Il cammino di una parrocchia cattolica di San Francisco con i malati di HIV e i senzatetto
Articolo di Thomas C. Fox* pubblicato sul sito del settimanale cattolico National Catholic Reporter (Usa) il 10 marzo 2015, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
La Most Holy Redeemer Church (Parrocchia del Santissimo Redentore di San Francisco negli Stati Uniti) ha una lunga storia di pastorale per i senza tetto e i malati, che risale ai primi anni ’80. In quegli anni il sacerdote quarantenne Anthony McGuire arrivò in parrocchia come nono parroco. La parrocchia era al minimo, con solo un centinaio di persone che assisteva alle varie messe.
Padre McGuire, dopo qualche mese di confusione, entrò un giorno in chiesa inginocchiandosi di fronte alla vetrata centrale, una raffigurazione del Cristo risorto. “Quella esperienza mi calmò”, ha raccontato il gesuita a Donal Godfrey – il quale è gay, frequenta la parrocchia e ha scritto su di essa e di quel momento in un suo libro del 2007, Gays and Grays: The Story of the Gay Community at Most Holy Redeemer Catholic Parish.
Durante la sua meditazione padre McGuire “vide qualcosa come la descrizione di un progetto – un piano per la via che la Most Holy Redeemer avrebbe dovuto prendere.”
Ricorda padre McGuire: “ho riunito due gay e dieci donne anziane. Tutti hanno riconosciuto che si doveva fare qualcosa. Lo stile tradizionale della parrocchia era giunto alla fine”. Il parroco uscì dall’incontro capendo che, pur essendo i due gruppi differenti, entrambi condividevano gli stessi sentimenti di isolamento e solitudine.
Le donne anziane avevano visto i loro figli, ormai adulti, andarsene, i giovani uomini erano stati allontanati dai loro genitori. “Ricordo che le persone gay fecero uno splendido presepe quell’anno. Non ne avevamo avuto in chiesa da un pò di tempo. Le vecchie signore erano così contente. Faceva ricordare loro di quando erano più giovani.”
Un anno dopo, nel 1983, dopo continue discussioni ed un ritiro parrocchiale, la parrocchia decise, con una mossa senza precedenti, che avrebbe iniziato ufficialmente la sua opera di sensibilizzazione presso la comunità gay e lesbica. Una lettera della parrocchia del 1984 spiega il concetto: “Volevamo mostrare… che c’è un posto per loro (i gay cattolici) alla Most Holy Redeemer e che qui sarebbero stati i benvenuti, come erano benvenuti i gay del nostro comitato.” Nei mesi che seguirono la parrocchia crebbe.
Giovani cattolici LGBT iniziarono a migrare in questo unico rifugio sicuro. Ma ciò che nessuno immaginava in parrocchia in quel momento era che si stava entrando in un periodo pericoloso. La parrocchia era nell’epicentro del terremoto dell’epidemia di HIV/AIDS, che avrebbe velocemente cambiato Castro e la parrocchia, riordinando la sua spiritualità e la sua pastorale.
Negli anni ’80 la paura dell’HIH/AIDS era dilagante a livello locale e in tutta la nazione. Voci di come si trasmetteva la malattia erano molto più abbondanti degli articoli su riviste mediche serie. Alla fine del 1985, le morti conosciute correlate all’HIV/AIDS erano salite, su base nazionale a 5,686. Alla fine del 1986, il numero crebbe a 16,301. E ancora non c’erano a disposizione tutti i dati nazionali. Solamente il 31 maggio 1987 il presidente Ronald Reagan affrontò formalmente la malattia in un discorso pubblico.
La lotta contro l’AIDS
È in questo contesto di panico diffuso e di negazione da parte del governo che la parrocchia formò un gruppo di supporto per l’AIDS, nel 1985. È un’altra mossa rivoluzionaria di padre McGuire. I membri del comitato si misero in cerca di articoli medici e li passarono ad altri membri e parrocchiani. I membri del gruppo di supporto AIDS visitavano i malati a casa loro e in appositi reparti ospedalieri.
La parrocchia della Most Holy Redeemer offriva funerali cattolici – e i numeri aumentarono. “Era straziante. Piangevo molto ai funerali. Non c’era sosta. Erano uno dopo l’altro,” dice padre McGuire. Molti ancora oggi ricordano funerali parrocchiali ogni giorno, sebbene padre McGuire affermi che il loro numero è aumentato durante gli anni. “C’erano molti, molti funerali,” ricorda Pete Toms, che faceva parte fin dall’inizio del gruppo di supporto AIDS e continua ancora oggi a coordinarlo.
