Oltre il risentimento. Quando le persone LGBT sanno perdonare le chiese
Testo di Paolo Rigliano* tratto dal Libro “Gesù e le persone omosessuali“, edizioni La Meridiana, 2014, pag.17-18.
I gay e le lesbiche credenti, quelli che hanno recuperato un’identificazione armonica con la propria fede e la propria sessualità, non devono auspicare che si chieda loro “semplicemente” e genericamente perdono per ciò che secoli di umiliazioni e persecuzioni hanno loro provocato. Piuttosto essi dovrebbero, alla luce dell’esempio di Gesù, mirare a un globale avanzamento di tutta la società contemporanea.
Per gli omosessuali credenti, dimenticare e rimuovere l’esperienza storica di persecuzione significa privarsi non solo del proprio patrimonio d’identità, lotte, strumenti e indicazioni per il futuro: soprattutto significa privarsi della possibilità di cogliere l’avvento di nuove minacce e mistificazioni. La dimenticanza e la rimozione favoriscono le strategie dell’inattinenza deresponsabilizzante, dell’oblio e dell’indifferenza portate avanti da nuovi artefici di oppressione. Impediscono agli oppressori una reale possibilità di comprensione del male prodotto, un’assunzione delle proprie colpe e una vera richiesta di perdono e riconciliazione. Se le vittime rimuovono, tanto più lo faranno i persecutori, che si vedranno innocenti anche nel continuare a riproporre le stesse strategie sotto nuove modalità.
Senza coscienza non c’è cambiamento, progresso, liberazione per nessuno. E le novità che l’attuale papato pur sta esprimendo sono ambigue e contraddittorie proprio perché la chiesa è ben lontana dall’aver fatto i conti con la propria storia e, dunque, non può operare un vero ripensamento.
I credenti omosessuali dovrebbero avversare ogni oblio, indifferenza e rimozione del passato, che generano solo una finta pacificazione. Un modo per non affrontare nessuna questione, per chiudere ogni conto con la storia senza aver avuto il coraggio e la dignità di fare i conti con essa.
Un’operazione di viltà epistemologica, di acquietamento per inerzia, per sfinimento, per rinuncia, che nulla risolve e tutto rimuove, negando la propria memoria e le radici della propria autocoscienza. Inoltre, rischia di abolire la consapevolezza – e il valore – di come oggi si è grazie alla lotta di coloro che hanno consentito di conquistare spazi di vita, opportunità, garanzie. E che dunque hanno creato le condizioni per l’oggi, infinitamente migliore di un passato storico che spiega molto della coscienza moderna di cosa significa esser gay e lesbiche.
La rimozione, inoltre, impedisce la coscienza anche degli errori fatti, dei modelli fuorvianti che molti fra i gay hanno adottato per darsi una interpretazione di se stessi, per collocarsi nei differenti contesti sociali, per darsi obiettivi di sopravvivenza.
Centrale è chiedere e dare un autentico perdono: anche perché questo consente a ogni credente gay e lesbica l’elaborazione del risentimento, della fuga, del rancore, della depressione disfattista, di ogni oppositività sterile e provocatoria. Il superamento di tutte le dinamiche di invischiamento in una costellazione equivoca di rancore e sottomissione, illusoria redenzione e ricaduta nel peccato, mistificazione antievangelica e passività.
La conoscenza consapevole, accurata, acuta apre speranze di un perdono che la chiesa cattolica dovrà chiedere, quando avrà maturato la consapevolezza del male arrecato alle persone omosessuali, squalificati nella dignità e nel valore del proprio desiderio di amore.
Quando avrà maturato la coscienza di aver prodotto violenza al cuore dell’essere di una persona, attaccando una delle strutture portanti del Sé della persona. Così gli omosessuali possono aiutare la chiesa a convertirsi.
La diversità oppressa dei gay fa saltare lo schema della normalità uniforme e fondamentalista e aiuta le chiese a riscoprire la propria missione: indicare che il Bene è la ricchezza delle forme relazionali plurime e originali che le persone creano per rispondere ai propri desideri e al proprio sogno. E’ la strada evangelica: la difesa del bene dell’altro, del Bene che si genera dentro relazioni di cambiamento e di mutua comprensione, cui partecipano alla pari tutti i protagonisti, integralmente considerati. E’ il punto fondativo della novità cristiana e di ogni autentica liberazione: l’ascolto delle ragioni dei diversi, dei deboli e disprezzati, per celebrarne l’inalienabile dignità.