Io ragazzo eterosessuale, vittima della violenza dell’omofobia
Lettera di Remo Blaumann pubblicata nella rubrica “Italians” di Beppe Sevegnini su Corriere.it il 6 aprile 2007
A scuola l’omofobia è violenza gratuita che nasce dalla paura e che colpisce sia chi è gay, ma anche chi non lo sarà mai.
A volte, come scrive Remo, basta essere “timido e impacciato col gentil sesso, […] colpe, queste, sufficienti per l’inappellabile verdetto: “frocio”, “finocchio”, “culattone”. Verdetto a cui segue sempre “gogna, derisione, […], percosse e angherie di ogni sorta”. Questa è la sua testimonianza.
Gentile Severgnini, vengo a portare un po’ di scompiglio nel pacato salotto di “Italians”. Scrivo sull’onda dell’emozione scaturita dalla lettura dell’articolo di Vera Schiavazzi, “Tormentato a scuola: «Sei gay». Si uccide ” apparso il 5 aprile 2007 su Corriere.it. Emozione mista di dolore e rabbia.
Perché in quei fatti orribili rivedo me stesso, 12 anni fa, alla stessa età del povero suicida. Sebbene io sia e fossi etero, avevo delle “colpe”: ero timido e impacciato col gentil sesso, al calcio preferivo la musica e provavo orrore a fare il “p-tour”, ossia, andare in giro a schernire le prostitute, soprattutto considerando quante di loro versano in condizione di schiavitù.
Colpe, queste, sufficienti per l’inappellabile verdetto: “frocio”, “finocchio”, “culattone”.
E dubito che i ragazzi che hanno condannato Marco a morte abbiano usato termini più teneri, termini per altro sdoganati da eminenti esponenti della ex-maggioranza. Al verdetto è seguita la condanna: gogna, derisione, scritte sui muri affiancanti il mio nome a una certa parte anatomica, percosse e angherie di ogni sorta.
E l’atteggiamento della preside mi riporta alla memoria la minimizzazione fatta da suoi pari-grado quando toccò a me passare (senza ragione) sotto le forche caudine dell’omofobia.
Ma un “adulto” si rende conto di cosa significhi vedersi additati e derisi tutti i giorni, anche da gente sconosciuta, malignamente istruita dal “branco”? Si rende conto di cosa significhi essere latori di un’infame “lettera scarlatta”, a 16 anni?
Si rende conto di cosa significhi vedersi sconfitti nelle proprie aspirazioni, quando a far da icona di successo sono spesso “vip” rissosi, starlette spregiudicate, famosi per caso (significativi i riferimenti ai reality nella tragedia torinese)?
Sono stato sull’orlo del suicidio anche io, poi, alla fine, mi è mancato il “coraggio”.
Ma quella che gli adulti chiamavano “innocua ragazzata” mi è costata due anni di isolamento, la perdita di TUTTI gli “amici” al paese, il dover “ricominciare” (assurdo dirlo a 16 anni) trovandomi un altro mondo, che potesse accettare un’adolescenza meno bulla e rissosa.
Ho perso peso, ho peggiorato il mio rendimento scolastico, mi sono incattivito, “gli anni più belli” sono stati amari come il fiele, e quella gogna ancora mi dà gli incubi.
Ma nessuno ci ha fatto caso. Grazie per lo spazio.