Uscire dall’armadio. Il “Coming out” con mio fratello
Brano tratto da “The Cross in the Closet” (La croce nell’Armadio) di Timothy Kurek (Green Bridge Press, 2012, USA), liberamente tradotto da Alberto F.
Il volto di mio fratello tradisce inquietudine. Ci provo con tutto me stesso, ma le parole non vogliono uscire dalla mia bocca. Non è solo inquieto, è preoccupato. I secondi passano uno alla volta come se il tempo avesse rallentato il suo scorrere fin quasi a fermarsi. I miei pensieri si accavallano l’uno sull’altro senza logica e la mia missione mi appare solamente in visioni sfuggenti, prima di scomparire nuovamente sotto la superficie caotica della mia coscienza.
Andrew ed io abbiamo caratteristiche simili, ma siamo diversissimi per statura e personalità. Mentre io sono il tipico americano robusto, mio fratello sembra scolpito nel marmo. I lineamenti del suo viso hanno un’angolatura verso il basso e i suoi occhi sono di un blu espressivo. E’ confuso, anni di allenamento mi hanno insegnato a comprendere, almeno, le sue reazioni emotive.
Negli ultimi tre mesi mi sono messo davanti allo specchio e ho esercitato il discorso proprio per questo momento, non meno di cinquemila volte, e pensavo di averlo imparato a memoria, ma la paura ha cancellato la memoria di tutto quello che speravo di dire. Ho le mani sudate e, sebbene sia inverno pieno, gocce di sudore si formano sulle pieghe della fronte. Sento salire la nausea, ho lo stomaco come una pentola dimenticata sul fuoco e sul punto di traboccare.
Nessun tipo di insegnamento avrebbe potuto prepararmi per il momento in cui avrei guardato mio fratello negli occhi e gli avrei detto di essere gay.
Mio cognata, aggiuntasi di recente alla famiglia, sta accanto a suo marito nella cucina della loro casa, e gli massaggia la schiena per esprimergli comprensione. Lo guarda come se volesse proteggerlo, e si prepara spiritualmente per il momento in cui mi sarei deciso a parlare.
La lancetta dei secondi dell’orologio sopra l’ingresso di casa segna ciascun secondo con la forza di un colpo di martello. Il cane beve rumorosamente dalla sua ciotola, bevendo l’acqua con la lingua a forma di cucchiaio e con un movimento a scatti della testa. Gli amici sono sul porticato coperto lì vicino, fumano sigarette e ridono di qualcosa, vorrei sapere di che cosa.
La lavastoviglie fa un click, e passa ad un altro ciclo del lavaggio del primo carico di piatti sporchi della colazione a base di pancake. Seguirà il carico due, tre e quattro, i quali attendono il loro turno accatastati con cura nel lavello; residui di sciroppo gocciolano oltre il bordo del piatto in cima. Sento che il mio subconscio si sta preparando per un altro tentativo di discorso.
Ma ancora nulla di percepibile all’orecchio esce dalle mie labbra. Non riesco a parlare. Alla fine, inaspettatamente, succede. “Sono gay!”
Quelle due semplici parole sono nettamente enfatizzate dal silenzio che le segue. Sento una fitta alle labbra quando mi accorgo che le ho colpite forte con la mano per chiuderle. Due parole, e nessuna reazione immediata da parte di mio fratello. La mia vita è cambiata per sempre. L’attesa di pronunciare quelle parole è stata un inferno, ma attendere che mio fratello reagisca ad esse è un inferno ancora peggiore che mi fa rimpiangere il primo. Sento che sto per piangere lacrime salate e umide, e la paura dentro di me sta crescendo. Mi sento un vile mentre mi appoggio al piano della cucina, pietrificato, con la mano che copre ancora la bocca.
“Ci stai prendendo in giro, Tim?” La voce di mio fratello ha un suono diverso. Non è la sua voce normale. E’ vacillante e quasi rotta mentre parla e, dall’espressione sul suo viso, posso dire che sta tentando di decidere se faccio sul serio o no, nella speranza che le parole successive che usciranno dalla mia bocca siano: Te l’ho fatta! Oppure Stavo solo scherzando!
