Unioni civili: fu vera legge? Il mondo cattolico conciliare s’interroga
Articolo di Valerio Gigante pubblicato su Adista Notizie n° 10 del 12 marzo 2016
L’approvazione al Senato della legge sulle unioni civili ha provocato nel mondo cattolico conciliare e progressista reazioni di segno diverso. C’è chi vede nella legge (in procinto di essere approvata anche dalla Camera), al di là dei limiti e delle lacune che contiene, un fondamentale passo in avanti nel riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali.
Altri sottolineano invece che ciò che nella legge manca è assai più di ciò che resta; e che una norma che non contiene nemmeno il vincolo della fedeltà per i partner sancisce anche a livello giuridico la discriminazione tra coppie etero e persone gay. Infine, guardando avanti, qualcuno si chiede se la legge possa costituire, nel breve-medio periodo, un primo traguardo nel percorso verso un ulteriore avanzamento nel campo del riconoscimento di nuovi diritti. O se invece la modalità con cui è stata approvata possa rappresentare addirittura un limite nella prospettiva di eventuali nuove iniziative legislative. Adista ha chiesto alcuni pareri, di cui vi diamo conto qui di seguito.
Don Andrea Bigalli (referente di Libera per la Toscana, parroco a S. Andrea in Percussina, Fi)
La legge uscita dalla Camera risente di un dibattito all’interno del quale ancora purtroppo si sentono interventi che parlano dell’omosessualità nei termini di una patologia. Finché non si esce da questa logica (nel dibattito laico come in quello intra-ecclesiale) e da quella conseguente delle cosiddette terapie riparative, sarà difficile che il nostro Paese, anche a livello normativo, possa fare passi in avanti. In questo senso, la questione della co-adozione – l’espressione inglese non mi piace – era un istituto perfettamente accettabile perché tutelava anzitutto i figli (perché, parliamoci chiaro, anche per andare a prendere un bambino a scuola o firmargli una giustificazione bisogna avere titolo a farlo) e anche dal punto di vista del magistero della Chiesa non mi pare che vi fossero quegli elementi di incompatibilità di cui pure tanto si è parlato.
Del resto, ci sono stati settori della Chiesa istituzionale che si sono dichiarati non pregiudizialmente contrari a questa legge, sebbene poi dentro la Conferenza Episcopale Italiana ci fossero anche umori decisamente ostili. Io credo che i cattolici devono avere un atteggiamento di accoglienza piuttosto che di giudizio o di pre-giudizio, perché è il Vangelo stesso che ci induce a farlo. E le istituzioni non possono evitare di dare risposte alle tante domande che la vita collettiva pone ormai in maniera inderogabile.
Fabio Perroni (gay credente, fa parte di Noi Siamo Chiesa Roma)
Delusione e gioia. Tristezza e soddisfazione. Scoramento e voglia di lottare. Questi gli stati d’animo di questi giorni dopo il primo passaggio storico di un ddl sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso. È difficile non capire l’importanza di questo passaggio e non esserne felice, ma nello stesso tempo non si può esserne soddisfatti. Una legge attesa da troppi anni, arriviamo ultimi tra i maggiori Paesi dell’Occidente. Una legge che prevede una equiparazione delle unioni di amore tra persone dello stesso sesso (anche se molto sarà deciso nei decreti attuativi del Ministero dell’Interno).
Stessi diritti certo: la reversibilità, i congedi, ecc. E allora perché non mi basta? Perché non sono felice? Perché è stato creato un fossato che ha tenacemente mirato a separare i due amori, etero e omosessuale, da un Senato che ha avuto paura del matrimonio egualitario, che non ha avuto coraggio e coerenza, chiedendo infatti lo stralcio della stepchild adoption. O meglio, che si è piegato alle indicazioni della parte, minoritaria, più retrograda del nostro Paese. Quella dei valori non negoziabili, ormai sconfitta dalla Storia. Cancellando di fatto il bene del minore. E questi tentativi sono andati purtroppo ad obiettivo. Le unioni saranno qualcosa che, a livello legislativo, saranno differenti dal matrimonio. E tra interventi in aula e commi del ddl, hanno umiliato i nostri amori. Pietre che rischiano di diventare muri di divisione.
Il risultato: una legge che quando sarà approvata sarà già vecchia, e con aspetti non affrontati, lasciati alle decisioni della magistratura. Una sconfitta della Politica, non dell’Italia che è stata, fortunatamente, costretta a confrontarsi e che è molto più al passo della storia dei nostri senatori. Un punto da cui iniziare un nuovo percorso per essere, e non solo sentirsi, uguali famiglie.
