Il cammino di Rachel, donna trans. La mia vita in divenire
Testimonianza di Rachel Lauren Clark resa a Caroline Youdan e pubblicata sul sito del mensile Toronto Life (Canada), liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
Sono cresciuta in una fattoria nel nord dello Stato di New York. Mio padre amava la caccia e la pesca e sperava di avere un figlio che avesse interessi simili. Invece ebbe me: un bambino effeminato che preferiva le bambole, i cavalli e gli album di figurine. Già sugli otto anni sapevo esattamente chi fossi.
Le parole risuonavano nella mia testa come un disco rotto: “Tu sei una bambina, tu sei una bambina, tu sei una bambina”. Ma quando mi comportavo da bambina venivo punita, così tenni tutto segreto. Rubavo i reggiseno di mia mamma e li indossavo sotto la maglietta, terrorizzata che mio padre potesse scoprirlo.
Giunta al liceo, mi venne inculcato che dovevo comportarmi da uomo. Presi a fare ogni possibile attività da maschio: entrai negli scout, giocavo a football e passavo i pomeriggi nei corsi di falegnameria e di metallurgia. Gli altri ragazzi percepivano la mia diversità e ne approfittavano. Mi picchiavano e mi davano del frocio.
Ero disperata e volevo scappare dalla mia piccola cittadina, così a 17 anni entrai nel corpo dei marines e trascorsi otto anni nelle forze armate. Una parte di me sperava che, immergendomi in un mondo ipermascolino, avrei imparato a comportarmi da uomo. Trovai invece dei modi furtivi di esprimere la mia femminilità, come vestirmi da donna per Halloween.
Avevo delle ragazze, ma le mie relazioni non duravano mai a lungo: spesso mi dicevano che sembravo un compagno d’appartamento. Negli anni collezionai in segreto trucchi e vestiti femminili, spendendo anche 600 dollari per volta. Ogni tanto arrivava il momento in cui buttavo via tutto. La cosa più spaventosa che potessi immaginare era che qualcuno potesse scoprirmi.
A 25 anni lasciai l’esercito e passai dieci anni a ricoprire diversi posti come informatica, saltando da Seattle a Dallas a Manhattan. Nel periodo in cui la mia azienda mi spostò a Toronto, nel 2003, la mia identità di genere era diventata quasi impossibile da sopprimere: ero come una bolla che aspettava solo di esplodere. Mi diedi all’alcool, spesso consumando un’intera cassa di birra in una sera.
Dopo i 30 anni entrai in un vortice di locali notturni, feste e feroci mal di testa. A 40 anni ero fisicamente ed emotivamente esaurita. Sapevo che era ora di chiedere aiuto. In passato ero stato visitata da degli psichiatri che avevano liquidato il mio disturbo di genere come sintomi di una malattia mentale. Mi prescrissero valanghe di antipsicotici e antidepressivi, nessuno dei quali soppresse la mia innata identità di genere. Finalmente trovai una psicologa che non mi vedeva come una malata. “Non c’è niente di sbagliato in te. Hai solo bisogno di uscire allo scoperto” mi disse.
Nel 2013, con il suo sostegno, cominciai a vivere apertamente come Rachel. Trovai un endocrinologo che mi prescrisse gli estrogeni e i bloccanti del testosterone e mi misi in lista d’attesa per l’intervento di riassegnazione del sesso. Cominciai a mettere insieme un guardaroba femminile e spesi un sacco di soldi per un completo adatto ai colloqui di lavoro. Non mi era mai capitato di avere problemi a trovare un impiego: ero un’informatica professionista con più di 15 anni di esperienza. Tutti mi volevano.
A parte il fatto che non mi volevano più. Andavo ai colloqui vestita in maniera professionale e armata del mio impeccabile curriculum, ma nessuno mi dava un lavoro. Non ero ancora abile a truccarmi e a presentarmi come donna, e si vedeva. I potenziali datori di lavoro mi gettavano uno sguardo e prendevano la loro decisione. In pochi mesi esaurii i miei risparmi e la mia carta di credito. Non potevo più permettermi la mia macchina, così la persi. Poi non potei più pagare l’affitto del mio appartamento vicino al lago e persi anche quello. Mi arrangiai a vivere presso amici. In pubblico gli estranei mi deridevano e mi chiamavano in modi orribili. Una volta, mentre stavo facendo shopping, un uomo mi costrinse ad andare con lui in una viuzza e cercò di stuprarmi (per fortuna riuscii a scappare).
Mi resi conto che c’erano solamente due alternative: potevo mantenermi prostituendomi o tornare a vivere come un uomo. Nessuna delle due sembrava possibile, così presi i miei ultimi 20 dollari, comprai alcune scatole di cibo pregiato per i miei gatti Felix e Fender e camminai verso sud, verso il lago Ontario. Quando raggiunsi la spiaggia continuai a camminare, immergendomi nel lago fino quando ebbi il viso sott’acqua. Poi respirai profondamente.
Da adulta sono stata quasi sempre atea, ma sono convinta che Dio quella sera mi salvò la vita. Mentre i miei polmoni bruciavano udii una voce che mi diceva che non era ora di morire. Dopo un momento avvertii di essere distesa sulla spiaggia. Riuscii a rialzarmi e mi diressi di nuovo a casa del mio amico. Tremavo senza controllo ma improvvisamente avevo ritrovato la speranza. Quasi immediatamente la mia vita cominciò a migliorare. Un attivista queer venne a sapere della mia lotta e si offerse di affittarmi un appartamento. Poco dopo trovai alcuni brevi lavori di consulenza, che mi permisero di guadagnare abbastanza per il cibo e l’affitto. Cominciai a frequentare la Metropolitan Community Church, dove scoprii la mia vocazione.
La mia vita non è mai stata più bella. Sono studentessa a tempo pieno all’Università di Toronto, studio per diventare pastora, ho una relazione con una donna che amo. Ho ripreso i contatti con la mia famiglia dopo anni di estraniamento: mio padre è mancato ma mia madre si riferisce a me come alla sua figlia. Non vivo più i maltrattamenti quotidiani di un tempo. Dopo anni di ormoni e molte sedute dal logopedista il mio aspetto e la mia voce sono diventati più femminili. Sono fortunata perché quando cammino per strada la gente, quando mi guarda, non necessariamente vede una persona trans. La scorsa primavera ho deciso di operarmi.
Fantastico spesso di vivere la vita di una normale persona cisgender. Ma ci sono tante persone là fuori che ancora lottano, il mondo ha bisogno di tante voci trans che si levano contro il bigottismo e la discriminazione. Fino a quando tutto questo continuerà, voglio assolutamente essere una di loro.
Testo originale: My trans life: Rachel Lauren Clark