Rainbow Spirit. Le radici spirituali di lesbiche e gay
Riflessioni di Linda S. Smith (Stati Uniti), liberamente tradotte da Marta
Tra lesbiche è una tradizione che il percorso di reciproca conoscenza includa la condivisione di storie riguardo il proprio coming out. Quand’è che hai scoperto o ammesso per la prima volta la tua identità sessuale? Si è trattato di un riconoscimento graduale o improvviso? Chi è stata la tua prima amante? Alcune di noi hanno ammesso a se stesse la propria omosessualità molto prima di renderla concreta o parlarne a qualcun altro. Credo che il coming out spirituale segua un percorso simile.
‘Spiritualità’ è una parola davvero abusata e spesso viene usata come sinonimo di religione. Ai fini di questa discussione voglio mantenere una distinzione tra i due termini. La parola ‘spirito’ deriva dal latino spiritus, che significa ‘respiro’. In senso più ampio si riferisce all’aspetto incorporeo o non materiale di noi stessi – quel che viene chiamato ‘lo spirito dentro di sé’. La spiritualità ha a che fare con la nostra connessione al nostro vero Io interiore, o al nostro Io autentico.
A seconda del proprio credo, il termine ‘spirito’ può essere usato per riferirsi a qualsiasi essere immateriale: gli angeli, i deva, lo spirito del vento, un potere superiore, un Dio o una Dea. Essere spirituali significa essere connessi al proprio vero Io e al mondo spirituale in generale, qualsiasi sia la propria definizione di spirito.
Le religioni originano dai tentativi delle persone di descrivere e dare un nome alle loro esperienze e credenze spirituali. Spesso le religioni offrono pratiche o esercizi per aiutare la gente a sviluppare la propria natura spirituale, proprio come le istituzioni accademiche offrono esercizi per aiutarla a sviluppare quella mentale. Carol Parrish paragona la spiritualità ad una scala e la religione ad un corrimano: alcune persone scelgono di afferrare il corrimano e altre no, ma siamo comunque tutti quanti degli esseri spirituali.
La spiritualità è una caratteristica innata dell’essere umano, necessaria come il respiro, naturale come la sessualità. Tanto per citare un detto attualmente comune tra i circoli spirituali: ‘Siamo spiriti che sperimentano un’esperienza umana’. Fare coming out spirituale, sperimentare la nostra connessione con il mondo dello Spirito, affermare la nostra identità di elementi facenti parte di un insieme più ampio può essere altrettanto disorientante di un coming out inerente il proprio orientamento sessuale. Entrambi hanno a che fare con l’identità e l’autenticità. Chi sono io? E come posso essere quello che sono?
Parte del processo di crescita all’interno di una società coinvolge imparare chi si è e a che cosa si appartiene. A me fu insegnato che ero bianca, femmina, americana, cristiana, eterosessuale – che non ero ‘di colore’, maschio, straniera, omosessuale ecc. ecc. Si sperava che fossi una brava persona, intelligente e femminile. Ho finito per credere che ci fosse un determinato ordine sociale stabilito e che per poter funzionare ‘normalmente’ all’interno della società avrei dovuto dire chiaramente chi ero, categoria per categoria.
Per i primi 28 anni della mia vita cercai di adattarmi per bene all’interno delle categorie che mi venivano indicate come più appropriate, ma più crescevo e più diventavo infelice, senza saperne il motivo. Non mi sentivo reale, mi sembrava di recitare per la maggior parte del tempo. All’esterno apparivo ‘normale’, ma dentro mi sentivo ‘strana’. Caddi sempre di più in depressione. Iniziai a bere e fumare già da adolescente e a 28 anni ormai avevo problemi con l’alcool, fumavo una sigaretta dietro l’altra, ero divorziata, seguivo una psicoterapia e avevo tentato il suicidio.
L’11 aprile 1966, Venerdì Santo, mi ubriacai ed ebbi un incidente scontrandomi con un’auto parcheggiata. Dopo essere stata medicata con dei punti di sutura alla testa, venni tenuta per tre settimane in un ospedale psichiatrico. Lì recuperai lucidità, incontrai delle donne interessanti, non ‘normali’, e ne uscii cambiata in modi che sto ancora cercando di capire.Nel giro di un mese incontrai Shireen e qualcosa dentro di me prese vita, trovai la mia Anima. Shireen era sfrontata, aveva il coraggio di un’amazzone. Era spontanea, sapeva farsi valere, e poi era gentile, curiosa, indipendente e aveva una bellissima voce. Mi innamorai e per la prima volta abbracciai il mio vero Io. Anche se all’epoca non ero ancora in grado di definirla così, si trattava di una vera e propria esperienza spirituale. La mia vera natura – quella scintilla di divino che si trova dentro di noi – venne allo scoperto. Tutto quanto cambiò.
