Carezzare la folla o contrastarne le pretese ambigue? (Lc 4,21-30)
Riflessioni bibliche di Domenico Mogavero, Vescovo di Mazara del Vallo, pubblicate su “Il Fatto Quotidiano” del 31 gennaio 2016
Il brano di Vangelo che viene proclamato nella messa di oggi, quarta domenica del tempo ordinario, riprende il verso finale di quello della scorsa settimana e completa il racconto (4,21-30). Gesù è nella sinagoga di Nazaret per partecipare alla liturgia del sabato e, dopo aver letto un brano del libro del profeta Isaia, riferisce a se stesso quelle parole dicendo: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”(Lc 4,21).
La prima reazione dell’assemblea è di meraviglia e di adesione entusiasta. Quel ragazzo, conosciuto come il figlio di Giuseppe, ci sa fare; conosce bene la Scrittura e sa gestirsi bene in pubblico. Nessuno, forse, se lo aspettava, ma promette bene. Il feeling però dura poco, perché Gesù non si fida molto di quella fiammata inattesa di entusiasmo. E, difatti, provoca un po’ l’uditorio, prevenendo una richiesta tutto sommato prevedibile: certamente hai parlato bene; ma adesso passiamo dalle parole ai fatti e compi qui nella tua terra i segni prodigiosi che sappiamo hai mostrato a Cafarnao (cfr Lc 4,23), residenza elettiva di Gesù e del gruppetto di seguaci.
La provocazione diventa oltretutto sfida perché, alla luce di un noto proverbio (medico, cura te stesso) e richiamando due fatti dell’Antico Testamento (Elia e una vedova di Sarepta –1Re 17,9-16; la guarigione di Naaman il siro – 2Re 5), fa capire chiaramente che di miracoli non se ne parla neanche. È una dichiarazione di guerra e gli effetti sono immediati perché il compiacimento iniziale si muta in sdegno unanime di disapprovazione e di ostilità. Lo cacciano fuori dalla sinagoga e tentano perfino di ucciderlo, precipitandolo dalla collina su cui sorgeva la città. L’epilogo imprevisto non sfocia in tragedia perché Gesù si toglie d’impaccio con calma divina, passando in mezzo alla folla e andandosene per la sua strada.
L’episodio appena rievocato induce qualche considerazione sul rapporto tra Gesù e la folla. Molte volte nei Vangeli si descrivono situazioni nelle quali il Maestro ha a che fare con moltitudini più o meno consistenti e, generalmente, si instaura un rapporto dialogico di scambio e di intesa.
Questo accade soprattutto quando la gente asseconda un certo trasporto spontaneo di simpatia e di fiducia verso di lui, manifestando un grande desiderio di verità e di autenticità e riconoscendo in lui un’autorevolezza che a nessun altro veniva accreditata. Un esempio per tutti è il contesto che precede la moltiplicazione dei pani e dei pesci, nel quale la gente che segue e ascolta Gesù è incurante perfino della previdenza necessaria al soddisfacimento del nutrimento (cfr Mt 14,13-21). Altre volte, però, Gesù resiste alla folla e ne contrasta i disegni come quando fugge perché le prospettive della gente, che lo vuole proclamare re, non collimano con il suo modo di intendere la missione messianica (cfr Gv 6,15).
A Nazaret inizialmente il clima sembra di attesa benevola e, forse, anche un po’ incuriosita, magari, ben camuffata da una buona dose di perbenismo ipocrita. Ma Gesù legge nelle menti e nei cuori e quella calma apparente non lo tranquillizza. Esce, perciò, allo scoperto e svela il trucco. Guai, però, a dire la verità a chi la verità non l’ama. E così, caduta la maschera, il re resta nudo e indifendibile.
La risposta unica rimane l’aggressione, risorsa irrazionale di chi non ha ragioni valide da opporre. È la logica dei violenti, dei mafiosi, dei truffaldini, dei provocatori. L’esito è il momentaneo e apparente scacco del giusto; il tempo farà giustizia, ma nell’immediato chi ha ragione soccombe, mentre lo sciagurato brinda al suo effimero trionfo. È duro, ma inevitabile, accettare questo stato di cose. Rassicura solo la constatazione che Gesù ha scelto questa linea di pensiero, da accogliere come vincente.