A volte dei genitori che avevano da molto tempo allontanato i loro figli avrebbero voluto rivederli prima che morissero. Le signore anziane della parrocchia li facevano sentire i benvenuti e offrivano loro conforto. “C’erano queste vecchiette che andavano dalla madre in lutto dicendo ‘Oh, suo figlio era così carino. Era proprio un buon amico e mi aiutava sempre con la borsa della spesa. Qualunque cosa avessi, lui mi aiutava.’ Fornivano un conforto assai necessario,” dice Godfrey.
Toms ricorda: “Lavoravamo con le persone in special modo a casa loro, aiutandoli, lavandoli, cambiando loro i letti e cose simili, perché era ciò di cui c’era bisogno allora. Non indossavamo indumenti protettivi, nemmeno guanti. Non toccavamo ferite aperte. Mantenevamo una buona igiene. Volevamo che tutto fosse il più personale possibile. Come Cristo, per così dire.” Pete Toms, 72 anni, ha visto la natura del gruppo di supporto AIDS cambiare negli anni. Frequenta quasi 80 persone, metà delle quali necessitano di visite domiciliari.
“Quando ci furono a disposizione le nuove medicine, molti che si erano ammalati si aspettavano di morire e ci pensavano spesso, vennero a patti con il fatto che avrebbero potuto vivere. Non era sempre una chiara benedizione. Le persone affondavano nella depressione e nell’isolamento. Quindi dobbiamo ancora cercare di uscire, di andare da loro e aiutarli, distraendoli da se stessi e dai loro cupi pensieri.”
Il gruppo di supporto AIDS della parrocchia ha ottenuto di più rispetto a un fornitore di servizi di San Francisco. Dal suo inizio, ha curato più di 2.700 persone con HIV/AIDS, i loro famigliari e i loro cari. La sua dedizione e il suo impegno sono stati riconosciuti con numerosi premi e sovvenzioni.
Una mattina Pete sedeva tranquillamente contemplando il muro del monumento in una parte del giardino, dietro la chiesa. Era il risultato di 16.000 dollari di donazioni. Toms stava in silenzio, appoggiato ad un bastone. Più tardi ricordò gli anni dello scoppio dell’AIDS come “un periodo molto logorante.” Ma aggiunse che fu anche “un periodo di grazia, sacro, in una certa maniera meraviglioso – perché ho conosciuto così tante persone che altrimenti non avrei potuto incontrare.”
Le cene del mercoledì
Il gruppo di sostegno per l’AIDS potrebbe essere il più longevo ministero di sensibilizzazione della parrocchia, ma non è ciò per cui la parrocchia è più conosciuta localmente oggi. Questo titolo va alle sue “cene del mercoledì” che hanno attirato consensi in tutta l’area di San Francisco. Infatti, non sono “cene”, ma sono piuttosto dei banchetti. Il programma risale al 2001, quando venne inizialmente concepito come una cena a base di zuppa e pane nei mercoledì di quaresima, e crebbe quando i parrocchiani chiesero ad alcuni senzatetto locali di unirsi a loro. Si trasformò ancora quando la parrocchia iniziò a dare da mangiare ai giovani in difficoltà. Finalmente, diventò il programma che è oggi.
Ogni mercoledì, alle cinque del pomeriggio, più o meno quaranta parrocchiani, insieme a dei liceali volontari, si riuniscono nell’ingresso della chiesa per preparare cibo e tavoli. Un po’ del cibo è donato; il resto è comperato con i soldi che la parrocchia raccoglie da tre donazioni annue.
L’idea è non solo di dar da mangiare alle persone nel bisogno, ma farlo bene, trattarle in modo speciale ed aiutarle, anche se solo una volta a settimana, a farle sentire parte della comunità. La lista degli ospiti generalmente è mantenuta sotto i centoventi. La cena comprende più portate ed è preparata da uno chef e da vari aiutanti. L’atmosfera è quella di una festa.
Sedendo al tavolo una sera, un ospite che si è identificato solo come Wayne ha definito le cene del mercoledì in questa parrocchia come “le meglio servite in città”. Wayne, un senzatetto, ha raccontato di essere venuto a San Francisco dal Texas nel 1987 e “ha gironzolato in città da allora.” Kathleen Purcell, che è stata coinvolta in queste cene sin dall’inizio, le definisce “la mia eucaristia. Per me sono un sacramento; questa è la mia comunità.
