Le veglie di preghiera contro l’omofobia, la speranza è in cammino
Complice il calendario, quest’anno, le veglie di preghiera per le vittime dell’omofobia, si svolgono tutte intorno alla solennità dell’Ascensione di Gesù.
Ho pensato così di rileggere il brano che, negli Atti degli Apostoli, si riferisce a questo episodio e di chiedermi se ha qualche cosa di dire a tutti noi che, nei prossimi giorni, ci incontreremo per pregare insieme.
Come gli apostoli, anche noi abbiamo sperimentato in alcuni momenti della nostra vita, quell’intimità con Dio che ancora alimenta la nostra speranza e abbiamo sentito parole che davano un significato nuovo alle esperienze che facevamo.
Come gli apostoli abbiamo passato dei momenti di lutto, perché avevamo l’impressione che Gesù fosse morto nella nostra vita e come gli apostoli abbiamo gustato la felicità di scoprire che era ancora vivo.
Come gli apostoli, a un certo punto della nostra vita, l’abbiamo visto eclissarsi dietro la nube delle tante persone che strillano che cristianesimo e omosessualità sono incompatibili e che per quelli come noi non c’è nessuna speranza di stare con lui.
E come gli apostoli anche noi ce ne stiamo lì, con il naso in aria, ad aspettare qualcuno che sappia dirci che Gesù nello stesso modo in cui l’abbiamo visto eclissarsi.
In realtà, se ci pensiamo bene, in questo stare a naso all’insù in attesa di una parola che dia un senso alla nostra esperienza c’è il primo dei significati che può avere per ciascuno di noi l’esperienza della veglia.
Quando si veglia, infatti, si sta fermi e ci si mette ad aspettare qualche cosa di importante e di significativo.
E la speranza che abbiamo è quella di udire, durante la veglia, delle parole che abbiano su di noi lo stesso effetto che, sugli apostoli, hanno avuto le parole degli angeli: «Uomini di Galilea, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù, che vi è stato tolto, ed è stato elevato in cielo, ritornerà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo» (At 1,11).
Perché, se è vero che la dimensione di una veglia è quella dell’attesa, è altrettanto vero che il senso di quella stessa veglia è quello di darci dei motivi per riprendere il cammino per cercare quello che, durante la pausa della veglia, stavamo aspettando con il cuore trepidante.
Mentre riflettevo su queste cose mi è venuto in mente un testo di San Giovanni della Croce che mi sembra descrivere molto bene l’atteggiamento di chi ha vissuto bene un momento di preghiera intenso come possono essere le veglie di preghiera che i nostri gruppi stanno organizzando in tutta Italia. Lo copio di seguito perché mi sembra davvero molto bello.
Come un cervo ti ho visto fuggire,
dopo che m’avevi ferita.
Sono uscito dietro gridando,
ma non c’eri, non c’eri più.
Ed ho chiesto ai prati e ai boschi
se avevano visto passare
chi più di ogni altro io bramo
perché la tua impronta era lì.
Andrò, per questi monti e queste rive
in cerca del mio amore.
Non coglierò mai fiore
non temerò le fiere.
Passerò i forti e le frontiere.
Ecco, io credo che anche noi, come gli apostoli dopo l’annuncio degli angeli, dovremmo riprendere il nostro cammino alla ricerca di quel Gesù che, in passato, aveva toccato il nostro cuore.
Anche noi, come l’anima descritta da Giovanni della Croce, siamo chiamati a seguire questo stesso cammino con decisione e con fiducia.
E anche noi, come tutti gli uomini e tutte le donne di buona volontà, siamo chiamati a superare le distrazioni e la paura.
La canzone da cui ho copiato la traduzione della «Canzone tra l’anima e lo sposo» che ho proposto sopra, continua poi con una seconda brevissima strofa che merita qualche ulteriore riflessione.
Quando ti troverò non disprezzarmi
se mi copre la polvere del cammino.
Basterà un tuo sguardo perché
la tua presenza risplenda in me.
Si tratta di una strofa che non sono riuscito a rintracciare tra i testi del grande mistico spagnolo che però ha qualche cosa di importante da dire a tutti noi.
Quante volte infatti ci sentiamo disprezzati?
Quante volte infatti siamo noi a disprezzarci per primi?
Quante volte abbiamo poi l’impressione che Dio stesso ci disprezzi per le scorie che incrostano la nostra vita?
Questo disprezzo è una delle formule più subdole dell’omofobia. E questo disprezzo diventa spesso la scusa che ci impedisce di iniziare quel sincero cammino di conversione a cui Dio chiama ciascuno di noi, al di là del sesso e della condizione sociale, al di là della razza e dell’orientamento sessuale.
Ricordiamo allora le parole di questa canzone: basta uno sguardo di Dio perché la sua presenza possa risplendere finalmente dentro ciascuno di noi!
Si tratta dello stesso concetto che, con altre parole, esprime con forza il brano della lettera ai Romani che abbiamo scelto di meditare durante le veglie di quest’anno.
Ed è nella speranza che questo brano possa avere un sapore nuovo nella vita di ciascuno di voi che ve lo propongo ancora una volta: «Io sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potestà, né altezza, né profondità, né alcuna altra creatura, potranno mai separarci dall’amore di Dio».
Buona veglie a tutti.