Mi ritrovai in un mondo completamente nuovo, nel vero senso del termine: i colori erano intensi, ero sempre colma di gioia, a prescindere da quel che facevo, e mi sentivo rinata. Riuscivo a percepire il mio spirito interiore. Mi era chiaro che si trattava di quello che ero – lesbica. Nella doppia colonna di categorie che avevo imparato a conoscere, la spiritualità e la sessualità si trovano su lati opposti, ma so invece, e ne sono assolutamente certa, che sono profondamente connessi.
Mi ha sempre infastidita il fatto che essere lesbica o omosessuale venga definito un comportamento. Come sottolinea Judy Grahn, grattarsi è un comportamento, l’omosessualità è una modalità dell’essere, una modalità che può influenzare la vita di una persona nella sua totalità e dar forma al suo significato e alla sua direzione. Questo è esattamente quel che mi successe. Fino a quel momento la mia vita era stata in gran parte diretta dall’esterno, ora invece seguivo il mio cuore, il mio spirito, la mia anima.
Penso che essere lesbica sia una scelta dell’anima e i tentativi che avevo fatto per allontanare questo dato dalla mia consapevolezza, per poter essere ‘normale’, consumavano una quantità mostruosa di energia, rendendomi depressa, pazza, interiormente malata. Stavo spendendo la mia energia vitale per rinchiudere nel mio inconscio la consapevolezza di essere lesbica, rendendomi triste e limitando la mia esperienza della realtà.
Non solo, grazie alla relazione con Shireen, entrai in contatto con il mio vero Io, ma mi immersi in un vero e proprio universo gay, ‘La Vita’, come si diceva negli anni ’60. Feci i miei primi passi nella Vita nei bar gay e nei party notturni di Detroit.
Durante il mio primo anno da lesbica dichiarata continuai ad insegnare in un college universitario di giorno e a esplorare il mondo gay nei weekend. L’anno successivo io e Shireen mollammo il lavoro di insegnante e partimmo alla scoperta dell’universo gay in Europa.
Shireen voleva scrivere un libro sull’omosessualità e aveva preparato un questionario da compilare, cosa che ci aiutò ad incontrare molte lesbiche e alcuni uomini gay in Inghilterra, Francia, Germania, Spagna e Olanda. Facemmo ritorno negli Stati Uniti nel 1968 e ci sistemammo vicino San Francisco, dove la cultura e la musica dei figli dei fiori ci facevano sentire a casa.
All’epoca non ce ne accorgemmo, ma molte delle caratteristiche degli hippy provenivano dalle nostre antiche radici gay. Shireen mi guidò verso un intero universo che rimaneva quasi totalmente invisibile, sullo sfondo della cultura dominante – una cultura gay, con le sue parole speciali, i modi di vestire, i suoi colori, le drag queen, le butch e le femme, le usanze ereditate nel tempo. E’ un luogo dove le categorie della cultura dominante hanno poca autorità.
Realizzai che la visione del mondo, o il paradigma che si ritiene rappresentare il mondo reale, è solo una versione di quel che è possibile. Imparai che potevo muovermi tra mondi. Non ho mai pensato che il mondo gay fosse quello vero e giusto e che il mondo dominante fosse invece quello falso e sbagliato. Ma credo che ci siano molti mondi, o molti modi di vedere il mondo, e conoscendo le nostri radici di persone omosessuali possiamo entrare in contatto con la nostra autenticità e trovare il nostro posto nell’universo – universo che è UNICO.
Il mondo gay clandestino, che è cresciuto e cambiato da quando feci coming out negli anni ’60, è un residuo di un’antica cultura gay in cui, una volta, le persone gay rivestivano ruoli sociali e spirituali importanti e riconosciuti. Questo è tuttora vero in molte culture indigene.