Quando sto passando brutti momenti, che bello avere attorno a te persone che ti danno incoraggiamento, amore e sostegno. È una cosa reciproca. Credo che tutti i volontari facciano esperienza di ciò.”
La Purcell ha perso il suo lavoro di insegnante in un liceo cattolico di Oakland, in California, perché ha rifiutato di accettare un nuovo contratto degli insegnanti che prevedeva che le vite personali e professionali degli impiegati fossero conformi agli insegnamenti della Chiesa. Sebbene non fosse gay ha detto di aver fatto questo a causa delle sue convinzioni di una vita sulla giustizia e la solidarietà con le persone LGBT.
Curtis Murray, che coordina i volontari, ha affermato che il programma mantiene la parrocchia aperta nei confronti del mondo, e inclusiva. “Si fa in modo di servire il popolo di Dio, ci assicuriamo di prenderci cura l’uno dell’altro come volontari. Facciamo in modo di prenderci cura dei nostri ospiti come una famiglia.”
Mentre la parrocchia è concentrata sul servizio ai tavoli, nessuno è allontanato. Borse marroni con del cibo sono distribuite alle persone che rimangono fuori dalla chiesa. In più, i commensali se ne vanno con le borse, così da avere cibo per il giorno successivo. Sono forniti farmaci, così come cure mediche. Dei medici sono spesso a portata di mano, come barbieri e specialisti nella cura del piede.
Il mercoledì non è la sola sera in cui la parrocchia apre le sue porte alla gente nel bisogno. Essa ospita un vasto assortimento di programmi di cura e sostegno. Dodici gruppi usano i locali della parrocchia e ognuno si incontra settimanalmente. Accanto ai suoi ministeri sociali, la parrocchia vanta altre forme di evangelizzazione, incluso un assortimento di programmi per l’educazione degli adulti. In gennaio, un inserto nel bollettino parrocchiale avvisa di un giornata di discernimento delle “Donne della Most Holy Redeemer” con Jenny Girard Malley, direttrice esecutiva della Bay Area Companions in Ignatian Service and Spirituality.
La parrocchia ha anche un programma di “Riconciliazione” per i cattolici che si sono allontanati. Molti parrocchiani condividono le loro storie di come hanno lasciato la Chiesa per anni, non potendo conciliare la fede cattolica con i propri problemi di genere.
Nanette Lee Miller racconta una storia tipica. Cresciuta cattolica, sposata, ha capito che il suo matrimonio non funzionava. Dopo anni di counseling e discernimento, capì di essere lesbica. Arrivò a quello che definisce un “divorzio amichevole” e tornò a san Francisco. “Ho sempre sentito un’inclinazione spirituale, ma non mi sono mai sentita a mio agio in una parrocchia cattolica”. Così sperimentò la New Age, il buddhismo e la Chiesa Episcopaliana. Ma la sua ricerca spirituale rimase insoddisfatta, finché trovò la parrocchia Most Holy Redeemer. “Credo che la sensazione più importante [in questa parrocchia] sia il suo calore, la sua accoglienza e la sua accettazione.”
L’esperienza è stata a tal punto gay-friendly che la sua compagna ha deciso di diventare cattolica. Nanette è diventata sempre più attiva nella parrocchia e infine è diventata presidente del consiglio parrocchiale. Attraverso le attività della parrocchia, negli anni ’90, lei e la sua compagna hanno avuto modo di conoscere l’allora arcivescovo di San Francisco, William Levada (più tardi cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede).
Levada invitò Nanette ad unirsi alla commissione della Caritas cattolica dell’arcidiocesi di San Francisco come suo membro apertamente gay, e alla fine si unì alla commissione finanziaria dell’arcidiocesi, una posizione che ha mantenuto sotto gli ultimi tre arcivescovi.
* Thomas C. Fox è redattore del quindicinale cattolico National Catholic Reporter (Stati Uniti). Questo è il primo di cinque articoli sulla Most Holy Redeemer Church /parrocchia cattolica del Santissimo Redentore) di San Francisco (Stati Uniti). Qui potete trovare tutti gli articoli..
Testo originale: LGBT-friendly parish has long history of ministry to homeless, sick