Un nuovo linguaggio per vecchi concetti, sarà l’unico cambiamento che verrà dal Sinodo?
Corrispondenza* di Francis DeBernardo pubblicata su Bondings 2.0, blog dell’associazione cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti) il 10 ottobre 2015, liberamente tradotto da Marius
Finora, dal Sinodo si è saputo ben poco su molti dei temi scottanti dello scorso anno: le questioni LGBT e la possibilità di divorziarsi e di risposarsi. Molti vescovi hanno notato che quest’anno il Sinodo si concentrerà invece sulle questioni più ampie che la famiglia si trova ad affrontare.
Il mio personale pensiero è che si cercherà di evitare gli argomenti che potrebbero mettere in discussione la dottrina, e che invece ci si concentrerà sulle questioni in cui dottrina non è controversa.
Il tema principale discusso finora è stato il problema del linguaggio. Ho pensato che l’interesse per la lingua avesse a che fare con l’uso di termini specifici, come “tendenze omosessuali”, e altri giornalisti mi hanno confermato che anche loro la pensavano come me. Però alla conferenza stampa di oggi abbiamo appreso che il problema del linguaggio è stato posto a un livello molto più generale.
I vescovi temono che il documento sinodale rischi di sembrare troppo negativo sui problemi familiari e si adoperano affinché il testo del Sinodo sia meno astratto e più concentrato su fenomeni quotidiani e comuni. Il cardinale di Manila, Luis Antonio Tagle, relatore alla conferenza, ha sottolineato che una parola come “catechista” può significare cose diverse nelle varie culture.
Alla conferenza stampa, l’Arcivescovo Joseph Kurtz di Louisville ha osservato che la lingua dell’Instrumentum Laboris (documento di lavoro del Sinodo) non è riuscita a “ispirare” la gente, e che era spesso troppo astratta. Ha citato l’esempio di Papa Francesco, il quale, secondo lui “ha la capacità di toccare il cuore della gente”. Ha anche offerto un esempio che è stato incluso nel rapporto del suo piccolo gruppo di discussione sulla lingua:
“Espandendo le parole per spiegare la ‘Buona Novella sulla famiglia’, abbiamo cercato di parlare meno di crisi e più di ‘luci e ombre’“.
Ma questo non significa che non vedremo un nuovo linguaggio per le tematiche e le persone LGBT. In un’intervista a la “Crux”, il vescovo australiano di Brisbane, Mark Coleridge ha offerto alcuni barlumi di speranza:
Si è parlato al Sinodo della necessità di un “nuovo linguaggio” per il matrimonio e per la famiglia. Che cosa significa?
Abbiamo la necessità di parlare in maniera nuova della situazione di coloro che sono attratti da persone dello stesso sesso o si trovano in una coppia di persone dello stesso sesso di qualche tipo, o di coloro che sono divorziati e si sono risposati civilmente.
Personalmente ritengo che sia al di fuori della realtà dire che non ci sia nulla di buono in queste relazioni. Capisco che non c’è continuità tra buono e cattivo, ma questa è solo teoria. La realtà è, e ogni pastore lo sa, che quando si incontrano le persone in queste relazioni, non è tutto bianco o nero.
Preservare intatto l’insegnamento della Chiesa può ancora aprire un vasto campo di creatività pastorale. È una sfida per l’immaginazione pastorale. Mi sembra, sempre di più, che questo Sinodo costituisca un appello a questo genere di cose. Il pericolo, e non solo per noi vescovi, ma per altri nella Chiesa, è quello di pensare che siamo condannati a danzare in catene finché non cambiamo l’insegnamento della Chiesa.
Vi è una patologia cattolica, talvolta, del tutto o del niente. Se non è conforme al nostro ideale di ciò che è un matrimonio, allora in qualche modo non è niente. Questo è assolutismo cattolico…
Che cosa ne pensa della questione della necessità di un linguaggio inclusivo più positivo circa l’omosessualità, senza addentrarsi nello specifico di quel linguaggio?
Penso che ci sarebbe un enorme consenso, qualcosa come il 70%. Si sostiene fortemente un tono di minor condanna, e il linguaggio sta alla base. C’è il desiderio di includere le persone, senza considerare le richieste di ciò che talvolta si definisce “ideologia gay”.
