Credente e omosessuale, dov’e’ il problema?
Dialogo-intervista di Daniela Tuscano tratto da Azur del 25 marzo 2007
Questo dialogo tra me e Cristiano, credente ed omosessuale, è nato dopo un incontro presso la comunità monastica di Bose su “forza e debolezza alla luce dell’amore”. La fedeltà , l’amore, la famiglia, l’essere gay e credenti sono stati i temi di cui abbiamo parlato.
DANIELA – “Cristiano, se dovessi realizzare un dipinto, o una fotografia, che rappresenti il tuo ideale affettivo, come lo immagineresti?”.
CRISTIANO – “C’è una casa, una bella casa accogliente, ospitale e luminosa. Una casa aperta agli altri in un paesaggio collinare, non però lontano dai centri abitati. Una casa con molte stanze, di colori e fragranze diverse. L’ideale sarebbe vivere in un posto del genere, con pochi buoni amici e l’amore”.
DANIELA – “Un autore contemporaneo sostiene che le nostre vittorie tecniche hanno appena inventato la felicità istantanea: l’uomo folgore che ama l’urgenza, poiché quest’ultima lo spinge all’atto risparmiandogli di pensare. Sembra che oggi sia quasi impossibile ‘costruire’ un’amicizia, un amore.
CRISTIANO – “La ‘felicità’ fondata sulla risposta immediata ai bisogni urgenti che il mondo crea è consumismo. Uno dei valori da trasmettere, a mio parere, è la fedeltà: se non è un’imposizione è sinonimo di grande fiducia e offre alle relazioni, di amicizia e di coppia, molte risorse.
È lo sforzo consapevole (e ripagato, se compiuto da entrambi con lo stesso spirito) di accogliere il cambiamento nei rapporti, che non è una sconfitta ma una prova di vitalità, perché ci si sceglie giorno dopo giorno, anno dopo anno. Forse con meno passione ma con maggior profondità e concretezza.
DANIELA – “Questa è un’idea molto familiare, di famiglia allargata, come dovrebbero essere poi le famiglie: esempi aperti al mondo, accoglienza”.
CRISTIANO – “La fecondità non significa solo figli: è la consapevolezza di un ‘noi’ reale, l’ascolto reciproco e la decisione di una oblatività a due verso l’esterno, secondo le naturali inclinazioni armonizzate in uno stesso spartito… il che non significa creare sempre un’armonia!
DANIELA – “Nell’accettazione della diversità dell’altro che poi è anche la diversità nostra. Oggi si parla tanto di questo, di chi è il diverso, cosa s’intende per diversità, e si pensa sempre a qualcosa fuori di noi, che non ci appartiene”.
CRISTIANO – “Molte volte la diversità (di età, sesso, cultura, idee ecc.) invece che attrarre divide, e rende nemici piuttosto che affratellare. E poi si pensa sempre a diversità molto evidenti, quando invece è relativamente semplice trovarle: già nella persona che mi sta al fianco, e che mi piace proprio perché diversa ma non incomprensibile, mi completa…
Si inizia dalle cose più semplici… Io sono un tipo piuttosto elettrico eppure sono sempre stato con ragazzi d’un pigro, ma d’un pigro… (risate) so che è un esempio banale, ma credo che la diversità si veda in tante cose; va gestita e saputa gestire”.
DANIELA – “Per taluni la diversità per eccellenza è proprio l’omosessualità”.
CRISTIANO – “Anche per me lo è stato. Io nell’adolescenza non mi accettavo, più che altro questa diversità mi faceva temere di non essere accettato dagli altri. Erano gli anni in cui ero molto attivo in parrocchia.
Ero immerso totalmente nella ‘dottrina’ cattolica, e poi io, ‘prima’, ero convinto che avrei avuto dei figli, una moglie: li desideravo. Ho cercato di resistere, ho anche sperato di… togliere il disturbo, anzi che Dio lo facesse per me… (pausa) In realtà di fronte a quella diversità il primo a erigere degli steccati sono stato proprio io: non accettavo nessuno mi si presentasse davanti. Tanto non mi vuole, pensavo. Ma sicuramente una cultura che mi avesse aiutato ad accogliere di più le differenze, anche di orientamento sessuale, mi avrebbe fatto vivere con minor sofferenza certe scoperte.
Accettandosi si ammettono con più facilità i propri errori e si è molto più disposti a rimediarvi, a crescere. Quando mi sentivo solo e abbandonato, vivevo quel che mi stava capitando come una frattura, un ‘tradimento’, anche da parte di Dio.
Mi aveva ingannato per tanto tempo, ripetevo, facendomi illudere di essere un altro. Ma in verità io sono rimasto la stessa persona, i valori in cui credevo in quel periodo sono gli stessi di oggi, ero cattolico e lo sono ancora, forse questa condizione ha reso il mio rapporto con Dio meno banale…”
DANIELA – “Si può dire che questa ricerca ‘personalizzata’ è stata un po’ coatta, paradossalmente l’unico modo per sentirti parte di una comunità?”
CRISTIANO – “Certo, io non posso dire come sono quando mi presento in una parrocchia, dovrei mentire e non mi va… a me piacerebbe molto prestare un servizio lì dentro, ma a patto che si accetti la mia omosessualità come talento.
Sono un uomo, prima di tutto.
Non penso che la mia condizione sia ideale; ma non posso prescindere da quello che sono. Quando poi sono stato sentimentalmente felice ho potuto scoprire altre cose di me, mettermi in discussione, magari anche un po’ cambiare: nel senso di andare in una direzione diversa da quella che avrei seguito da solo, però una direzione mia e comune.”
