Il quadrilatero e la fantasiosa ipotesi di una teologia single
Riflessioni di Stefano Sodaro* pubblicato su Il giornale di Rodafà, rivista online di liturgia del quotidiano, n.338, del 25 ottobre 2015
Gesù di Nazaret era single? La risposta – ad una domanda che sembra formulata in modo quasi irriverente, ma non si capisce perché mai dovrebbe apparir tale – dev’essere, quantomeno tradizionalmente, affermativa. Sì, insegna la Tradizione, Gesù di Nazaret era single. Non aveva moglie e non aveva figli. Anzi chiedeva provocatoriamente chi fosse sua madre e chi fossero i suoi fratelli (cfr. il vangelo di Marco, 3, 33, quello di Matteo 12, 48 e quello di Luca 8, 21).
Ora, in questa intensissima domenica di commenti post-sinodali, proviamo ad analizzare meglio le coordinate intorno a cui i Padri hanno cercato di districare una sintesi dottrinale a pastorale su cui, a propria volta, il Papa ha mantenuto e mantiene una posizione non semplicemente omologabile e sovrapponibile, ma integrata eppure parzialmente diversa, meno compromessa se così si può dire, più libera in definitiva. Nell’avvicinarsi al pensiero e alla parola di Francesco vescovo di Roma non è possibile, pena il non comprendere più nulla, l’archiviazione, od anche soltanto il silenziamento, della teologia della liberazione latinoamericana.
Fissiamo allora questo primo punto: un approccio teologico alla realtà di chi soffre, facendo teologia non deduttivamente ma induttivamente, a partire dal basso e non dall’alto. A partire dalla concretezza e non dall’astrazione, a partire dalla povertà e non dal benessere. A partire dal bisogno e non dalla soddisfazione.
Nell’essere diventato l’argentino Jorge Mario Bergoglio vescovo della prima sede episcopale che sta proprio al centro del Primo Mondo, la teologia della liberazione, tuttavia, ha incontrato un’istanza molto differente dall’afflato comunitario che la contraddistingue: quella della soggettività.
La soggettività è questione marcatamente europeo-occidentale. E qui siamo al secondo punto. Intorno alla soggettività si giocano le domande dei nuovi diritti, il progresso o l’arresto di una cultura critica ormai impolverata da luoghi comuni e supersoniche liquidazioni neoliberali. Mettere assieme teologia della liberazione e problema della soggettività non è impresa da poco.
Mentre poi la teologia della liberazione interroga la norma ecclesiale, sia essa giuridica o pastorale, sino a richiedere una nuova articolazione espressiva e intellegibile della stessa “regula fidei”, la questione della soggettività pone drammaticamente in luce, fa riemergere, fa diventare urgente un’altra enorme vertenza culturalmente irrisolta, quella della sessualità. Il pensiero del sud e del nord della Terra, in tutte le sue articolazioni, non si è mai pacificato su questo campo di battaglia.
Il papa questa mattina in San Pietro ha affermato:
«Può essere il nostro rischio: di fronte ai continui problemi, meglio andare avanti, senza lasciarci disturbare. In questo modo, come quei discepoli, stiamo con Gesù, ma non pensiamo come Gesù. Si sta nel suo gruppo, ma si smarrisce l’apertura del cuore, si perdono la meraviglia, la gratitudine e l’entusiasmo e si rischia di diventare “abitudinari della grazia”. Possiamo parlare di Lui e lavorare per Lui, ma vivere lontani dal suo cuore, che è proteso verso chi è ferito. Questa è la tentazione: una “spiritualità del miraggio”: possiamo camminare attraverso i deserti dell’umanità senza vedere quello che realmente c’è, bensì quello che vorremmo vedere noi; siamo capaci di costruire visioni del mondo, ma non accettiamo quello che il Signore ci mette davanti agli occhi. Una fede che non Sto arrivando! radicarsi nella vita della gente rimane arida e, anziché oasi, crea altri deserti.
C’è una seconda tentazione, quella di cadere in una “fede da tabella”. Possiamo camminare con il popolo di Dio, ma abbiamo già la nostra tabella di marcia, dove tutto rientra: sappiamo dove andare e quanto tempo metterci; tutti devono rispettare i nostri ritmi e ogni inconveniente ci disturba. Rischiamo di diventare come quei “molti” del Vangelo che perdono la pazienza e rimproverano Bartimeo. Poco prima avevano rimproverato i bambini (cfr 10,13), ora il mendicante cieco: chi dà fastidio o non è all’altezza è da escludere. Gesù invece vuole includere, soprattutto chi è tenuto ai margini e grida a Lui. Costoro, come Bartimeo, hanno fede, perché sapersi bisognosi di salvezza è il miglior modo per incontrare Gesù.
E alla fine Bartimeo si mette a seguire Gesù lungo la strada (cfr v. 52). Non solo riacquista la vista, ma si unisce alla comunità di coloro che camminano con Gesù.»
Teologia della liberazione, soggettività, norma ecclesiale e sessualità.
Queste, secondo il nostro modesto pensiero, le quattro pareti dentro le quali fermenta il nuovo percorso di Chiesa che le parole papali sopra riportate ancora stamattina hanno disegnato.