“No, Andrew. Non vi sto prendendo in giro”. Le parole che escono attraverso la mano sono un leggero borbottio, ma sono comprensibili. La mia risoluzione si sta indebolendo, ma le parole che ho pronunciato sono fuori del mio controllo ora. Vivono di vita propria, proprio come io vivo la mia e non possono essere fatte morire.
Anche se io dovessi ritrattare tutto e dire a mio fratello del mio esperimento, rimarrebbe per sempre la ferita di questo momento. Comincio a tremare tutto, mentre aspetto l’inevitabile reazione violenta.
Non mi sarei mai aspettato che fare “coming out” come gay mi avrebbe fatto sentire così male, così turbato, così terrorizzato. Non è la paura che la vita non continuerà, piuttosto, che la vita in qualche modo non risolverà nulla: né le domande né gli stereotipi, e la paura che potrei perdere tutte le relazioni umane che ho, fino a consumarmi. Non voglio perdere i miei amici, e non voglio che la mia famiglia mi tenga alla larga da sé. Non voglio essere la pecora nera della famiglia, e il diverso, il fratello e figlio gay.
Voglio essere me stesso. Ma essere cresciuto in un ambiente religioso tradizionalista, so che queste speranze non sono ragionevoli. Vivere nella cultura della “Bible Belt” rende pressoché impossibile la prospettiva di sentirsi allo stesso tempo normale e gay. Non riesco ad immaginare come sarebbe il “coming out” se fossi realmente gay. Un anno potrebbe sembrare un tempo lungo, ma tutta una vita … sarebbe ben più di ciò cui potrei mai abituarmi.
L’espressione sul volto di mio fratello mentre elabora la mia confessione ne è la prova. Nulla sarà facile durante quest’anno.
Allora la moglie di mio fratello, Maren, mi guarda con l’affetto di una sorella e il viso di mio fratello assume un’espressione bella di comprensione e di senso di protezione.
Non so perché mi guarda in quel modo, ma certamente non è uno sguardo minaccioso. Non l’ho mai visto prima, e la cosa mi sorprende, sapendo cosa starà pensando. Allora mi sento in colpa; non tanto perché intenzionalmente
lo sto costringendo a vivere questa cosa con me, quanto perché sono egoista. Sono egoista perché faccio tesoro di quello sguardo e di ciò che esso esprime – che sono importante per lui. In un qualche modo indescrivibile, sento che lui ha veramente bisogno di me. Ha paura di perdermi? Perché quello sguardo? Perché adesso?
Per un momento i mie nervi si calmano e la mia paura si placa. Mia cognata si avvicina a me e scherzosamente mi mette la mano sulla nuca. “Avevi davvero paura che ti avremmo cacciato perché sei gay?” domanda, mentre con la mano mi massaggia la schiena ancora rigidissima.
Sento forte il battito del cuore. Non ha smesso di correre da quando ho detto ad Andrew e a Maren che avevo bisogno di parlare con loro. “Onestamente non sapevo come avreste reagito”, rispondo, ancora tremando.
Andrew si avvicina a me e mi mette il braccio attorno alle spalle. Ora mi trovo in mezzo a queste due persone e mi sento come se quasi non le conoscessi. Sono stato troppo duro con loro, presumendo che mio fratello avrebbe reagito al mio “coming out” allo stesso modo in cui avrei reagito io se fosse stato lui a fare “coming out” con me? Non so cosa pensare.
Sorprendentemente nessuno dei due mi domanda niente. Mi è stato detto che la maggior parte dei membri di una famiglia fa domande dopo aver scoperto per la prima volta che un loro caro è gay.
Ma loro non mi chiedono da quando lo so o da quando “mi sento in questo modo”, e non mi chiedono so ho un ragazzo. Al contrario, mi accettano così come sono.
È una cosa bella constatare che, nonostante tutto ciò cui credevo, sarebbe accaduto o potuto accadere, nel nostro caso, che le relazioni di sangue fossero più importanti di ogni principio assoluto. (…)