì. La domenica di Pasqua ad Harlem, non solo la varietà delle chiese, ma anche il loro volume è mozzafiato. Fuori dalla First Corinthian First Baptist Church, tra la 115a Strada e Adam Clayton Powell Boulevard, la linea per arrivare nella fascia intorno all’isolato.
“Diffidate di chi ti supporta in privato ma non in pubblico,” afferma il pastore Mike Walrond dal pulpito, alludendo a Nicodemo e Giuseppe, che in privato credevano e non avrebbero riconosciuto Gesù fino alla sua morte. Ma il pericolo delle differenti reazioni pubbliche e private è ciò che caratterizza il viaggio di Rodrigue – la necessità di condurre una vita clandestina in Togo, nascondendo una componente della sua identità a casa e nella sua chiesa, quel che lo ha portato a trattenersi oltre il suo visto delle Nazioni Unite e a chiedere asilo.
L’interpretazione biblica di Walrond si attaglia alle congregazioni di ogni colore e orientamento sessuale. Nella Bibbia, dice, “Si trova Gesù che predica e opera il suo ministero con comunità ostracizzate e marginali”. Il suo Gesù predica l’ “amore etico.”
La congregazione del First Corinthian è sia vasta che, da quel che dice il pastore, varia, includendo immigrati africani e dell’India, dell’ovest così come membri gay.
Solo pochi isolati dopo c’è la Atlah World Missionary Church, che è diventata famosa per i suoi messaggi anti-gay scritti sul suo tendone su Lenox Avenue. Lì il reverendo James David Manning predica che paesi come il Togo considerano “giustamente” l’omosessualità un’offesa criminale e la paragonano al furto. Il “crimine” che uomini come Rodrigue stanno commettendo, dice, è malvagio come una rapina in banca.
In un’intervista sottolinea che “La Bibbia afferma che l’uomo che giace con l’uomo dovrebbe essere lapidato.”
Inoltre secondo lui il termine “gay” è una definizione inappropriata e usa il termine “sodomita”, che porta alla “disgustosa verità”. La congregazione di Manning è composta largamente di afroamericani, con qualche indiano dell’ovest, immigrati africani e bianchi. Manning parla con giusta indignazione e sembra sicuro di avere Gesù – e per estensione Dio – dalla sua parte. Egli cita il comandamento di Gesù di obbedire ai comandamenti – che a quei tempi ritenevano fuori legge l’omosessualità – e a denunciare le persone LGBT.
Il messaggio di Manning non riguarda solo il sesso. “I sodomiti bianchi stanno venendo nella comunità di Harlem e molti di loro sotto l’influenza di Jungle fever di Spike Lee.” Circa la “decimazione della struttura della famiglia nera” egli ne da la responsabilità ai gay e ai gay bianchi in particolare. Agli occhi di Manning, le ripercussioni del veloce imborghesimento di Harlem non sono solo economiche ma socio sessuali.
Proprio a nord ovest di Atlah, sulla 123° strada, c’è una enclave di cristiani africani, la Presbyterian Church of Ghana. È un alveare di attività, con persone che sciamano su e giù per le scale. Il reverendo Barima Appiah-Dankwa, pastore da due anni, ha fatto esperienza di una Harlem ospitale e ha detto che la comunità del Ghana in cambio “contribuisce a rendere migliore la cultura e il posto molto più vivibile. Ci lavoriamo in mezzo”.
Certamente, dice, l’inborghesimento ha un impatto significativo sugli immigrati di Harlem. La popolazione bianca spesso va nei quartieri residenziali cercando affitti più abbordabili, spingendo al rialzo i prezzi di mercato.
Il clima economico attuale, afferma, “sta avendo un certo impatto. La vita ad Harlem sta diventando più cara. In un futuro non troppo distante, avrà un effetto sulla chiesa, perché la gente potrebbe andarsene”.
Nonostante le leggi bigotte contro le sorelle e i fratelli gay africani, nota che il Ghana non ha vietato l’omosessualità. Cieca la sua opinione sull’argomento, dice, “Gli esseri umani hanno diritto alle proprie opinioni e ognuno ha la possibilità di vivere la sua vita. Non vedo [l’omosessualità] come un problema.”.