Andrea Rubera (portavoce di “Cammini di Speranza”, associazione nazionale delle persone lgbt cristiane)
Sono deluso per il mancato riconoscimento dei diritti dei nostri figli e per come è uscita fuori questa legge, per chi l’ha votata dopo averci insultato in aula con un’inedita acrimonia che sfido a non chiamare omofobia. Sono però anche euforico perché so che si è scritta, per tutte le persone omosessuali e per tutta la società, una pagina importante.
Dopo il passaggio non scontato alla Camera, spero potremo pianificare di trasformare il nostro matrimonio canadese in unione civile e la solidità famigliare sicuramente ne guadagnerà. La legittimità di essere riconosciuti come famiglia dallo Stato, aprirà nuovi canali di possibilità nel rapporto con le persone.
Vedendo i nostri figli giocare, sereni, spensierati, mi dico che ne è valsa la pena e sempre ne varrà. Ci abbiamo messo faccia, cuore, sonno, ansia e consumato tanta serotonina. Non avremo però alcun rimpianto di aver lasciato qualcosa di intentato. Potremo guardare sempre fieri i nostri figli e dire loro, quando avranno la capacità di capire, che non ci siamo tirati indietro, nascosti. Non abbiamo abbassato lo sguardo neanche davanti agli insulti più beceri, non siamo tornati nel “cassetto”. Perché avevamo in mano la Verità e la Bellezza delle nostre famiglie. Nessuno doveva metterci le mani.
Non siamo il Canada, non siamo la Spagna. Siamo indietro. Non mi scorderò come il pollaio dei media e della politica ci ha definiti: orchi, aguzzini, ladri di bambini… Non scorderò come questo ha fatto serpeggiare ad arte una strisciante diffidenza nei confronti della genitorialità omosessuale. Ma mi sento più forte e con più strumenti per riprendere la battaglia per dare diritti ai nostri figli. Solo allora sarà il momento del riposo, quello vero.
Suor Stefania Baldini (Unione delle Suore Domenicane di S. Tommaso d’Aquino, Prato)
Gli emendamenti che hanno impoverito il testo mi impediscono di pensare a una sia pur minima affermazione dei diritti delle persone Lgbtq da sempre conculcati. Le leggi dovrebbero sempre partire dalla stima delle persone che hanno una loro sapienza e sono in grado di riconoscere cosa è buono e utile a una esistenza vivibile e amicale per tutti. Una legge che abbia fra le pieghe del discorso il disprezzo per delle persone, ne lede la dignità e offende anche coloro che hanno dato vita alla nostra bella e coraggiosa Costituzione.
Ritengo che ogni persona che ama sappia cosa comporta fedeltà, sappia posare uno sguardo luminoso su un figlio, proprio o del proprio compagno o compagna, anche se a volte ognuno di noi può venir meno a questo sogno di armonia.
Come credente in un Dio che mi chiede di portare dentro le gioie e i dolori degli altri, dico a questi miei amici carissimi che continueremo insieme a volere vita in pienezza.
Stefano Toppi (Comunità Cristiana di Base di San Paolo a Roma)
Rispetto al dibattito parlamentare credo che la rinuncia all’articolo 5 del ddl, quello che avrebbe introdotto la possibilità di adottare il figlio del partner, sia l’aspetto più negativo della vicenda. Mi auguro che si possa rimediare presto con una nuova legge sulle adozioni che apra a tutti e tutte la possibilità di adottare, fatte salve le dovute procedure di indagine da parte dei servizi sociali e del tribunale dei minori.
Non condivido molto la critica da parte delle associazioni LGBT in merito ai punti della legge che hanno da una parte cancellato il riferimento alla “fedeltà” tra i partner e dall’altra reso più brevi i tempi della separazione rispetto al matrimonio civile, perché a mio giudizio potrebbero essere modifiche migliorative. Capisco tuttavia il loro disappunto perché in queste clausole diverse vedono un motivo di discriminazione. Insomma, per me, si tratta pur sempre di un bicchiere mezzo pieno; quindi di un passo avanti per i diritti civili in Italia.