Proprio come tanti di noi sono stati messi a tacere, e di conseguenza hanno sofferto psicologicamente e fisicamente, anche la cultura di cui siamo portatori è stata soppressa. Dal momento che la cultura gay è invisibile, sembriamo essere una semplice reazione alla cultura eterosessuale, o una sua imitazione. Viversi di nascosto non cancella il sesso omosessuale o le relazioni omosessuali, ma cela agli occhi la cultura omosessuale, incanalandola in un territorio nascosto attentamente sorvegliato e psicologicamente pericoloso.
Ciò che distingue e conferisce dignità ad un gruppo di persone è la sua cultura. Questa include la memoria del passato e una propria sistemazione all’interno d’un contesto globale che permetta al gruppo di riconoscere chi è in relazione a tutti gli altri e dia la possibilità a tutti gli altri di osservare i contributi peculiari del gruppo.
Judy Grahn, nel suo libro ’Another Mother Tongue’, traccia indietro nel tempo fino all’antichità le radici della cultura gay. Stando alle sue ricerche, la cultura gay è di tipo tribale ed ha radici spirituali. La cultura gay è molto antica e caratterizzata da continuità. La continuità è il risultato di caratteristiche che i membri si insegnano l’un l’altro e che quindi mantengono nel tempo. Judy Grahn analizza svariate di queste caratteristiche e consiglio di leggere il suo libro per capire l’impatto completo del suo intervento che qui riporto solo in parte.
Due delle caratteristiche tramandateci fino ad oggi sono l’identificazione dei gay con l’arcobaleno e il colore viola. L’arcobaleno come simbolo delle persone omosessuali ha origini antiche, così come il significato speciale del colore viola. Le parole ‘gay’, ‘lesbica’ e ‘dyke’ [N.d.T.: termine colloquiale per ‘lesbica’, usato spesso con senso dispregiativo] (originariamente ‘dike’), tutti termini che in occidente utilizziamo per definirci, sono egualmente antichi.
La parola ‘gay’ deriva da Gaia, la Terra o la dea greca della Terra, amata e rispettata molto tempo prima che le invasioni patriarcali la soppiantassero. Gli omosessuali occidentali l’hanno mantenuta in vita per 30 o 40 secoli dopo la sua caduta in disgrazia.
‘Lesbica’ deriva dall’isola di Lesbo, reso famoso (tristemente o meno) dalla poetessa/sacerdotessa amante delle donne Saffo. ‘Dike’ significa equilibrio, percorso o Giustizia. Dike era la nipote di Gaia. La sua funzione sociale era l’equilibrio naturale, il mantenimento dell’equilibrio tra forze.
L’arcobaleno è un simbolo di trasformazione, come il colore viola.
Nelle storie di molte culture le persone passano sotto un arcobaleno per potersi trasformare o vi camminano fino a giungere in un altro mondo, o fino a trovare un vaso pieno d’oro. “Il viola rappresenta, causa ed è presente durante mutamenti radicali da uno stato ad un altro. Il viola compare al crepuscolo o nei momenti che precedono l’alba.
Si trova alle porte tra il regno del corpo materiale, in un dato mondo, e il regno dello spirito o dell’anima, in un altro, ed è presente nell’involucro di energia che circonda il corpo, solitamente chiamato ‘aura’”. L’arcobaleno e il colore viola sono solo due dei molti simboli associati agli omosessuali che puntano in direzione delle nostre radici spirituali in qualità di agenti di trasformazione e mutamento.
Gay e lesbiche in tutte le culture indigene giocano un ruolo chiave in ambito spirituale in quanto ponte tra i mondi. Gli sciamani dei nativi americani spesso erano gay e si vivevano apertamente; in alcune tribù sposavano addirittura persone del loro stesso sesso. Invece di vedere l’omosessualità come una devianza dall’eterosessualità, gli Indiani d’America la vedevano come una scelta dello Spirito.
Per comprendere cosa ciò significhi, secondo Paula Gunn Allen, membro della tribù Laguna (N.d.T.: tribù parte di un gruppo di popoli nativi americani originari del sud-ovest degli Stati Uniti), dobbiamo innanzitutto sapere che il modo di pensare degli Indiani ha origine in un sistema basato sull’idea di spirito.
Per gli Indiani d’America alla base di tutto c’è la relazione con il mondo spirituale. Gli spiriti, gli dei e le dee, le forze metafisiche/occulte e il giusto modo di relazionarvisi determinava ogni istituzione, ogni usanza, ogni azione e ogni svago delle tribù. Questo comunque non era peculiare agli abitanti dell’emisfero occidentale, era invece il valore fondamentale di tutti i popoli tribali della Terra.