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Una comunità amata
A Rodrigue manca la sua famiglia che è in Togo, ma non può immaginare di tornare indietro. La vita negli Stati Uniti ha molte possibilità e poche restrizioni. Anche se ha fatto esperienza di un nuovo tipo di discriminazione: il razzismo.
Qui Rodrigue è più conscio del colore scuro della sua pelle, anche se non c’è la stessa posta in gioco dell’essere gay in Togo.
“In Togo, avevo sempre paura che qualcuno mi spaccasse la faccia per strada,” dice. “Nessuno mi attacca per la strada perché sono nero.” Michael Ighodoro un attivista gay di origine nigeriana è d’accordo e dice, “Prima di venire in America, non sapevo di essere nero.”
Rodrigue è sobrio quando parla del suo vittimismo, anche generoso. “Non è sempre piacevole essere trattati diversamente”, ammette. “Sono molto portato nel cercare di capire le persone… il razzismo e la discriminazione contro i gay – sono qualcosa di realmente vicino a noi.”
Anche se i suoi amici immigrati gay dell’Africa occidentale hanno registrato casi di violenza omofobica a casa e di razzismo qui, Rodrigue dice, “non ne parliamo.”
C’è stato un lungo dibattito tra gli attivisti dei diritti civili se i diritti delle persone LGBT ne fossero parte integrante. Quando il presidente Barack Obama stava facendo la sua campagna nel 2008, parlò alla Ebenezer Baptist Church di Martin Luther King Jr. dicendo che la gente nera è spesso “vittima della crudelta dell’uomo verso i suoi simili”. Ha quindi fatto appello alla visione inclusiva di King di una “comunità amata”, dicendo, “abbiamo disprezzato i nostri fratelli e sorelle gay invece di abbracciarli.”
Anche Walrond riconosce il problema. “Ci sono cose che vanno a detrimento dei nostri ideali. Il razzismo è intrecciato nel tessuto di questo paese,” dice.
Il razzismo e l’omofobia sembrano forme di bigottismo in competizione, e troppo spesso gli attivisti non allargano la loro azione per includere gli interessi di altri gruppi. Cita l’“ovvia ironia” che così tanti attivisti non vedano i diritti dei gay come diritti civili tout court, e crede che il movimento per i diritti civili non è una battaglia solo per i diritti dei neri americani.
“È pericoloso per la gente confrontare la propria oppressione per vedere quale sia la peggiore. Quando la gente oppressa inizia a farlo, allora non si impegnano a criticare le strutture del sistema che rafforza, in primo luogo, l’oppressione.”
Per i gay dell’Africa dell’ovest richiedenti asilo, queste diverse iterazioni dell’oppressione esistono contemporaneamente.
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Una casa lontano da casa
Mentre i gay dell’Africa dell’ovest richiedenti asilo hanno trovato apparentemente – e anche legalmente – pace negli Stati Uniti, non significa che l’abbiano trovata anche dentro di sé. Rodrigue fa eco aun ritornello comune: la difficoltà di sentirsi stranieri, la frustrazione di doversi esprimere in un linguaggio non famigliare.
Detto questo, le possibilità di un futuro sono vaste. Frequenta il Borough of Manhattan Community College, ha una vita sociale molto piacevole e si sta vedendo con un ragazzo che gli piace molto, Jesse di New York, che di recente si è trasferito ad Harlem.
Un bianco e un nero mano nella mano per le strade di Harlem – il realizzarsi di un unione di cui Manning ha paura.
Ancora, Rodrigue, è stato in grado di trovare una comunità religiosa che gli ha dato un senso di appartenenza. Dice che la chiesa che frequenta è “la chiesa più progressista che io abbia mai visto, la cui metà è gay. È qualcosa di cui non ho mai fatto esperienza prima. è pazzesco che io possa farne parte.” È un messaggio pieno di speranza per giovani uomini che sono ostracizzati dalle loro comunità e dai loro paesi.
Dov’è questa chiesa idilliaca ad Harlem?. “La mia chiesa?” ride. “È in centro, sulla 31° strada.”
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Testo originale: To be gay, Christian and black in Harlem