“Strade dell’amore”, ma piene di ostacoli. I cattolici Lgbt interpellano il Sinodo
Articolo di Giampaolo Petrucci pubblicato su Adista Notizie n° 35 del 17 ottobre 2015, pag.8
Sono arrivati a Roma da 30 Paesi del mondo, come singoli individui che si interrogano sulla loro travagliata presenza nella Chiesa, o come gruppi organizzati, impegnati nella società civile e religiosa delle loro città di provenienza, non di rado perfettamente integrati nelle comunità cattoliche locali. Sono i gay, le lesbiche e i/le transessuali – accompagnati dalle loro famiglie e dai loro amici – che hanno partecipato alla conferenza internazionale “Ways of love/Le strade dell’amore. Istantanee di incontri cattolici con le persone Lgbt e le loro famiglie”, tenutasi lo scorso 3 ottobre presso il Centro Pellegrini “Santa Teresa Couderc”, in concomitanza con l’apertura dei lavori del Sinodo sulla famiglia e in dialogo con esso. A promuovere l’evento, la neonata Global Network of Rainbow Catholics, rete di 12 organismi Lgbtqi che riuniscono credenti cattolici provenienti da Europa, Stati Uniti, Africa e America Latina.
All’evento romano hanno partecipato, tra gli altri, Mary McAleese (l’ex presidente della Repubblica irlandese, tra i sostenitori del sì al referendum sulle nozze gay), Jeannine Gramick (suora statunitense, leader del movimento Usa di credenti omosessuali New Ways Ministry) e mons. Raúl Vera Lopez (vescovo di Saltillo, in Messico, da sempre impegnato in favore dei diritti umani), il quale, a margine della conferenza, ha dichiarato che la comunità Lgbt rappresenta, allo stesso tempo, una minoranza che ha sofferto l’esclusione all’interno della comunità cattolica, ma anche un “segno dei tempi” con cui la Chiesa oggi deve assolutamente entrare in dialogo (qui il video di Repubblica Tv).
Molte le testimonianze che, durante la kermesse, hanno riaffermato le premesse dell’invito alla conferenza internazionale, ovvero quanto «un approccio pastorale sia migliore di uno ideologico per la promozione delle relazioni pacifiche e fruttuose con le persone Lgbt nella vita quotidiana delle comunità cattoliche». L’approccio ideologico – come dimostra il caso nostrano della strenua battaglia delle destre politiche e cattoliche conto la fantomatica “teoria del gender” e contro il ddl sulle unioni civili in dibattito in Parlamento – prende le mosse da pregiudizi e “fobie” che vengono costantemente alimentati producendo uno scontro, dai toni per lo più violenti e antievangelici, che perde di vista la «comune umanità» e la possibilità di un incontro positivo tra le persone, condannando alla sofferenza e all’esclusione chi vive ai margini della società e della comunità cattolica. Basterebbe lasciare «l’ideologia da parte per un po’», è l’invito della Rete, per «produrre importanti scoperte sia per le persone Lgbt sia per la Chiesa».
E nonostante la «persecuzione» e il continuo rifiuto, i promotori di “Ways of love” continuano a lanciare il loro appello al dialogo. Lo fanno anche in chiusura dei lavori, nel messaggio finale inviato ai partecipanti al Sinodo (qui la versione integrale), che si è aperto con la lunga lista di “no” della relazione introduttiva del card. Péter Erdo (arcivescovo di Budapest).
I credenti omosessuali non hanno vita facile, si legge nella lettera. «Molti nella nostra Chiesa hanno ritenuto che disapprovandoci stessero servendo Dio, e alcuni ancora lo credono, soprattutto all’interno della gerarchia». Quella delle persone Lgbt è una condizione difficile, che diventa estremamente pericolosa in molti Paesi del mondo dove leggi “civili”, spesso animate da fervente “spirito cristiano”, hanno istituito il “reato di omosessualità”, punibile con la reclusione, la tortura o addirittura la morte. Ciononostante, si legge ancora nella lettera, «abbiamo mantenuto la nostra professione di fede cattolica» e, anzi, «abbiamo scoperto che attraverso questa nostra condizione di “ultimi” nel popolo di Dio, lo Spirito Santo ci ha dato una sorprendente capacità (almeno per noi) di alzarci e dare il nostro contributo, senza aver paura di chi ci teme, senza risentirci per la mancanza di accoglienza, la burocratica avarizia dello spirito e la disonestà a cui siamo stati regolarmente sottoposti. Abbiamo imparato che non è importante ciò che la Chiesa può fare per noi, ma cosa possiamo fare noi per la Chiesa».
Nella lettera, i convenuti alla kermesse dichiarano di voler camminare insieme (e non contro) ai padri sinodali, ribadendo ancora una volta che la loro presenza non deve essere vista come un problema da parte della Chiesa, bensì come una risorsa nel comune obiettivo di annunciare il Vangelo e di costruire insieme le “famiglie cristiane”, che dovrebbero comprendere, oltre quelle tradizionali, anche e a tutti gli effetti quelle arcobaleno. Cari padri sinodali, conclude la lettera, «abbiamo pregato per voi in ogni messa del nostro incontro, e vi chiediamo di pregare per noi, fiduciosi che saremo presto in grado di incontrarci alla luce del sole, con gioia. Perché ci ha sorpreso la scoperta che nel corso degli ultimi anni, nonostante tutto, e perché nulla è impossibile a Dio, siamo diventati compagni di cammino con voi nella vita del Vangelo».