Gettati nel vuoto e lapidati. La “giustizia” dello Stato islamico per gli omosessuali
Articolo pubblicato dall’ANSA il 3 dicembre 2015
Gettati dal tetto di un edificio davanti alla folla. Così lo Stato islamico ‘giustizia’ gli omosessuali. La barbarie dello Stato Islamico non sembra avere più limiti. E le sue azioni diventano sempre più dure e più macabre. Omar fuggito dalla Siria, racconta ciò che ha visto nella città di Palmira dove due uomini sono stati giustiziati perchè accusati di essere gay.
E’ un’assolata mattina di luglio in una strada di Palmira. Un giudice mascherato dello Stato islamico legge davanti alla folla la sentenza contro due uomini condannati per omosessualità: dovranno essere gettati dal tetto del vicino Wael hotel. Poi, dopo avere letto la sentenza, il giudice chiede a uno dei due uomini se è soddisfatto della condanna, visto che la morte lo aiuterà a purificarsi dal suo peccato. “Preferirei che mi sparaste alla testa”, risponde senza più alcuna speranza Hawass Mallah, 32 anni. Mohammed Salameh, 21 anni, invece implora la possibilità di pentirsi e promette di non fare più sesso con un uomo. Ma non c’è nulla da fare. “Prendeteli e buttateli di sotto”, ordina il giudice.
Islamici mascherati legano le mani dei condannati dietro la schiena e li bendano. Poi li conducono sul tetto di un hotel a quattro piani e li gettano giù. Infine la folla radunata sotto all’hotel per assistere all’esecuzione lapida i cadaveri. Omar ha raccontato tutto questo, solo dopo essere riuscito a fuggire da Palmira (ora vive a Reyhanli, in Turchia) e a condizione di non essere identificato. Ha voluto essere citato solo con il suo nome di battesimo per timore di rappresaglie.
Noto per i metodi sanguinari e raccapriccianti lo Stato Islamico riserva ai presunti omosessuali la morte più brutale. Video e foto postate sul web dagli stessi jihadisti ne sono una macabra testimonianza. Almeno 36 uomini in Siria e in Iraq sono stati uccisi dall’Isis con l’accusa di sodomia, secondo Hossein Alizadeh, coordinatore per il Medio oriente e il Nord Africa dell’associazione OutRight Action International, nonostante non fosse possibile confermare l’orientamento sessuale delle vittime.
La paura di una morte atroce tra i gay che vivono nei territori sotto il dominio dello Stato Islamico è ulteriormente aggravata dal loro isolamento in una società profondamente conservatrice che li rifugge. Molti musulmani considerano l’omosessualità come peccaminosa. E i gay sono ossessionati dalla possibilità che qualcuno, forse addirittura un parente, li possa tradire per ingraziarsi i militanti o semplicemente motivati dall’odio per il loro orientamento sessuale.
Daniel Halaby, siriano, 26 anni, vive in Turchia da due anni, dopo essere riuscito a fuggire dalla Siria. Ma ancora oggi si sveglia scosso dagli incubi: sogna di essere lanciato da un edificio. Anche lui ha parlato a condizione di non essere identificato. Daniel Halaby non è il suo vero nome. A tradirlo quando ancora viveva ad Aleppo, nel 2013, racconta Daniel, fu un suo amico d’infanzia che decise di unirsi all’Isis. “Sapeva tutto di me, che ero laico e gay… Sono sicuro che è stato lui che ha dato il mio nome al Daesh”. I genitori di Daniel, vivono ancora ad Aleppo, ma si rifiutano di parlare con lui a causa del suo orientamento sessuale. Quando Daniel guarda i video di gay uccisi si sente disperato, “quello che mi spezza il cuore è che mi sento impotente”.