Io prete dico Sì alle unioni civili, senza se e senza ma
https://youtu.be/nUn4-NVLX84
Riflessioni di don Giorgio De Capitani pubblicate sul suo blog DonGiorgio.it il 24 gennaio 2016
Sì, io prete dico sì alle unioni civili e alla “adozione del figliastro” (non uso l’espressione inglese, sia perché mi risulterebbe difficile pronunciarla bene, sia perché non amo né gli inglesismi né i francesismi o quei termini mutuati dalle lingue straniere). Dico sì, per varie ragioni. Anzitutto, sono uno spirito libero, e vorrei che il mondo non fosse più diviso tra coloro che stanno nelle regole istituzionali e coloro che sono giudicati irregolari. Il verbo dividere contiene già la radice del male. Il bene risiede nell’unità. Ma la Chiesa, si sa, ha sempre avuto un concetto di unità a modo suo: accorpare ogni valore nel seno della propria struttura massificante. Per fare questo, non le interessa dividere anche l’anima, pur di farla propria, ma lo spirito è un’altra cosa, e sfugge sempre ad ogni appropriazione.
Per questo la Chiesa ha sempre dato la caccia agli spiriti liberi, pensando che, distruggendo il loro corpi, anche lo spirito si potesse spegnere. Ho parlato a proposito di Chiesa, perché essa è il vero ostacolo ancora oggi, nonostante papa Francesco (solo apparenza, ma anch’egli chiuso tra le quattro mura di una religione dogmatica e moralistica).
E sappiamo quanto la Chiesa-religione influenzi ancora politici e fondamentalisti, sempre pronti, nonostante vergognose contraddizioni, a sbandierare i principi cattolici, e preoccupati dell’avanzare di un laicismo distruttivo della famiglia, dimenticando che il virus corrosivo è invece all’interno della Chiesa, a partire dalla gerarchia che predica bene e poi razzola male, e anche dalle pecore che belano nell’ovile, solo perché c’è ancora erba da brucare, disposti anche a rubare l’erba del vicino.
Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo a tempo perso di Genova, in merito al dibattito parlamentare sul ddl Cirinnà sulle unioni civili, a margine della Messa celebrata domenica, 17 gennaio, nella cattedrale San Lorenzo, nel capoluogo ligure, in occasione della giornata mondiale del migrante e del rifugiato, ha detto. «Nelle nostre parrocchie noi vediamo una grandissima coda di disoccupati, inoccupati, di gente disperata che non sa come portare avanti giorno per giorno la propria famiglia. Di fronte a questa situazione, tanto accanimento su determinati punti che impegnano il governo e lo mettono in continua fibrillazione mi pare che sia una distrazione grave e irresponsabile».
Già, caro Bagnasco, lo Stato deve impegnarsi altrove, quando ti fa comodo. Infatti, in fondo il problema del lavoro e della povertà non vanno a colpire il dogma della Chiesa, che invece, quando si tocca la famiglia, allora salta in cattedra e detta legge a tutti.
E quale famiglia lo Stato metterebbe in crisi? La famiglia tradizionale, ovvero quella sempre sostenuta dallo stesso potere politico ed ecclesiastico? Ma la Chiesa dimentica che il vero motore di una famiglia non è il diritto civile o il diritto canonico, ma l’amore, e l’amore non può essere regolamentato da nessuna norma istituzionale.
Ecco, qui sta il cuore del problema: l’amore umano, che la Chiesa nei suoi organi gerarchici non conosce, perché è proibito, tanto proibito da essere vissuto come un dramma per i suoi ministri, che talora si vedono costretti a nasconderlo.
L’amore che cos’è? Che la Chiesa la smetta di dire che è un riflesso dell’amore di Dio, ma per costringerlo poi sui binari della propria pretesa di sindacare anche su Dio, e ci è riuscita finora, da quando, fin dall’inizio del cristianesimo, si è costruito un proprio dio.
Ma l’amore finalmente si sta svincolando dagli artigli di una Chiesa che ha sempre preteso di stabilire ciò che è amore da ciò che non lo è, e che tuttora pretende che tutti, cattolici e non cattolici, la seguano, condizionando anche lo Stato, sostenendo anche economicamente manifestazioni in favore della famiglia tradizionale, che non sono altro che la dimostrazione della peggiore umanità.