Secondo la tradizione dei Nativi d’America gli esseri umani vivono in un universo dotato di vita, intelligenza e consapevolezza e gli spiriti ne hanno parte in causa esattamente come gli umani. Un certo numero di spiriti appartiene ad una famiglia ed uno o più di loro hanno il ruolo di spirito guida di una persona in particolare. Quando questi spiriti dicono ad una persona (spesso nell’adolescenza), attraverso sogni o visioni, di instaurare una relazione con qualcuno dello stesso sesso, la persona lo fa. Non seguire la guida sarebbe una grave infrazione dei valori culturali e un pericolo per se stessi.
Documenti indicano che chi aveva tendenze omosessuali faceva parte di un gruppo di iniziati da cui alcuni sciamani sceglievano i loro apprendisti, sia maschi che femmine. Nel descrivere uno sciamano gay donna, che lei chiama una ‘lesbica cerimoniale’, Allen dice che l’iniziata “deve seguire la guida degli spiriti ed eseguire il compito che questi le assegnano”.
Il viaggio che la sciamana intraprende nel mondo degli spiriti richiede uno sforzo enorme ed è descritto come una specie di morte, o uno stato di trance simile alla morte, da cui ritorna trasformata e dotata di poteri. Dopo quest’evento, non appartiene più alla sua tribù o alla famiglia, ma allo spirito maestro che le ha dato l’ordine. Quando lessi questo per la prima volta mi ricordai del mio incidente in auto, un’esperienza di ‘morte’ che aveva trasformato la mia vita e mi aveva allontanata dal modo di vedere il mondo e dai valori della famiglia e della società in cui ero stata cresciuta.
Le sciamane lesbiche sono dette figlie (ovvero seguaci/sottoposte) di wila numpa o Doppiadonna. Doppiadonna è uno spirito/divinità che unisce insieme due donne, creando un unico essere in suo potere.
Il punto di vista patriarcale ha storicamente definito le lesbiche come donne non vere, persone con qualcosa in meno delle donne reali, e gli uomini gay come persone con qualcosa in meno degli altri uomini. Il tradizionale punto di vista degli Indiani, invece, legge gli omosessuali come persone con qualcosa in più degli altri, non qualcosa di meno, visto che sono a tutti gli effetti persone doppie.
‘Doppiadonna’ è una figura presente anche nel racconto che Platone dà della creazione all’interno del Simposio. Nel principio, tre erano le specie di esseri viventi, ciascuno dotato di quattro gambe e quattro braccia: uomo, donna e androgino. Il loro potere aumentò troppo e finirono per cospirare contro gli dei, così che Zeus decise di dividere ognuno di loro in due. Le parti che derivarono dalla divisione di un essere maschile furono gli antenati degli uomini omosessuali, le parti che derivarono dalla divisione di un essere femminile furono gli antenati delle donne lesbiche, mentre gli androgini diedero origine agli uomini e alle donne eterosessuali.
Secondo gli antichi insegnamenti, l’archetipo della donna lesbica, il modello da cui proveniamo, è l’essere completamente femminile, e gli uomini gay sono fatti ad immagine degli esseri completamente maschili, mentre l’eterosessuale originario è bisessuale.
Nella Genesi sono presenti due resoconti della creazione dell’umanità. Nel primo, Dio crea l’umanità dando vita a esseri maschili e esseri femminili ad immagine e somiglianza di Dio. Nel secondo, la creazione dell’uomo e della donna forma una struttura narrativa all’interno della quale trova posto tutto il resto della creazione. La creazione inizia con la modellazione della terra per dar vita all’uomo e si conclude con la creazione della donna dalla costola dell’uomo – donna che viene creata per dare una compagna all’uomo.
Un’interpretazione midrashica di questi due resoconti [N.d.T.: l’esegesi midrashica è un metodo d’interpretazione delle Sacre Scritture che supera il senso letterale del testo, cercando di analizzarlo tramite regole e tecniche interpretative proprie, per attualizzare la Rivelazione alle situazioni storiche attuali e trarne applicazioni pratiche e significati nuovi] cerca di armonizzare le due versioni, affermando che Dio creò Adamo – il primo essere umano – bisessuale, maschio e femmina, due elementi presenti in un solo essere. La comparsa di Eva è il risultato della divisione d’Adamo in due persone separate.
