I dimenticati dell’orrore nazista. Il silenzio dopo l’inferno
Articolo di Stéphane Riethauser pubblicato sul sito da Lambda education (Svizzera), liberamente tradotto da Sara
“Per un piacere mille dolori”. La citazione di Villon, che apre il libro (1) di Pierre Seel (ndr deceduto nel novembre 2005) riassume il percorso di quest’uomo marcato per sempre dalla crudeltà nazista.
Il destino di questo giovane alsaziano di 16 anni viene stravolto un giorno del 1939. Mentre appagava i suoi bisogni d’amore e di sesso nei bagni pubblici di Mulhouse, Pierre Seel si fa rubare l’orologio da uno sconosciuto. Denuncia il fatto al commissariato. Rendendo noto il luogo del misfatto all’ufficiale di polizia, il giovane uomo non immaginava neanche lontanamente in quale ingranaggio metteva piede.
Qualche mese dopo l’invasione tedesca, nell’autunno del 1940, riceve l’ordine di presentarsi al quartier generale della Gestapo. Tra gli archivi abbandonati dalla polizia francese, i nazisti trovano la sua denuncia di furto, così come la menzione della sua omosessualità.
Pierre Seel viene arrestato con una dozzina di altri omosessuali. Subisce torture spaventose per 13 giorni e 13 notti, prima di essere deportato al campo di concentrazione di Schirmeck, a 30 Km da Strasburgo. “L’orrore e la ferocia erano la legge. Ben presto sono divenuto un’ombra silenziosa e obbediente”, confessa.
Pierre Seel non porta il triangolo rosa, ma la berretta blu riservata ai religiosi, per il fatto di essere cattolico. “Non c’era solidarietà con gli omosessuali, che erano considerati la classe più bassa. Tra loro i detenuti li prendevano come bersaglio”, continua.
Una mattina, mentre i prigionieri sono radunati nel cortile, Pierre Seel riconosce il suo amico Jo, il ragazzo di 18 anni che era stato il suo primo amore. Quest’ultimo viene picchiato, spogliato e lasciato con un secchio di metallo sulla testa. A questo punto i nazisti sciolgono i loro cani. Impotente, Pierre Seel assiste all’esecuzione del suo amico, divorato da una muta di pastori tedeschi.
“Dopo 50 anni, questa scena di barbarie passa senza posa davanti ai miei occhi. Non dimenticherò mai l’assassinio dell’amore della mia vita”, racconta con le lacrime agli occhi.
Dopo 6 mesi di detenzione, Pierre Seel è trasferito nel Reich Arbeits Dienst. Considerato cittadino tedesco per l’annessione dell’Alsazia-Lorena, viene poi incorporato a forza nell’esercito tedesco e spedito al fronte in Yugoslavia e in Russia.
“Servire la Wehrmacht è stato, a volte, più difficile moralmente e fisicamente del campo di concentramento. Bisognava sparare sugli alleati russi, e soffrivamo enormemente il freddo”. Durante l’inverno del 1944, diserta i ranghi dell’esercito insieme al suo luogotenente e si arrende ai russi.
Un fazzoletto sulla bocca
Di ritorno alla vita civile, l’incubo continua. “L’omosessualità era sinonimo di vergogna e peccato mortale nella società cattolica e borghese del dopo guerra”, racconta. Per cercare di dimenticare il suo amico Jo e le sue inclinazioni affettive che facevano di lui un paria, Pierre Seel decide di sposarsi.
“Volevo vivere come gli altri”, dice. Divenuto direttore di una società, resterà sposato per 28 anni e avrà quattro figli. “Ma non ho mai dimenticato la mia vera natura e il mio amico Jo. Piangevo ogni volta che facevo l’amore con mia moglie. Lo spettro di Jo mi ossessionava”.
“Per 40 anni, ho vissuto con un fazzoletto sulla bocca”, confessa Pierre Seel. Sarebbero stati necessari gli attacchi omofobi del vescovo di Strasburgo, durante una riunione dell’ILGA (Associazione Internazionale di Lesbiche, gay, bisessuali e tran) nel 1982, perché uscisse finalmente dal silenzio in cui si era murato.
Pubblica una lettera aperta per rispondere ai propositi offensivi del vescovo che definiva gli omosessuali come “malati”, esponendosi così allo sguardo della sua famiglia, alla quale aveva sempre nascosto il suo amore per gli uomini.
Poi, di commemorazione in conferenza e di paese in paese, Pierre Seel si batte per il riconoscimento della deportazione degli omosessuali da parte del regime nazista, e denuncia il trattamento subito dai gay al momento della Liberazione: alla stregua dei criminali, non hanno potuto chiedere né indennizzo né riconoscimento, e si sono visti forzati a rientrare nel loro ruolo di clandestini nella vita civile.
Alcuni sono stati addirittura rimessi in prigione a causa del loro vizio. Bisogna sapere che il famoso paragrafo 175 del codice penale tedesco che puniva l’omosessualità – all’origine dell’arresto di Pierre Seel – non è stato abrogato(in Germania) che nel 1969.
Dopo la guerra, in Francia, la legge del 1942, firmata da Pétain, diventa l’articolo 331 del codice penale. E nel 1960, l’emendamento Mirguet classifica l’omosessualità come “flagello sociale” e dà al governo il diritto di legiferare per decreto, con il fine di combatterla. È solo con l’arrivo al potere dei socialisti nel 1981 che le autorità francesi hanno smesso di schedare gli omosessuali.
Quando Pierre Seel vede i triangoli rosa fioriti, che depone in memoria delle vittime della barbarie nazista, calpestati in molte città del Nord della Francia, o Catherine Trautmann, ministro alla cultura, allora sindaco di Strasburgo, rifiutarsi di stringergli la mano durante una cerimonia, si sente di nuovo ferito, e ne rimane indignato.
In alcuni recenti viaggi in Germania, Pierre Seel ammette di essere stato accolto meglio che in Francia. “A Berlino, le autorità mi hanno chiesto perdono. Non provo odio contro i tedeschi. Sono più sensibili agli errori fascisti dei francesi – questo tipo di episodi lì non succedono”.
Dopo il divorzio e l’uscita del suo libro, la famiglia gli ha voltato le spalle. “Non ho mai visto i miei nipoti”, si lamenta rattristato. “Mi fa male, è qualcosa che continua il mio campo di concentramento”. Dopo il divorzio sua moglie si è tenuta tutto: mobili, denaro, tutte le foto del suo passato.
Le aggressioni continuano
Pierre Seel ha denunciato il clima d’omofobia che continua a minare la nostra società. Oltre agli incidenti che marcano regolarmente le cerimonie francesi di commemorazione alle quali prende(va) parte, è stato vittima di aggressioni omofobe a più riprese: minacce di morte, svastiche dipinte sulla porta del suo appartamento.
Si può comprendere il suo sgomento davanti alle nuove generazioni che continuano a formarsi in un clima dove l’omosessualità viene nascosta, tanto nei libri, come nei cortili delle scuole o nelle famiglie.
Si sa abbastanza sul fatto che gli omosessuali hanno costituito un bersaglio per i nazisti fin dalla loro presa di potere; della distruzione dell’Istituto per la Ricerca della Sessualità di Magnus Hirschfeld nel maggio del 1933, marcata da centinaia d’omicidi (tra cui quello di Ernst Roehm) che hanno segnato la Notte dei Lunghi Coltelli; delle direttive sanguinose di Himmler per la creazione del Dipartimento speciale per la lotta contro l’omosessualità e l’aborto da parte della SS (2); delle esperienze mediche inumane tentate sui detenuti (3) negando qualsiasi riconoscimento delle vittime omosessuali dopo la Liberazione; così come i fatti assenti in modo stupefacente dai documenti storici e che sono un affronto tanto alla memoria di decine di migliaia di omosessuali morti nei campi quanto a quella degli omosessuali di oggi?
“Forse questo significa essere omosessuale oggi: sapere che si è legati a un genocidio per il quale non è prevista alcuna riparazione”, ha scritto Guy Hocquenghem. Pierre Seel non potrà mai dimenticare l’orrore. Ma ha ritrovato una certa serenità e una spalla sulla quale riposare. Per 12 anni ha vissuto con il suo amico Eric a Tolosa. La coppia ha addirittura acquistato un rottweiler e un pastore belga.
“Durante i 40 anni successivi alla morte atroce del mio amico Jo, non ho osato toccare un cane”, confida. “Ma grazie al mio amico, ho potuto vincere la mia paura. La mia cagnolina Nina oggi è un’allegria quotidiana”.
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1. “Moi, Pierre Seel, déporté homosexuel”, Calmann-Lévy, Paris, 1994.
2. Richard Plant, “The Pink Triangle”, Henry Holt, New York, 1986
3. Ibidem, Vedere anche: Heinz Heger, “Les hommes au triangle rose, Journal d’un déporté homosexuel 1939-1945”, Persona, Paris, 1981
Testo originale: Les oubliés de l’horreur nazie