Sì alle unioni civili, senza se e senza ma, nonostante papa Francesco
Non credo di essere l’unico prete che dice sì alle unioni civili e anche alla “adozione del figliastro”, tuttavia pochi hanno il coraggio di manifestare pubblicamente il proprio pensiero, forse per paura di ritorsioni. Ma, rimanendo sempre nascosti, i preti non potranno mai fare una vera rivoluzione all’interno della Chiesa, la quale, tra apparenti silenzi e dichiarazioni buoniste alla Bergoglio, alla fine riesce sempre a imporre le proprie direttive, manovrando dietro le quinte cattolici fondamentalisti e politici ciecamente succubi del Vaticano, magari sostenendo anche economicamente manifestazioni di piazza.
Venerdì 22 gennaio, durante la tradizionale udienza al Tribunale della Rota Romana, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario, papa Bergoglio ha detto tra l’altro: “Non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione”. Che dire? In quanto capo supremo della Chiesa cattolica, il Papa ha il diritto e il dovere di dire tutto ciò che vuole sulla famiglia, ma all’interno della Chiesa, per i suoi membri. Non lo contesto per questo. Casomai, contesto il suo buonismo: con dichiarazioni a grande effetto mediatico, Bergoglio sembra il più aperto tra i pontefici di tutti i secoli, quando in realtà è come tutti gli altri, tranne che i suoi predecessori non fingevano. E contesto il fatto che vuole imporre il proprio modello di famiglia, al di fuori della Chiesa.
Ciò che mi ha fatto arrabbiare, anche in quanto cristiano, è quando il Papa ha detto: «La famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo, appartiene al “sogno” di Dio e della sua Chiesa per la salvezza dell’umanità». Qual è il “sogno” di Dio? Se è un “sogno”, come tu, povero papa di una Chiesa che si è inventato un proprio dio, puoi dire che si tratta della famiglia tradizionale? A meno che il “sogno” non sia quello di una Chiesa diventata religione che, proprio per questo, ha tradito il Mistero di Dio.
E poi, che significa “per la salvezza dell’umanità”? Salvezza e umanità: due parole da capogiro! Se “salvezza” è un termine tipicamente biblico, su cui bisognerebbe discutere per intere giornate, “umanità” abbraccia un universo di valori che non possono essere la prerogativa di nessuna religione, e tantomeno di quella cattolica. La religione non deve servirsi dell’umanità, ma servire l’umanità!
Ma non è finita. Il Papa ha detto: «Quanti, per libera scelta o per infelici circostanze della vita, vivono in uno stato oggettivo di errore, continuano ad essere oggetto dell’amore misericordioso di Cristo e perciò della Chiesa stessa». Ho letto bene: “vivono in uno stato oggettivo di errore”? Con quale presunzione la Chiesa parla di stato oggettivo e di stato soggettivo, come se avesse il diritto di distinguere ciò che è legge naturale da ciò che non lo è? Da qui è facile arrivare alla distinzione tra buoni e cattivi, tra giusti e peccatori. Ma l’ipocrisia di papa Bergoglio arriva al punto di affermare, sempre con il solito buonismo accattivante: «Quanti, per libera scelta o per infelici circostanze della vita, vivono in uno stato oggettivo di errore, continuano ad essere oggetto dell’amore misericordioso di Cristo e perciò della Chiesa stessa».
Come a dire: meno male che ci siete voi, che vivete in uno stato di errore, così Dio potrà dimostrare di essere misericordioso, ma non solo Dio, ma anche la Chiesa, che in tal modo potrà attivare il meccanismo sacramentario, per non farlo arrugginire. Ma la Chiesa-struttura non si è mai guardata nello specchio? Se lo facesse, forse non avrebbe bisogno di creare altri stati oggettivi di errore, dal momento che essa stessa è in stato permanente oggettivo di errore.
Dovrei a questo punto allargare il discorso e parlare di amore. Ma non è qui il momento di trattare argomenti che meriterebbero un altro confronto. Con la Chiesa-struttura sarà sempre difficile parlare di amore in tutta la sua ampiezza. Basterebbe dire che, quando si scende nel proprio essere, la Chiesa preferisce starsene fuori, perché l’essere è qualcosa di profondamente divino che sfugge alla religione in quanto tale.
Eppure, basterebbe scendere un pochino dentro di noi, per incontrare quell’unità che coinvolge tutti, senza dover distinguere o separare, perché questo è il vero male dell’umanità: distinguere e separare, in nome di un ordine che solo apparentemente compatta, per il semplice motivo che ognuno di noi è se stesso, indipendentemente da ogni imposizione politica o religiosa.
Le parole come normalità o anormalità, regolarità o irregolarità, stato oggettivo o stato soggettivo non fanno parte del mondo dell’essere. Ma la Chiesa, continuerà, nonostante papa Francesco, a dare sfoggio di bravura distinguendo e separando. Questa è l’arte del maligno.