DANIELA – “Lo diceva proprio Enzo Bianchi: occorre amare gli altri ‘a monte’. Cioè, senza pretendere da loro una perfezione che nessuno possiede. Anche in Sebastiane Derek Jarman aveva dipinto questa figura di santo omosex, che raggiungeva la santità proprio attraverso la sua sensibilità particolare… Il talento che io ho riscontrato nei gay è anche quello di far riscoprire il valore dell’amicizia, proprio fra i due sessi”.
CRISTIANO – “Sono contento, l’amicizia è un sentimento che qui in Occidente purtroppo si è un po’ eclissato.
DANIELA – “Mi pare che in molti omosessuali ci sia una tensione religiosa autentica, talvolta una tendenza al misticismo. È qualcosa che andrebbe conosciuto e valorizzato. Mi rendo pure conto delle preoccupazioni della Chiesa.
Esiste la difficoltà a farsi comprendere: a tutti i livelli avverto questo svuotamento, questa mutazione, oserei dire genetica, dei registri espressivi. Secondo me, comunque, manca la tenerezza verso gli omosessuali. L’ho trovata in un solo documento, dei vescovi americani [NDR nel documento “Sempre nostri figli“). Ma in linea di massima la gerarchia è molto rigida, androcentrica. Si scaglia contro il ‘relativismo’, e dimentica che qualsiasi realtà umana, anche la più bella, è relativa, ha bisogno dell’altro…”
CRISTIANO – “È chiaro che un confronto risulta difficile quando una cultura o un’istituzione è dichiaratamente maschilista (quindi se soggioga le donne e condanna i gay)”.
DANIELA – “Gli omosessuali comprendono meglio che il sessismo è la causa prima di un mondo prevaricatore, violento, egoista e bellicoso. Potrebbero quindi fornire un contributo originale nella ricerca di quei valori comuni che oggi tutti, in prima fila gli ‘atei devoti’, sostengono di voler cercare con i credenti.
Senza dimenticare la vicinanza con altre categorie di emarginati e/o di esclusi, che ha reso molti gay più attenti non solo alle povertà vecchie e nuove, ma anche alla loro sensibilità; non a caso Proust li definiva ‘colonia orientale’”.
CRISTIANO – Un lavoro importante in tal senso è stato intrapreso dai valdesi: sono stato felice di conoscere una realtà ecclesiale che si poneva in un atteggiamento di accoglienza ed attenzione verso tutti, al di là ma rispettando le sensibilità di ognuno.
Di recente, però, anche presso alcune comunità cattoliche ho trovato individui intenzionati a mettersi in discussione. A livello gerarchico, lo riconosco, è estremamente difficile”.
DANIELA – “Naturalmente serve un reciproco confronto. Io ho avvertito disagio da parte di non pochi gay per l’immagine che di loro viene fornita non solo da chi li discrimina, ma anche da certuni che si ergono a loro rappresentanti, e che non di rado sono i più visibili, per esempio sui mass-media”.
CRISTIANO – “Dipende da cosa s’intende per movimento: se si sottolinea l’aspetto di accettazione da parte della società civile, promozione di un atteggiamento anti-discriminatorio sono d’accordo; le mascherate no, non le accetto.
Davanti ad alcuni eccessi, ti viene da pensare proprio al tema dell’educazione: noi, intendo noi gay, siamo stati costretti ad auto-educarci… Una lettera inviata a ‘Guado News’ esortava infatti a vivere eticamente la propria condizione”.
DANIELA – “A me sembra indice di maturità e onestà riconoscere che a rafforzare gli stereotipi contribuiscono talvolta certe ‘maschere’ pubbliche. Fa rabbia pensare ai parlamentari pluri-divorziati che si spacciano per difensori della famiglia, ma non si può dar credito a chi fino a tempi recenti s’è fatto promotore di uno stile di vita lassista e provocatorio.
Questo è molto diverso da chi porta avanti un discorso di dignità, di talento come dicevi tu. Non si può negare l’esigenza profonda dell’essere umano, il suo tratto essenziale e irrinunciabile. Amare, essere amati, condurre una vita serena, è una necessità per ognuno di noi, anche se non sempre si manifesta nello stesso modo”.
CRISTIANO – “In fondo, è questa la vera normalità…”
DANIELA – “Per rimanere nella metafora, fabbricare ponti è più faticoso di erigere barriere. Forse perché i ponti, essendo orizzontali, costringono a guardarsi negli occhi, mentre la verticalità delle barriere ci dà l’illusione di dominare il mondo e i suoi abitanti. In realtà, stando così lontani, siamo solo più piccoli. Solo quando ci sentiamo piccoli, inutili e deboli che diventiamo grandi, utili e forti”.
CRISTIANO – “A questo proposito mi viene in mente una canzone di Peter Gabriel dove si descrive l’amore, la ricerca, l’unità, ma c’è un punto (secondo me straordinario) in cui Gabriel riesce a farti avvertire l’energia, la vulnerabilità e la sacralità che si avvertono in quei momenti”.
DANIELA – “Quale?”
CRISTIANO – “Blood of Heaven. Quando dice: ‘…Alla mia richiesta, mi prendi in te/In quella tenerezza, sto galleggiando via/Nessuna certezza, niente su cui contare/ è il momento di dimenticarsi, un momento di beatitudine. Nell’anima di Eden si trovano la donna e l’uomo, l’uomo nella donna e la donna nell’uomo’. Magnifico!”.