Amoris Laetitia di Papa Francesco. Quella porta aperta sull’amore che accoglie
Articolo di Michela Marzano pubblicato su Corriere della Sera del 9 aprile 2016, p.32
L’amore di cui parla Francesco non ci chiede di essere diversi e non ci giudica. Ci accoglie e riconosce. Le leggi morali non sono pietre che si possono lanciare contro la vita delle persone, scrive papa Francesco nell’esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia . Invitando la Chiesa ad avere «una cura speciale per comprendere, consolare e integrare chiunque», e a evitare tutti quei giudizi di valore che non tengano conto dell’estrema complessità dell’esistenza umana. La carità vera infatti, scrive sempre il Papa, è «immeritata», «incondizionata» e «gratuita».
Una novità? Forse no. Visto che era stato proprio papa Francesco, a proposito delle persone omosessuali, a chiedersi chi fosse lui per giudicarle. E che, nel volume Il nome di Dio è misericordia , aveva ricordato come l’unica verità — quella con la «v» maiuscola che in tanti invocano ogniqualvolta si tratti di scagliarsi contro coloro che non corrispondono al «bene» o al «giusto» — fosse proprio la misericordia divina. Eppure è proprio di novità che si deve parlare leggendo l’Amoris Laetitia .
A cominciare proprio da quest’esortazione a non lanciare pietre e ad essere umili. A valutare caso per caso le situazioni «irregolari» perché il «grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi». A riscoprire la dimensione erotica dell’amore e a non immaginare che la sessualità debba sempre e comunque essere finalizzata alla procreazione visto che anche il sesso è un «meraviglioso dono di Dio».
Certo, ancora una volta viene ribadito che solo l’unione esclusiva tra un uomo e una donna svolge una funzione sociale piena rendendo possibile la fecondità: «La coppia che ama e genera vita è una scultura vivente», scrive Bergoglio. Ma poi, parlando della fecondità, papa Francesco spiega anche che questa fecondità non si esaurisce nella procreazione o nell’adozione, e che ci sono modi diversi di vivere la fecondità dell’amore. «La maternità non è una realtà esclusivamente biologica», scrive il Pontefice, e la forza di una famiglia risiede essenzialmente nella sua «capacità di amare e di insegnare l’amore».
Ma di quale amore, appunto, ci parla papa Francesco? Di un idillio o di un dovere? Di una realtà naturale o di uno sforzo? Di un destino o di una fatalità? In realtà, la «gioia dell’amore» su cui si sofferma il Papa sembra un amore che non ci chiede di essere diversi da quello che siamo e che non ci giudica, che attraversa le pieghe delle fratture e delle contraddizioni che ci portiamo dentro e che non ci costringe a cambiare o a fare sforzi per meritare cura e attenzioni. Sembra essere un amore che accoglie e che riconosce. Ma per accogliere e riconoscere non si dovrebbe poi anche mettere da parte ogni giudizio di valore e ogni dogmatismo?
Certo, l’amore di cui ci parla il Papa si realizza prima di tutto tra l’uomo e la donna che, amandosi, diventano una sola carne. Ma quando Bergoglio chiede autocritica per le rigidità del passato, non sta suggerendo anche che quest’amore deve poter rispettare l’alterità, riconoscendo l’esistenza di un’autonomia individuale e di una necessaria e salutare distanza all’interno della coppia? Certo, è un amore fecondo. Ma la fecondità non è anche, e forse prima di tutto, simbolica? Esattamente come la sessualità, che è un modo di prendersi cura dell’altro e di dialogare, sapendo che nessun dialogo è possibile se non si aprono in sé spazi vuoti capaci di accogliere l’alterità altrui.
L’amore di papa Francesco è un amore che si realizza pienamente nel progetto matrimoniale di un uomo e di una donna. Ma nell’invito a non giudicare e a non scagliare norme — «Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino» — non emerge in fondo la possibilità per tutti e tutte, anche indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, di vedere riconosciuto il proprio amore? Coppie di fatto e coppie omosessuali, quindi. Che il Pontefice non equipara mai al matrimonio, anzi — forse non può, forse è chiedere troppo.
Ma la cui dignità non sembra mai essere negata, soprattutto quando il Papa ci invita a crescere nell’amore inteso come reciproco aiuto, senza «un accento quasi esclusivo sul dovere di procreazione». Conosciamo il prologo del Vangelo di san Giovanni, in cui l’evangelista non solo scrive che in principio era il Verbo e che il Verbo era Dio, ma anche che il Verbo si è fatto carne e che è venuto ad abitare in mezzo a noi.
Se è vero come è vero che l’amore è carità e che la carità non giudica, è paziente, riconosce e accudisce, allora l’ Amoris Laetitia non è anche, e forse soprattutto, un amore che diventa verbo e che, non facendo più distinzione tra le persone in base alla propria appartenenza («in qualunque situazione si trovino»), spalanca la porta a una misericordia immeritata, incondizionata e gratuita per tutti e tutte? Perché ci dovrebbe essere d’altronde chi la merita e chi non la merita in base a caratteristiche, come l’identità o l’orientamento sessuale, che di fatto non si scelgono? Perché dovrebbe essere «condizionata» e, poi, condizionata a cosa? A figli che arrivano «naturalmente» talvolta senza averli nemmeno desiderati? A un matrimonio che talvolta si sfascia senza che nessuno lo avrebbe mai potuto immaginare?
Ci sono cose che papa Francesco dice chiaramente, altre che vengono solo suggerite, altre ancora che forse, in tanti, abbiamo sperato di trovare e che invece sono assenti. Ma in fondo la porta è aperta, e va bene così. Visto che, come ricorda il Pontefice, nella Chiesa è necessaria un’unità di dottrina e di prassi. «Ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano».