La prima volta. Quella strana cosa chiamata coming out
Brano di Gianluca Tornese tratto dal romanzo Marito & Marito, Claudiana editrice, 2012, pag 55-57
Alessandro era stato il primo a sorbirsi quella strana cosa chiamata coming out. Quasi tutti cominciano con il dirlo alle amiche, forse perché, a volte, è inevitabile quando si cerca di spiegare ad alcune di loro perché non ci può essere “dell’altro”, o forse perché dirlo a un amico implica la difficoltà di far capire che provare attrazione per i ragazzi non significa che ci vuoi provare proprio con lui.
Io, però, cominciai proprio con un ragazzo, giusto perché sono amante delle cose complicate. Avevo sempre considerato Alessandro come il mio terzo fratello, forse quello più vero perché non imposto da madre natura, ma scelto o – secondo un’immagine che ci piaceva tanto – “ritrovato”.
Ale “lo Smilzo” sapeva di me vita, morte e miracoli, ma gli mancava questo “piccolo particolare”. D’altra parte lui continuava a vivere a Brindisi (e chi lo spostava da lì…), e gran parte della mia scoperta era avvenuta una volta trasferitomi all’università.
La nostra amicizia continuava alla grande nonostante vivessimo molto lontani per la maggior parte dell’anno. Pur essendomi ormai specializzato nelle finzioni e nelle bugie con chiunque mi circondasse (talvolta pensavo che un giorno o l’altro mi avrebbero chiamato per andare a ricevere l’Oscar come migliore attore per il film della mia vita), mi aveva sempre dato fastidio raccontare frottole, o anche mezze verità, a lui, tanto che, negli ultimi tempi (prima della rivelazione), avevo cominciato a non rispondere più alle sue tipiche domande: «E a femmine come siamo messi?». La mia non-risposta era diventata: «È una lunga storia, poi quando avremo un po’ di tempo, te ne parlerò», anche se magari avevamo ancora giornate intere da trascorrere insieme.
Mille volte mi ero detto che non era possibile avere un rapporto così bello e così stretto con Ale, e poi nascondergli una parte così grande della mia vita. Mille volte mi rispondevo che era un azzardo troppo grosso, e che dicendogli tutto avrei rischiato di perderlo. Soprattutto, capitava che quando mi sfiorava per la testa il pensiero di dirglielo, lui facesse per caso qualche battuta sui froci, e allora mi convincevo che era meglio lasciar stare.
Poi, però, in una calda mattina d’estate tutti i ragionamenti di autodifesa saltarono contemporaneamente. Non ero impazzito da un momento all’altro, ma erano i giorni della mia prima delusione amorosa, la fine della storia, quando Gigi – il mio primo ragazzo – mi aveva scaricato dicendomi che non era (più) innamorato di me, che era inutile continuare.
Tutto questo appena poche ore prima di tornare a Brindisi per le vacanze. Praticamente un terno al lotto. Avevo fatto il viaggio in uno stato catatonico, il rientro a casa era stato pessimo e così alla sera avevo deciso di saltare la tradizionale rimpatriata con gli amici.
Il mattino dopo, però, Alessandro era venuto a prelevarmi con la forza, da casa, per andare a prendere il nostro solito caffè.
Dovevo avere una faccia alquanto espressiva perché, dopo i convenevoli, i saluti, gli abbracci, una volta messa in moto la sua mitica Punto tre porte bordeaux e partiti verso Camera a Sud, il nostro amato caffè-libreria, mi disse: «Ok, Giacomo, ora mi dici che cazzo ti è successo, va bene?».
«Che è successo?».
«Senti, le sceneggiate falle con i tuoi, ma non con me, capito? Mi vuoi dire che cazzo ti succede?».
La parte di Giacomo intraprendente diceva dentro di me: «Vai! È l’occasione giusta! Ti sta servendo su un vassoio d’argento l’opportunità di parlargliene! Vai!». Ma non ero del tutto convinto.
«È che non sto granché».
«Ma va’? Davvero? Non l’avrei mai detto?!» prendendomi fraternamente per il culo. Poi, più serio: «Jack, che non stessi granché si capiva, ma mi vuoi spiegare che hai? Che ti prende?».
Cercavo di pescare in me le parole, ma le reti erano bucate.
«Ma niente…».
«La cosa che mi preoccupa di più è che non me ne vuoi parlare. Questo sì che mi preoccupa. O ti ho fatto qualcosa io, o è qualcosa di così grande che non posso saperlo, o non ti fidi più di me».
«E dai Ale, che cazzo dici. Io vorrei parlartene… è solo che non posso dirti quello che mi è successo ora. Non servirebbe a niente, non capiresti. O forse semplicemente non voglio. Dovrei partire da molto lontano…».
«E allora qual è il problema? Parti da molto lontano. Sono qui!».
Puntai un dito in mezzo al petto e ammisi: «Problemi di cuore. Sono stato lasciato. L’altro ieri, per l’esattezza. Praticamente la sera prima di partire per Brindisi».
L’espressione del volto sembrava dire: «Tutto qui?», ma alla fine dalla sua bocca uscì tutt’altro: «Azz… ma non mi avevi neanche detto che stavi con qualcuna. Per questo devi partire da molto lontano? E chi sarebbe la stronza, figlia di puttana?».
«Vedi, Ale, il problema è proprio questo».
Inspirai profondamente e poi continuai: «È che fino a due giorni fa stavo con qualcuno… stronzo, figlio di puttana… un maschio, insomma…». La bomba era stata buttata.