Chiesa e unioni civili, mediare non serve più
Riflessioni di Eduardo Savarese* su Corriere del mezzogiorno del 28 gennaio 2016
Per mia natura cerco mediazioni. Per il mio mestiere cerco soluzioni ragionevoli e concordate, oltre che giuste. Sono classe ’79, cresciuto negli anni ’80, nell’era postmoderna, ipertecnologica e del consumismo di massa.
Ho scoperto la mia identità omoaffettiva. Sono ritornato a costruire le stanze del mio castello interiore alla ricerca di Dio. E ho scritto una lettera alla Chiesa di Roma, senza riceverne risposta. In molti mi chiedono il senso di rivolgermi oggi alla Chiesa: i diritti civili sono una questione laica e ciascuno vive la propria dimensione religiosa come meglio crede. Il riaccendersi delle discussioni sul disegno di legge Cirinnà e la mobilitazione per il Family Day del prossimo 30 gennaio mi confermano, invece, che il destinatario è giusto e che è terminato il tempo delle mediazioni, per quattro ragioni:
1) lo Stato italiano è stato condannato dalla Corte di Strasburgo ad adottare una legge di riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso, a tutela della vita privata e familiare: l’adozione veloce della legge adempie un obbligo internazionale, non è più scelta discrezionale;
2) l’interferenza della Chiesa nel ritardare quest’adempimento istiga al compimento di un illecito internazionale, tanto più grave perché riguarda un diritto umano fondamentale;
3) il disegno di legge Cirinnà denomina «unione civile» la relazione tra due uomini e due donne: non è matrimonio, benché si richiamino quasi tutte le norme del codice civile sul matrimonio. Si dirà: ma non è una ipocrisia? Certo! Ma è un buon compromesso, ed oggi l’Italia non può fare di meglio;
4) la cd. «stepchild adoption» regolamenta un fatto, e i fatti possono piacere o non piacere, ma sono fatti: quando riguardano relazioni affettive, ed inoltre gli interessi di minori, sono fatti che vanno regolati (a meno che non li si ritenga illeciti e quindi sanzionabili, e non mi pare questo il caso).
Di fronte a questi quattro dati, la manifestazione del Family Day provoca confusione ad arte, semina zizzania, accende gli animi, inveendo contro le offese alla famiglia tradizionale, che questa legge lascia intatta, con il suo nome e le sue tradizioni. E laddove confusione e divisioni vengono propalate a piene mani, opera il Nemico (in linguaggio gesuitico, si sa, è il Diavolo). Non da Dio, ma da cuori smarriti o da strumentalizzazioni politiche di partiti minoritari alla ricerca di consenso, può venire tutto questo.
Lancio alla Chiesa una proposta: continui a battersi (con molti laici al fianco, per la verità) perché il matrimonio (e la filiazione) restino appannaggio di amori eterosessuali. Ma riconosca che la natura omosessuale e la sua espressione affettiva piena non sono un disordine morale, che due uomini o due donno possono, semplicemente, innamorarsi e desiderare una tutela giuridica civile come coppia. Riconosca di aver sbagliato, sinora.
Veda la presenza massiccia di omosessuali tra i suoi sacerdoti. La smetta di nutrire ossessivamente paura per la sessualità e la libertà affettiva. Ciò che è insopportabile della manifestazione di sabato non è la partecipazione di parte del mondo cattolico; ma che l’altra parte, che a questo Family Day non crede, taccia e non avvii una contromanifestazione. Per rilanciare ciò che veramente conta: una rinnovata coscienza della relazione tra Dio e Uomo, per rifondare la tradizione.
* Eduardo Savarese, è un magistrato napoletano e scrittore, impegnato nella sua comunità in varie opere di volontariato, uomo di fede – come lui stesso si definisce (Avvenire, 16 settembre), autore del libro autobiagrafico “Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma” (Edizioni e/o, 2015), che non è solo sfogo, come scrive Luciano Mola sul quotidiano dei vescovi Avvenire, ma è anche denuncia, richiesta di aiuto, voglia di dialogo. Perché, occorre ammetterlo, nella Chiesa troppo spesso si è preferito non vedere, non discutere, non affrontare il problema.