Scorrendo la “Relatio finalis” del Sinodo si osserva, ad esempio, che al n. 39, sono contenute parole di constatazione dell’esemplarità dell’esperienza nuziale per la stessa Rivelazione: «La profezia biblica, per celebrare l’alleanza d’amore tra Dio e il suo popolo, ricorrerà non solo al simbolismo nuziale (cf. Is 54; Ger 2,2;Ez 16), ma all’intera esperienza familiare, come attesta in modo particolarmente intenso il profeta Osea. La sua drammatica esperienza matrimoniale e familiare (cf. Os 1-3) diventa segno della relazione tra il Signore e Israele.»
Questo divenire segno è un divenire “simbolo”, un costituire riferimento di possibili analogie.
Ma poi, al n. 41, si passa a presentare l’inaudito evangelico, enucleando in qualche modo una contraddizione che è però salvifica, pur essa rivelativa, decisiva: «In modo sconvolgente per chi lo ascoltava, Gesù ha relativizzato le relazioni familiari alla luce del Regno di Dio (cf. Mc 3,33-35; Lc 14,26; Mt10,34-37; 19,29; 23,9). Questa rivoluzione degli affetti che Gesù introduce nella famiglia umana costituisce una chiamata radicale alla fraternità universale. Nessuno rimane escluso dalla nuova comunità radunata nel nome di Gesù, poiché tutti sono chiamati a far parte della famiglia di Dio.»
Giunti al n. 76, e citando un pronunciamento della Congregazione per la Dottrina della Fede, si afferma però che: «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia».
La valenza paradigmatica del matrimonio cessa dunque improvvisamente. E cessa proprio per una modalità di vivere la sessualità che risulta dottrinalmente inaccettabile. Un’inaccettabile soggettività, anche se intrisa di amore vero.
Il quadrilatero non si chiude.
Al n. 8, quindi proprio all’inizio della Relazione, i Padri individuano «Una sfida culturale odierna di grande rilievo» che, a loro dire, «emerge da quell’ideologia del “gender” che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina. L’identità umana viene consegnata ad un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo. Nella visione della fede, la differenza sessuale umana porta in sé l’immagine e la somiglianza di Dio (cf. Gn 1,26-27).»
Vorremmo richiamare l’attenzione sulle due parole “intimità affettiva”, perché paiono portare finalmente – davvero finalmente – in superficie la preoccupazione vera e profonda della guerra guerreggiata, ma un po’ da “Deserto dei Tartari”, contro tale “ideologia gender”: è appunto la dimensione della sessualità vissuta secondo soggettività non incanalabili a priori, non disciplinate o disciplinabili, non “regolari”, non canoniche.
Alla fine allora ci pare di poter tornare sulla questione teologica decisiva per la fede: chi era Gesù di Nazaret?
È dottrinalmente decisivo – proprio per la fede intendiamo – il suo essere maschio? Ma come mai non lo è il suo essere senza famiglia, anzi, tutto al contrario, diventa imprescindibile il consolidamento dell’istituto familiare, per la Chiesa che a lui guarda?
Proviamo a abbozzare – forse non si dice così – un’icona particolare: un Cristo con il volto ed il corpo di donna.
Perché le donne in Sinodo, nonostante i proclami anti-gender, sono state presenza quasi inesistente.
Un Cristo donna che resta single e che fa del suo essere sola un inveramento nuziale, matrimoniale, impensabile e tuttavia profondamente consolante e liberatorio, capace di abbracciare, di stringere a sé, di asciugare lacrime, di curare.
Che poi sarebbe – dovrebbe essere – il senso dell’opzione celibataria monastica, ma noi vorremmo qui prescindere da scelte positive e guardare invece alla mera concretezza di una condizione effettiva.
Quel volto e quel corpo di donna sola, concreta, vivente, potrebbe insegnare alla Chiesa cosa significa amare. Potrebbe farlo perché capace di realizzare in sé l’amore coniugale e familiare di amici, di sorelle, di fratelli, ripresentando la cristicità di una rivoluzione bimillenaria con il sapore di pane e di casa.
Il Cristo single che rimanda, cioè, al Cristo comunitario, al Cristo ecclesiale, testimoniato dalla più immediata e quasi elementare forma di comunità, quella matrimoniale per appunto.
Forse potrebbe essere anche il sogno di una nuova forma di comunità, forse di un nuovo monachesimo, forse di una nuova ministerialità.
Ci permettiamo di svelarlo: Adriana Zarri, a parer nostro, andò esattamente nella direzione di cui sopra. Ma oggi molte altre “Adriane Zarri” incrociano, grazie a Dio, le nostre strade ecclesiali e le nostre vite. Feriali e festive. Così, il quadrilatero che il Sinodo, secondo la nostra personalissima ricostruzione, ha conosciuto senza finzioni, con autentica parresia, potrebbe diventare spazio accogliente di un’esemplarità matrimoniale che non conosca più battute d’arresto.
Poiché tra fede, speranza e carità, solo quest’ultima durerà per sempre, ormai fuori, escatologicamente fuori, da qualunque assetto di disciplina. Tempi nuovi.
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* Stefano Sodaro è il direttore de “Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano” è giornalista pubblicista, socio dell’Associazione Teologica Italiana (ATI), della Consociatio Internationalis Studio Iuris Canonici Promovendo, della Società per il Diritto delle Chiese Orientali, dell’Associazione Italiana Giuristi d’Impresa (AIGI), socio aggregato del Coordinamento Teologhe Italiane (CTI) e membro del Gruppo Italiano Docenti di Diritto Canonico (GIDDC).
Già cultore della materia in diritto canonico ed ecclesiastico presso l’Università degli studi di Trieste, ha frequentato dal suo inizio la Scuola di Filosofia di Trieste coordinata dal Prof. Pier Aldo Rovatti.