Don Franco Barbero (biblista, Pinerolo)
Due riflessioni: la prima è che piuttosto di non portare a casa niente, questa legge è comunque un passo avanti. Detto questo, ritengo però fondamentale che tutti vivano questo passaggio legislativo come una prima tappa di un percorso che deve avere una sua necessaria e inderogabile prosecuzione. La nostra azione politica non si deve cioè fermare fino a quando non avremo ottenuto l’equiparazione totale tra matrimonio eterosessuale e matrimonio omosessuale e su questo punto penso che la sinistra non debba cedere.
La vicenda della legge Cirinnà è stata mal gestita, oppure era impossibile gestirla diversamente, questo io non sono in grado di dirlo; però ora bisogna andare avanti; e non vedo altra strada che quella che ho indicato per poter essere tutti, senza distinzioni o discriminazioni, cittadini del mondo. Sarebbe disastroso rimandare tutto ad un tempo in cui le condizioni siano diverse e le coscienze più mature. Perché in questo Paese ogni volta che si è deciso di rimandare sine die una questione politica urgente si è finito con l’archiviare domande che esigevano dalla politica e dalle istituzioni risposte precise. Oppure per dare risposte fuori tempo massimo.
Vittorio Bellavite (coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa)
Noi Siamo Chiesa ha premesso alcune riflessioni generali che si concludono sostenendo che «il richiamo a “valori”, da sempre immutabili nel tempo e nello spazio, come se fossero tutti direttamente discendenti dalla Natura e/o da Dio, è cosa del tutto problematica (a dir poco) se rapportata alla predicazione evangelica». E, in questa ottica, l’esperienza delle coppie omo appare spesso fondata su valori profondi. Poi si prende atto che, ai vertici della Chiesa, le linee sono due, quella vecchia di Ruini/Bagnasco e quella nuova di Francesco/Galantino che ha portato a un Family Day il 30 gennaio, numeroso ma senza la mobilitazione delle maggiori organizzazioni (Azione Cattolica, Acli, Cl, Agesci, ecc.). Sulle coppie di fatto e sulle unioni civili Nsc ha chiesto che si legiferasse sulla base del compromesso raggiunto nella competente Commissione del Senato, mentre sulla successiva conclusione della vicenda parlamentare Nsc non ha espresso una posizione diretta; ma le perplessità su di essa sono molto diffuse.
Anna Maffei (pastora Chiesa Battista, Fi)
Di questa vicenda tutta italiana e quindi – rispecchiando il nostro peggiore difetto – intrisa di ipocrisia a colorazione religiosa mi resta un senso di fastidio particolarmente per come si è svolto il dibattito. Come credente di tradizione battista sostengo il principio della laicità dello Stato e quindi le libertà e i diritti di tutti se non ledono i diritti e le libertà degli altri. Per questo sono sempre stata a favore di una legge che prendesse atto che nel nostro Paese ormai da molto tempo esistono modi diversi di essere famiglia e che in questo campo nessuno dovrebbe mai farsi maestro di altri. La buona, pacifica, rispettosa convivenza dove l’amore, se pur imperfetto perché umano, non manca è casa, è famiglia anche se è formata da un solo genitore e da suo figlio/a, o da coppie di conviventi non sposati, anche se i figli sono in affido, anche se è la nonna o lo zio che si prende cura dei nipoti.
Un po’ è stato sempre così. Oggi forse i modelli di famiglie – non le famiglie modello che non esistono – sono ancora più diversificati e comprendono coppie omoaffettive di uomini o di donne.
Questo non dovrebbe spaventarci né scandalizzarci. E personalmente ritengo che lo Stato avrebbe fatto bene a fare una legge che rendesse possibile il matrimonio anche fra gay. Non che il matrimonio sia garanzia assoluta di stabilità affettiva, figuriamoci, ma rappresenterebbe, come nel caso delle coppie eterosessuali, un eventuale sostegno al coniuge più debole e una tutela in più per eventuali figli. Inoltre per me la fede cristiana non è espressione di una teologia naturale che pretende di definire per tutti a partire dalla propria cultura quello che è o non è secondo natura.
La fede cristiana è risposta ad una chiamata a seguire e servire Cristo e in Cristo comprendere, come affermato più volte nel Nuovo Testamento, che «Dio non ha riguardi personali e che chi lo teme e opera giustamente gli è gradito» (Atti degli apostoli 10, 34). Nessuno escluso. Nessuno. La legge che è ora all’esame della Camera è una legge di compromesso, incompleta, frutto di calcolo elettorale. Andrà cambiata. Arriviamo sempre tardi.