Eucarestia alle coppie lgbt: per il vescovo di Chicago si può
Articolo di Ludovica Eugenio Adista Notizie n° 2 del 16 Gennaio 2016, pp.12-13
«Quando delle persone, in coscienza, insieme a un direttore spirituale, giungono alla decisione di seguire quella coscienza… stanno seguendo l’insegnamento della Chiesa. Quindi questo vale anche nel caso di persone che ricevono la comunione in situazioni irregolari».
Così ha risposto l’arcivescovo di Chicago mons. Base Cupich a proposito della cura pastorale delle coppie omosessuali nel corso di un’intervista all’emittente locale Abc7 all’inizio di dicembre. «La domanda era se ciò valesse anche per i gay, e la mia risposta è sì, sono anche loro esseri umani. Hanno una coscienza e devono seguirla. Devono riuscire ad avere una coscienza formata, a comprendere il Magistero della Chiesa e, con l’aiuto di un direttore spirituale, arrivare a una decisione. E noi dobbiamo rispettarlo».
E alla domanda sull’opzione di negare la comunione a gay e lesbiche, Cupich – che non ha mai fatto mistero del suo sostegno alle persone Lgbt (v. Adista Notizie n. 44/14) – ha detto che «quando la gente viene a fare la comunione, non spetta a nessun ministro dell’eucaristia decidere se quella persona è degna o no. Questo sta alla coscienza dell’individuo».
La posizione di Cupich non è una novità. Il suo approccio inclusivo era emerso già all’inizio del suo episcopato, nell’autunno 2014 (v. Adista Notizie n. 34/14), e ancora più chiaramente all’indomani della decisione della Corte Suprema, il 26 giugno scorso, di interpretare la Costituzione Usa in modo tale da esigere da tutti gli Stati il riconoscimento dei matrimoni omosessuali; in quell’occasione aveva infatti affermato con forza che il rispetto per i gay cui il Catechismo chiama i cattolici «deve essere reale, non retorico» e che «per questa ragione la Chiesa deve estendere il suo appoggio a tutte le famiglie a prescindere dalle circostanze, riconoscendo che siamo tutti legati nel nostro viaggio attraverso la vita, sotto lo sguardo attento di un Dio amorevole» (v. Adista Notizie n. 25/15).
Cupich, mosca bianca?
Ora, rifiutandosi di negare la comunione a coppie gay o lesbiche, Cupich si ritrova in rotta di collisione con altri vescovi statunitensi che, al contrario, hanno esortato i loro preti a non impartirla agli omosessuali. Così ha fatto il vescovo di Newark mons. John Myers che, lo scorso settembre, ha emanato delle linee guida per i presbiteri della diocesi, in cui li invita a non dare la comunione alle coppie omosessuali sposate (indicazioni, peraltro, come rileva il settimanale National Catholic Reporter il 23 novembre scorso, cadute nel vuoto, dal momento che, generalmente, sono state ignorate dai pastori diocesani).
Sulla stessa posizione di Myers è il vescovo di Springfield, mons. Thomas Paprocki, il quale, il 20 dicembre scorso, benché non esplicitamente, ha comunque criticato le dichiarazioni di Cupich. Paprocki, infatti, ha risposto duramente ad una lettera pubblicata dal The State Journal-Register (20/12), il cui autore, John Freml, responsabile locale del movimento Call to Action, nonché coordinatore della Equally Blessed Coalition, organismo impegnato nella difesa dei diritti Lgbt, elogiava l’approccio inclusivo di mons. Cupich. Una coscienza opportunamente formata, scriveva Freml, non è necessariamente una coscienza in armonia con il magistero. «Spero – concludeva la sua lettera – che i cattolici locali che finora si sono astenuti dal partecipare alla comunione facciano proprio il messaggio di Gesù: “Prendete e mangiatene tutti”».
Paprocki, di cui è nota l’aspra avversione alle tematiche Lgbt (nel 2013 ha praticato addirittura un esorcismo contro i matrimoni omosessuali per lo Stato dell’Illinois), ha risposto, il 26 dicembre, alla lettera di Freml sullo stesso giornale: «Formare una coscienza – ha scritto – significa che bisogna riconoscere e pentirsi dei propri peccati, decidere di informare la propria vita secondo gli insegnamenti di Cristo e ricevere l’assoluzione con il sacramento della riconciliazione, prima di ricevere la Santa Comunione».
Citando il canone 916 del Codice di Diritto Canonico, il vescovo di Springfield afferma che «coloro che sono “consapevoli di un peccato grave” non devono ricevere la Santa Comunione», e che secondo il canone 915, i ministri dell’Eucaristia devono negare il sacramento «non ai “peccatori” in sé, ma a coloro che “ostinatamente persistono in un peccato grave manifesto”»; il matrimonio omosessuale è un esempio «di azione pubblica gravemente erronea che richiede ai ministri di non concedere l’Eucaristia». Non si tratterebbe, afferma, di una valutazione personale da parte del prete, quanto di un’azione conforme alla disciplina sacramentale «mirante a tutelare il sacramento dal rischio di un possibile sacrilegio e la comunità di fede dal pericolo di scandalo causato dalla condotta pubblica contraria all’insegnamento di Gesù Cristo di qualcuno».
Paprocki ha citato la nuova traduzione inglese della Messa che, al posto di «per voi e per tutti», dice «per voi e per molti» (che peraltro, nella versione latina, sta ad indicare una moltitudine indistinta e dunque vale come sinonimo di “tutti”) per concludere, in una accezione escludente, che dunque «non tutti accettano ciò che Gesù offre».
Tra il dire e il fare, in ogni caso, c’è di mezzo la realtà e, osserva Bob Shine di New Ways Ministry (l’associazione cattolica statunitense più impegnata nella difesa dei diritti Lgbt), a fronte delle forti parole dell’arcivescovo di Chicago a sostegno delle persone Lgbt, c’è il licenziamento, nel 2014, di due dipendenti dell’arcidiocesi di Chicago, Samdor Demkovich e Colin Collette, entrambi impegnati in una relazione omosessuale, e le cause intentate per questo motivo alla diocesi.
«La visione della Chiesa dell’arcivescovo e il suo approccio morbido a temi pastorali controversi – scrive Shine – sono stati incisivi e hanno portato aria fresca. Parlarne è giusto, ma non basta se non si traduce in un reale cambiamento». Una risposta al licenziamento dei due, sollecita Shine, «rappresenta un’opportunità unica per l’arcivescovo Cupich di cominciare ad agire».