La Genesi include soltanto l’androgino, o bisessuale, l’essere maschile/femminile. Le due altre modalità dell’essere – doppiouomo e doppiadonna – sono escluse. Questo fatto viene utilizzato per dare sostegno all’affermazione secondo cui solo le relazioni eterosessuali sono ‘normali’ e ‘naturali’.
Cosa significa tutto questo per noi, oggi? Possiamo assumerci il ruolo sacro dei nostri predecessori omosessuali e fare la differenza nel mondo odierno? Noi, che facciamo sventolare la bandiera arcobaleno, abbiamo la capacità di svolgere la funzione di agenti di trasformazione e di mutamento? Siamo potenziali mediatori di mondi? Che rilevanza assumono per noi il racconto Lakota della Doppiadonna o il resoconto platonico della creazione?
La visione del mondo che si basa interamente su dualismo e opposizione dà vita a un mondo di soggetti e oggetti. E’ difficile descrivere l’amore omosessuale all’interno di un mondo in cui la lingua stessa è una lingua basata sul rapporto soggetto/oggetto. In un mondo fondato sull’idea soggetto/oggetto la gente percepisce gli altri come entità separate e diverse. Questa forma di alienazione rende possibile la dominazione e crea un modello di relazioni umane basate sul predominio.
Gli omosessuali sono persone che si basano sul modello soggetto/soggetto in un mondo che invece è fondato sul modello soggetto/oggetto. Era questa la cosa sorprendente della mia relazione con Shireen. Percepivo lei come percepivo me stessa, un soggetto. Quando ancora credevo d’essere eterosessuale e chiacchieravo con le mie amiche dei rispettivi fidanzati, i nostri ragazzi erano sempre oggetti, erano l’Altro che non si riusciva mai a comprendere completamente, a cui spesso bisognava mentire, che si doveva manipolare, trattare come un oggetto – per quanto un oggetto amato.
Harry Hay afferma che la consapevolezza soggetto/soggetto sperimentata dagli uomini gay spiega il motivo per cui questi ultimi abbiano spesso delle relazioni costruttive e affettuose con donne eterosessuali. “Non sarebbe dovuto allo stereotipo maschile eterosessuale secondo cui noi saremmo per metà delle donne…ma perché noi omosessuali vediamo le nostre amiche donne come soggetti allo stesso modo in cui le donne si percepiscono tali. E le donne lo capiscono e si crogiolano nella reciprocità dello scambio”.
Nel mondo basato sulla relazione soggetto-oggetto, l’unione eterosessuale equivale alla metafora scientifica dell’elettromagnetismo attualmente accettata – la metafora della suprema complementarietà, per cui i diversi si attraggono e gli uguali si respingono. Ma nel mondo dove è la nostra sensibilità a regnare, uno spazio basato sul binomio soggetto-soggetto, noi non cerchiamo o desideriamo i nostri opposti complementari; piuttosto, cerchiamo altri uguali a noi. Cerchiamo supplemento o mutualità.
Il binomio soggetto-oggetto non è negativo, ma non è comunque l’unico esistente. L’iniquo sviluppo tecnologico razionale reso possibile dal binomio soggetto-oggetto ha fatto prevalere il potere sulla relazione e ci ha condotti sull’orlo del disastro. L’avere relazioni corrette con gli altri e con il mondo richiede, e genera, la mutualità come base fondamentale – una modalità di relazione basata sul modello soggetto-soggetto, nei confronti di tutte le persone e tutti gli esseri viventi. Forse è arrivato il momento di riconoscere di nuovo il ruolo sacro delle persone omosessuali.
Siamo qui dall’inizio. Non siamo una deviazione dalla ‘normalità’. Chi tra di noi riconosce che quel che siamo in questa vita è una scelta dell’anima deve permettere a questa nostra anima di venire allo scoperto, per essere quel che siamo nel mondo.
Per essere persone omosessuali in contatto con la propria anima. Siamo una necessaria parte del tutto, abbiamo importanti ruoli da rivestire. Siamo in grado di praticare un rito sacro semplicemente vivendo la nostra autenticità e affermando il nostro potere: “il potere di creare giustizia, instaurare rapporti equi, sostenere la mutualità e rimediare lì dove il nostro sacro potere fallisce… la nostra connessione con la totalità della creazione è la tenutaria di un sacro potere”.
Testo originale: Rainbow Spirit: roots of lesbian and gay spirituality