Come è difficile capire ciò che siamo e ciò che realmente vorremmo essere
Riflessioni tratte da sisterfriends-together del 27 maggio 2009, liberamente tradotte da Marianna A.
Nei primi anni ’50 un network di organizzazioni gay e lesbiche iniziò un movimento per mettere fine alla discriminazione verso gli omosessuali noto come Homophile Movement (Movimento Omofilo), un termine scelto per la sua enfasi più sulla relazione romantica che sull’atto sessuale; phile (amore) dal Greco.
Il messaggio implicito era che nonostante potevamo amare qualcuno del nostro stesso sesso, non eravamo così diversi dagli altri.Questi primi attivisti, anticipando il movimento di Stonewall e di Gay Liberation, hanno aperto la strada per la libertà che oggi hanno e stanno sempre più perseguendo le persone gay, bisessuali, lesbiche e transessuali. Erano persone intelligenti e brillanti.Negli anni successivi, mentre il Movimento Omofilo si espandeva per la nazione e nei campus collegiali, e con la crescita del movimento di Gay Liberation e altri gruppi di attivisti contemporanei, l’enfasi si è spostò dall’integrazione dei gay (che andavano ad assimilarsi alla cultura) all’adattamento di un’unica identità gay che rifiutava di conformarsi alle norme sociali e alle istituzioni.
Gay Liberation, Stonewall, Queer Nation e Act Up spinsero la comunità glbt a rifiutare lo status quo in ogni aspetto della vita, dal modo di apparire alla politica e da quel momento ha iniziato a ribollire un dibattito interno tra i vari campi all’interno della comunità glbt; l’integrazione nella società ola creazione un’identità separata, al di fuori.
E’ un dialogo complicato intriso di implicazioni politiche e socioculturali e io, da piccola brava lesbica che sono dovrei tenerci a tutto questo ma devo ammettere non è così importante per me.
Quello che so è che in quanto comunità gay ognuno di noi è innanzitutto un individuo prima che una parte di una comunità più grande e che dovremmo avere la libertà di essere ciò che siamo e vivere una vita più autentica che possiamo senza criticare o venir criticati da altre direzioni.
Sii radicalmente gay e rifiuta tutta l’omologazione, combatti contro il sistema se questo è ciò che sei. Trasferisciti nei sobborghi con la tua sposina e 2 o 3 gatti se questo è ciò che sei.
Sii ciò che sei e cura la tua identità e lascia gli altri essere ciò che sono. Come se non ci fossero cose più importanti per cui spendere il nostro tempo ed energia piuttosto che portare tutti a sembrare, pensare e agire proprio come noi.
Mi sarebbe piaciuto che qualcuno me l’avesse detto 12 anni fa perché sarei stata fuori non più di 23 minuti prima di iniziare a entrare nella parte della lesbica.
Ora cerchiamo di sfatare un mito. Le lesbiche non vanno veramente nel mondo a cercare di portare le donne nel loro club speciale. No. Le lesbiche professioniste aspettano piuttosto che le nuove socie entrino di loro volontà e poi le prendono con sé per formarle nell’arte dell’essere lesbiche.
Per lo meno avevo un’amica così. infatti un giorno, guardando le mie scarpe nuove prese in saldo da Footlocker, mi informò ammiccando che ogni lesbica maschiaccia che si rispetti ha un paio di Dr. Martens.
Armata della sua saggezza ho rimesso apposto le scarpe economiche per un paio di costose Dr. Martens nere di pelle.
Che importanza aveva se procuravano vesciche all’alluce? Era ciò che le lesbiche indossavano e quindi ho allacciato quelle scarpe dolorose, ho infilato una t-shirt rainbow “Sì, lo sono” e mi sono diretta dritta alla Tower Records dove ho comprato ogni disco di Melissa Etheridge e delle Indigo Girls in saldo. Da quel che mi ricordo avevano un inventario piuttosto ampio.
Dopo alcuni mesi passati come appassionata di tutto ciò che è gay e lesbico ho capito che ciò che stavo facendo non era più un riflesso di cosa ero veramente, come quando tra le amiche cristiane parlavo di uomini e di trucco e non mi importava.
Scuotevo la testa, annuivo. Sorridevo tra quelle donne che dicevano la loro opinione sul perché gli uomini erano quello che erano quando in realtà era tutto così estraneo al mio universo che era come trovarsi seduti in mezzo a un’assemblea di soci che parlavano lituano.
Con la consapevolezza di essere lesbica c’è stato un improvviso distacco da ciò che ero stata e per la prima volta finalmente sapevo a chi appartenevo, sapevo inoltre che volevo avvicinarmi a loro in tutti i modi possibile per rafforzare la mia identità. Non sto dicendo che l’ho fatto consapevolmente ma guardando indietro ho capito che questo era ciò che c’era dietro.
Mi sono rivestita di valori interni e esterni che non appartenevano realmente a me per potermi sentire di appartenere a qualcosa.
Sembra come una progressione naturale per molti di noi attraversare un momento della vita a misurarci come individui gay.
Consideratelo un rito di passaggio che può essere divertente, emozionante e un pochino spaventoso. Non sto giudicando, solo commentando e esprimendo il pensiero che alla fine ognuno di noi ha bisogno di essere veramente se stesso e non bisogna preoccuparsi di come gli altri ci guardano.
Indossate Dr. Martens o scarpe Birkenstocks se vi piacciono. Ascoltate Melissa fino a che vi esploda lo stereo se è la musica che vi piace. Abbonatevi a Ms. Magazine or Good Housekeeping. Siate attiviste politiche o meno.
Portate una borsetta o infilate tutto a casaccio nella tasca dei jeans. Cercate però di capire che l’essere gay ha mille facce e mille stili di vita come per le persone eterosessuali e non dovete necessariamente saltare da un contenitore all’altro o essere che non siete.
Mentre scrivo mi chiedo se la religione Cristiana non possa insegnarci qualcosa in merito alla pressione sul conformarsi o meno a qualcosa. Ma chi prendo in giro? Non mi sto chiedendo proprio nulla. E’ tangibile e forse parte del linguaggio di cui è condito il linguaggio cristiano, ciò che abbiamo creduto fosse dettato dalla dottrina cristiana, dicevamo di sì a ciò che la chiesa approvava e no a ciò a cui si opponeva.
E sì, ci vestiamo persino come Cristiani, incluso con le t-shirt con slogan e adesivi. E’ ironico. L’Apostolo Paolo incoraggiava i credenti a “rivestirsi del Signor Gesù Cristo” (Romani 13:14) e “farsi imitatori di Dio” (Lettera agli Efesini 5:1) e noi in qualche modo l’abbiamo confuso con il rivestirci da cristiani. Sono concetti molto diversi.
E’ molto difficile per me esprimere bene iquesto concetto anche perché devo capirlo bene anche io. Sto solo cercando di comprendere la relazione tra il rivestirci della Chiesa e il rivestirci da individui gay, e il come entrare nella parte di entrambi o meno mi distrae dall’essere me stessa.
Povera, santa, me così umana.
Sto pensando ad alta voce e, forse, solo per me stessa ma credo che se tutti spendessimo meno tempo a cercare di entrare nella parte del gay, della Chiesa, dei conservatori, dei liberali, di questo e di quello e se ci rivestissimo di Gesù riusciremmo a scoprire ciò che veramente siamo e ciò che realmente vorremmo essere.
Testo originale: Assimilation, Queer Identity, or You