Gentile parroco, i cristiani omosessuali di Nuova Proposta vogliono incontrarla per superare insieme i muri del pregiudizio
Lettera inviata ai parroci romani da Nuova Proposta, donne e uomini omosessuali cristiani di Roma, l’8 aprile 2010
Gentile parroco, forse si ricorderà di noi: siamo le donne e gli uomini dell’associazione “Nuova Proposta”, omosessuali cristiani di Roma. Le scriviamo anche quest’anno, sempre più convinti che solo il dialogo e l’informazione riusciranno a sconfiggere il pregiudizio e a favorire il confronto e la riconciliazione.
Ci sentiamo parte di questa Chiesa, popolo di Dio in cammino, nonostante molti di noi siano ancora oggi emarginati, costretti a nascondersi e a vivere una vita di ipocrisia.
E dunque, ora che siamo scaldati dall’Amore di Dio, nulla ce ne potrà separare: non potranno farlo il pregiudizio, la disinformazione, lo stigma. Il nostro Gruppo è attivo a Roma da venti anni, con l’obiettivo sia di creare una “locanda accogliente” dove tutti gli omosessuali cristiani possano ristorarsi nei momenti più dolorosi della loro esistenza, sia di fare formazione e informazione sull’omosessualità, senza pretesa di “accademia” ma solo mettendo a disposizione le nostre vite, pulsanti, gioiose ma anche ferite.
Il nostro percorso di vita insieme è fatto di incontri, di condivisioni, di momenti di preghiera, di discussioni, confronti e amicizia. Ci riuniamo di mercoledì, generalmente ogni 15 giorni e, purtroppo, non siamo ospitati all’interno di una Parrocchia. La nostra “locanda” ha trovato nella Chiesa Valdese di piazza Cavour l’unico asilo.
La ragione per cui quest’anno Le scriviamo è che il 17 maggio 2010 avrà luogo la Giornata Mondiale contro l’Omofobia. Dal 10 al 17 maggio, infatti, i vari gruppi di cristiani omosessuali organizzeranno nelle rispettive città di appartenenza dei momenti di preghiera per ricordare le persone che, a causa del pregiudizio e dello stigma verso l’omosessualità, sono state uccise, si sono uccise non trovando più un filo per ricondurre a un senso le loro vite, hanno ucciso una componente fondamentale della propria identità vivendola in maniera nascosta e repressa.
Perché omofobia non vuol dire violenza solamente fisica ma anche psicologica; è un’insostenibile pressione che provoca gravi conseguenze: l’emarginazione, l’isolamento, gli insulti in pubblico, paura di rivelarsi anche in famiglia e impossibilità di concepire una vita piena e dignitosa se non nascondendosi. E’, quindi, in qualche modo una forma di omicidio.
Di omofobia si soffre purtroppo anche in parrocchia: tutti noi siamo nati e cresciuti in questo ambito (chi scout, chi ai corsi per la preparazione ai sacramenti, chi catechista, …) che è stato un po’ una seconda casa.
Tuttavia, al momento di comprensione della propria omosessualità, in molti di noi è sorto un conflitto insanabile, fatto di angoscia, senso di inadeguatezza, impossibilità di sentirsi più parte di questa famiglia. E questo disagio è stato vissuto il più delle volte nel silenzio.
Spesso è impossibile ancora oggi parlarne anche in famiglia o in parrocchia e, di conseguenza, un adolescente omosessuale si trova in solitudine, con molte domande e nessuna risposta.
Il risultato è che molti di noi lasciano la vita parrocchiale e non ci tornano mai più. Ed invece noi vorremmo tanto che si potesse, da omosessuali, continuare a vivere insieme alla comunità di appartenenza, senza obbligo di “invisibilità”.
Vorremmo che le porte rimanessero sempre aperte anche per noi, nell’integrale Bellezza della nostra Verità. Le nostre storie sono spesso storie di “negazione”, a volte, culminata in un lieto fine, al termine di un lungo percorso di accettazione.
Negazione vuol dire tante cose che hanno diversa intensità: negazione della propria omosessualità, della possibilità di avere una vita affettiva piena e trasparente; mortificazione del proprio potenziale di fecondità, della propria creatività per la pretesa vana di gestire il controllo sui pregiudizi altrui.
Vuol dire mutilazione della propria identità per continuare a rimanere a far parte di ambiti assai cari, come quello parrocchiale. Significa tacere, glissare, modellare la propria vita smussando il genere della persona di cui siamo innamorati, rendendo la nostra dimensione affettiva vaga e misteriosa per gli altri, cessando di comunicare veramente, anestetizzandoci di fronte agli altri, annientando la verità della nostra vita per il timore di essere rifiutati.
Alcuni di noi, inoltre, che hanno ricevuto il dono di trovare una persona da amare e con cui condividere un progetto affettivo, sono costretti a mascherare da “amicizia” questo rapporto d’amore per paura di essere allontanati, laddove questo potenziale di cura reciproca potrebbe anche essere messo a disposizione della comunità.
Questo vortice di sofferenza può essere interrotto e sarebbe bello che ciò avvenisse proprio a partire dalle comunità parrocchiali, luogo di fraterna e sincera accoglienza nell’Amore in Cristo.
Siamo perciò, a Sua disposizione sia per un incontro in cui potremo, se lo vorrà, conoscerci meglio, sia per concordare modalità per sensibilizzare i suoi parrocchiani sul tema dell’omofobia, anche in concomitanza con la Giornata Mondiale.
Ci contatti pure senza problemi. Per noi sarebbe veramente importante.
Le alleghiamo anche una locandina che, se vorrà, potrà esporre nella bacheca parrocchiale. La salutiamo fraternamente in Gesù, sperando di sentirla presto.
Nuova Proposta, donne e uomini omosessuali cristiani di Roma
info@nuovapropostaroma.it – www.nuovapropostaroma.it
Documento collegato
La locandina spedita da Nuova Proposta insieme alla lettera ai parroci romani (file pdf)