Questo può comportare non solo parole, ma anche il linguaggio dei gesti, di cui il papa stesso è un maestro.
Che cosa si intende per “gesti”? Presumo che Lei non stia parlando, per esempio, di cerimonie in cui si benedicono le coppie gay?
No, assolutamente no. Non ci sarebbe alcun sostegno in questo senso, nessun tipo di comparabilità tra il matrimonio e le unioni fra persone dello stesso sesso. Dubito che ci sarebbe un vescovo in sala che lo accetterebbe.
Quello che ho in mente, per esempio, è semplicemente essere pronti a sedersi e parlare con le persone gay o che si trovano in coppie dello stesso sesso. In altre parole, non trattandole come una sorta di patto diabolico, ma riconoscendo il loro volto umano e il grido del bisogno, nella convinzione che in qualche modo la verità di Dio si trova lì e non in un mondo astratto che prende le distanze dall’esperienza umana.
Nella conferenza stampa di mercoledì, Charles Chaput, arcivescovo di Philadelphia, ha detto:
“Spero che riusciremo a trovare, con un accordo unanime, un linguaggio che rispecchi la dottrina della Chiesa e l’ amore e il sostegno verso le persone che hanno attrazione per il loro stesso sesso”.
Purtroppo, non credo si renda conto che il modo in cui usa il termine “persone che hanno attrazione per il loro stesso sesso” è esattamente una delle ragioni per cui le persone gay e lesbiche non sentono l’amore e il sostegno da parte dei vertici cattolici.
Come illustra la citazione di Chaput, la lingua è molto importante, e io spero che il Sinodo si presenti con nuovo linguaggio che sia inclusivo e disponibile. Ad esempio, il rapporto del gruppo di lingua inglese “C”, ha dichiarato:
“. . . Abbiamo avuto una lunga discussione su ciò che intendiamo per “famiglia”, che è sicuramente l’essenza di questo Sinodo. Alcuni pensavano che avrebbe avuto più senso parlare di “famiglie”, visti i molti tipi diversi di famiglie che ora vediamo”.
E il gruppo linguistico inglese “D”, ha commentato come dovrebbe essere la relazione finale del Sinodo:
“. . . E’ importante parlare in un modo che attiri l’attenzione della gente”. “Altri ancora pensavano che nel testo mancava qualcosa che potesse attirare la gente. Se il documento è destinato al grande pubblico, hanno ritenuto che si dovrebbero inserire le storie di vita di famiglia, o le vite dei santi con illustrazioni, per rendere il materiale più interessante. Essi hanno sottolineato la necessità di rivedere la lingua del documento e assicurarsi che faccia appello a uomini e donne, senza escludere nessuno”.
Il linguaggio è importante, ma non è l’unica cosa di cui la gerarchia della Chiesa deve occuparsi per affrontare le questioni del matrimonio e della famiglia. La mia più grande preoccupazione, mentre leggo e sento qui a Roma, è che il Sinodo passi tutto il tempo a cercare di applicare una lingua migliore su vecchie dottrine e pratiche pastorali.
Mi ricorda il messaggio che ho sentito spesso provenire dai vescovi degli Stati Uniti durante i dibattiti sull’uguaglianza del matrimonio: il problema è che non abbiamo trasmesso la dottrina sul matrimonio in maniera abbastanza efficace.
Ciò che questi vescovi non sono riusciti a capire è che il problema non è la lingua o la presentazione che mette le persone in disaccordo con la Chiesa o le fa sentire lontane da essa. Il problema è che la gente è ferita e sminuita dalle dottrine della Chiesa e dalle pratiche pastorali.
Spero e prego che il Sinodo faccia molto di più che esaminare solo la lingua, e inizi a considerare metodi più fecondi di accoglienza e confermi TUTTE le famiglie attraverso nuove politiche e iniziative pastorali.
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* Questo è il quinto articolo di Bondings 2.0, il blog dell’associazione cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti), sul Sinodo del Matrimonio e della Famiglia a Roma. Francis De Bernardo, direttore esecutivo di New Ways Ministry, continuerà a inviare notizie e commenti da Roma su questo incontro. Per leggere i post precedenti cliccare qui.
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Testo originale: Will Language Be the Only Thing That the Synod Updates?